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Reputation Today n° 19 - dicembre 2018


EDITORIALE - "Lavoro digitale, tra salute e sicurezza: come conciliarli? - La prevenzione passa attraverso la cultura" - Giuseppe de Paoli

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La rivoluzione digitale degli ultimi anni e il rapido sviluppo delle piattaforme online hanno reso evidente, a fianco di molte opportunità, nuovi problemi per la tutela dei lavoratori “digitali” che svolgono le loro mansioni prevalentemente, o esclusivamente, attraverso il web.
Sono i networkers, professionisti perlopiù autonomi, preparati, flessibili, attivi in settori diversi (dalle Telecomunicazioni alla Sanità, dalla Finanza alla Pubblica Amministrazione) in cui l’incidenza della rete e delle nuove tecnologie è sempre più chiara.
Questi Professionisti sono molto citati da vari studi economici che li definiscono “strategici” per il futuro del Paese, ma sono notevolmente sottovalutati dai decisori politici, che faticano a riconoscerne la funzione e le necessità.
Molti networkers, infatti, pur avendo una buona, a volte ottima, preparazione tecnica, hanno una posizione precaria che comporta lavori saltuari, avvicendamenti elevati, modelli lavorativi non chiaramente definiti.
Spesso il lavoro che hanno, seppur importante, non basta a garantire loro la piena occupazione e li costringe in situazioni di forte incertezza, accentuata dal fatto che un settore in rapida evoluzione, come quello delle nuove tecnologie, rende necessario un continuo lavoro d’aggiornamento.

La situazione descritta ha spinto l’Eu-Osha, agenzia Ue per la Sicurezza e la Salute sul Lavoro, a proporre nuove norme per questi professionisti, indipendentemente dalla loro mansione.
L’agenzia vuole garantire tutele precise tra cui il pieno diritto alla rappresentanza sindacale, cosa particolarmente difficile per professionisti che, generalmente, non stanno più negli ambiti di lavoro tradizionali, come la fabbrica o l’ufficio.
Con questi obiettivi Eu-Osha si richiama esplicitamente al modello adottato dalla Francia che ha approvato, nell’agosto 2016, una legge ad hoc. La normativa francese prevede sostanzialmente tre interventi: l’assicurazione sugli infortuni nel luogo di lavoro (a carico del datore); formazione professionale continua; la possibilità di organizzarsi in una rappresentanza sindacale.
Sono indicazioni che Eu-Osha vorrebbe, giustamente, vedere adottate in tutti i paesi Ue.

Non vanno poi dimenticate le problematiche di salute legate al diffondersi dell’uso sempre più invasivo delle tecnologie. Si pensi, ad esempio, alla tematica del Tecno Stress, una patologia legata al lavoro, che avanza parallelamente allo sviluppo del digitale e coinvolge in particolare i lavoratori dell’ICT (information Communication Technologies).
Norme uniche, a livello Ue, sono necessarie anche per affrontare questo problema, non nuovo, ma che si presenta in forme sempre più insidiose, come accade quando è violato ripetutamente il confine tra lavoro e vita privata, un comportamento che può comportare rilevanti problemi psicologici e relazionali.

È noto poi che l’uso prolungato, ossessivo a volte, di personal computer, smartphone, tablet, può alterare la concezione del tempo e creare seri disturbi d’attenzione. Altra patologia, che sembra affliggere in particolare le giovani generazioni, è la nomophobia, (neologismo nato dall’abbreviazione di “no-mobile-phone”) cioè la paura incontrollata di non ricevere il segnale e di trovarsi sconnessi dalla rete, con relativa ansia, disagio, tensione. Sul tema della dipendenza esistono tantissime ricerche che hanno comprovato effetti patologici quando l’utente non può usare i dispositivi digitali; un recente studio del Sipac (Società Italiana di Intervento sulle Patologie Compulsive) evidenzia che la mancanza del cellulare, anche per brevi periodi, può produrre, in soggetti assuefatti, episodi di ansia e depressione che rendono necessario l’intervento di uno specialista.
I più esposti a tali fenomeni sono i lavoratori del digitale, che devono essere sempre connessi per far fronte alle crescenti richieste di “flessibilita” da parte dei datori di lavoro, ma anche perché hanno acquisito abitudine e stili di vita nocivi. Questi lavoratori, già a fortissimo rischio di tecno stress, dovranno confrontarsi anche con l’aumento dei rischi ergonomici, viste le sempre più frequenti interfacce tra uomo e macchina: un altro problema che dovrà trovar posto nella “Carta dei diritti fondamentali del lavoro digitale’’.

Certo se l’allarme contro l’uso eccessivo e maldestro delle tecnologie è doveroso, va detto anche dei rimedi che tutti noi possiamo mettere in campo. Il primo, concreto, rimedio antistress è di tornare a socializzare dal vivo, aumentare le occasioni d’incontro, condividere con gli amici (di persona e non con i like!), staccare dal PC almeno per qualche ora di seguito, stare in mezzo alla natura.

In questo numero è possibile trovare altri spunti interessanti offerti da specialisti su queste tematiche.
Marco Mozzoni, psicologo e psicoterapeuta, spiega come introdurre l’ipnosi in azienda, per sciogliere le resistenze e accelerare il cambiamento.
Barbara Aboaf ci racconta come la sicurezza e la salute delle persone debba essere considerato un processo che si attiva fin dall’entrata del lavoratore in azienda.
Nel nuovo libro di Isabella Corradini, invece, viene affrontato il tema delle molestie in rete, partendo dal (cyber) bullismo per poi analizzare i fenomeni del mobbing e dello stalking alla luce della dimensione digitale.
Buona lettura!


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DAL MERCATO

COME STA L’EDITORIA ITALIANA?
Secondo il Rapporto divulgato dall’AIE (Associazione Italiana Editori) relativo all’anno 2017, viene confermata l’inversione di tendenza del mercato editoriale italiano, che vede per il terzo anno di seguito un andamento positivo.
I principali indicatori di crescita considerati dall’AIE sono il numero delle case editrici attive (+0,5% dal 2016 con 4.902 case editrici che hanno pubblicato almeno un titolo nel corso dell’anno), la produzione dei titoli su carta (+9,2) e la produzione in tutti i macrogeneri (+8,7 con 68.022 novità). Cresce inoltre del 4,5% il mercato del libro e la vendita di diritti, stabile il prezzo medio di copertina. In calo risulta invece la produzione di e-book, ridotta del 15,9%.
Il basso indice di lettura rappresenta il problema centrale del mercato editoriale. Rispetto ai canali di vendita invece continua a resistere il negozio fisico, nello specifico le librerie di catena o a conduzione familiare; un incremento si registra riguardo all’e-commerce, contrariamente a quanto accade per la grande distribuzione, che non riesce ad attrarre nuovo pubblico.
Fonte: http://www.aie.it/Cosafacciamo/Cifreenumeridelleditoria/Mercatoeindaginidisettore.aspxCifreenumeridelleditoria/Mercatoeindaginidisettore.aspx

LA PICCOLA E MEDIA EDITORIA CRESCE
I dati Nielsen, presentati a Più Libri Più Liberi lo scorso 5 dicembre, segnalano una tendenza positiva per piccoli e medi editori: nei primi dieci mesi dell’anno si registra infatti un bilancio positivo sia per numero di copie vendute che per fatturato attraverso i canali trade, ovvero librerie e online (ad esclusione di Amazon). Dall’analisi emerge un ulteriore segnale incoraggiante per le case editrici con meno di 10 milioni di fatturato annui: la piccola e media editoria riscontra una tendenza positiva superiore al mercato editoriale complessivo, il quale registra una flessione dello 0,9% nei primi mesi del 2018, dopo 3 anni di crescita.
Se si guarda al periodo tra gennaio e ottobre 2018, il mercato del libro relativo alla piccola e media editoria rivela di essere in buona salute: ogni tre copie vendute nel 2018, più di una appartiene a marchi piccoli o medi, guadagnandosi il 41,8% del fatturato complessivo.
Fonte: https://plpl.it/comunicati-stampa/a-un-mese-dal-natale-e-segno-per-i-piccoli-e-medi-editori-e-quanto-emerge-dai-dati-nielsen- presentati-oggi-a-plpl/

EDITORIA ITALIANA ALL'ESTERO SECONDO L’UFFICIO STUDI AIE
Negli ultimi 4 anni, nel mercato complessivo i titoli italiani venduti all’estero sono cresciuti del 36,5% mentre l’acquisto di titoli esteri è sceso del -10,7%. Guardando al solo mercato 2018 della piccola e media editoria, l’analisi mette in luce una crescita in entrambe le direzioni, seppur maggiore per ciò che riguarda i diritti italiani ceduti (+7,2% contro il 2,7% dei diritti esteri acquistati). La tendenza appare invece invertirsi se focalizziamo lo sguardo solo sulle piccole case editrici, che cedono meno diritti italiani di quanti ne acquistino all’estero. Sono alcuni dei dati emersi il 6 dicembre nell’ambito della Fiera della Piccola e Media editoria di Roma, in cui è stata presentata l’indagine curata dall’Osservatorio dell’AIE 2018 sull’import export dei diritti.
Fonte: https://plpl.it/comunicati-stampa/leditoria-italiana-prosegue-la-sua-crescita-allestero-365-negli-ultimi-4-anni-presentata- lindagine-sullimport-export-dei-diritti-2018-realizzata-dalluf/

VERSO IL SALONE INTERNAZIONALE DEL LIBRO DI TORINO 2019
Dopo il grande successo registrato dal Salone del Libro di Torino nel 2018, ci si avvia verso l’edizione 2019 che si dovrebbe svolgere dal 9 al 13 maggio.
Tuttavia, la situazione a Torino quest’anno è complessa, dal momento che il marchio del Salone è all’asta, e da più parti si stanno impegnando forze per proteggere la tradizionale manifestazione culturale, che rappresenta un punto di eccellenza del capoluogo piemontese. A settembre il Ministero per i Beni e le Attività culturali ha dichiarato l’intenzione di tutelare il marchio, pur senza nazionalizzarlo né acquistarlo, a seguito della liquidazione della Fondazione per il Libro e di tutti gli annessi, tra cui il marchio. Di recente si è formato anche un comitato spontaneo, che ha dato l’avvio ad un crowdfunding civico con l’intento dichiarato di salvaguardarne la proprietà partecipando all’asta, che si terrà la mattina del 24 dicembre. Nel frattempo, malgrado l’addio di Massimo Bray, Presidente del Circolo Lettori e del Salone, avvenuto a settembre, il Circolo sta lavorando senza sosta alla preparazione della manifestazione. Anche la possibilità di unire le forze con Milano, giunta nel marzo scorso alla seconda edizione di Tempo di Libri, sembra esclusa. Peraltro, non è certo che la manifestazione milanese avrà luogo nel 2019, dal momento che non sono ancora note né le date né il programma.
Per saperne di più vedi: https://www.corriere.it/cultura/18_settembre_27/salone-libro-torino-ministero-tutela-marchio-94ee3f50-c286-11e8-85a4-d6c3d427f951.shtml?refresh_ce-cp

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REDAZIONALE - "Welfare aziendale: uno strumento di benessere"

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Il 2018 sta andando verso la sua conclusione e nelle aziende è tempo di bilanci, non solo fiscali. Nelle organizzazioni la chiusura dell’anno è spesso il momento in cui si valuta il raggiungimento degli obiettivi, individuali e di team, e si progetta l’anno che verrà, analizzando ciò che ha funzionato e ciò che, al contrario, è ancora migliorabile. Questo bilancio, è ormai noto, non può focalizzarsi solo sugli obiettivi di business veri e propri, ma deve contemplare la cura e l’attenzione verso i lavoratori.

Negli ultimi anni, una delle risorse utilizzate dalle aziende per migliorare il benessere dei lavoratori, ed agire indirettamente anche sul business, è stato il welfare uno strumento con cui le aziende possono intervenire sul benessere dei dipendenti migliorandone la salute e la qualità della vita.
Il welfare riguarda la vita in azienda e nella sfera privata perché può fornire ai lavoratori una serie di agevolazioni – sanitarie, sociali, familiari, ecc. – molto utili alla promozione del benessere psicofisico e alla conciliazione dei ritmi della vita lavorativa e privata , creando un ritorno diretto sulla motivazione dei dipendenti e sulla produttività.
Tra le agevolazioni tipiche di un sistema di welfare aziendale ben funzionante ci sono l’utilizzo dei servizi di sostegno per il lavoratore e i suoi familiari (asili nido aziendali o convenzionati, strutture estive per i figli dei dipendenti, voucher o convenzioni per servizi di sostegno agli anziani, polizze sanitarie, convenzioni con palestre, luoghi di benessere e relax, strutture per vacanze).
Si tratta di politiche che le aziende possono mettere in campo con costi relativamente contenuti e non vanno sottovalutate nelle ricadute sulla forza lavoro. Negli ultimi anni, il welfare aziendale ha vissuto un netto rilancio grazie anche alle misure fiscali adottate con la Legge di stabilità del 2016 (https://www.ilsole24ore.com/art/risparmio/2018-10-23/welfare-aziendale-mercato-21-miliardi-euro-164319.shtml?uuid=AEMdpKUG).
Nei primi mesi del 2018 il Censis, in collaborazione con Eudaimon, ha presentato una ricerca in cui viene analizzato l’utilizzo da parte delle organizzazioni aziendali di questo strumento e vengono presentate le possibili prospettive di sviluppo. Un dato interessante che emerge dallo studio è che il 58,7% dei lavoratori intervistati preferirebbe usufruire di politiche di welfare piuttosto che ricevere la stessa cifra sotto forma di incremento retributivo, e ciò appare vero soprattutto per lavoratori appartenenti al middle e top management (73,6% sono quadri e dirigenti), per i dipendenti con figli minori di 3 anni (68,2%) per le coppie con figli (61,5%), per i laureati (63,5%) per coloro che hanno redditi familiari medio-alti (62,2%) per i millennials, ovvero i lavoratori tra i 18 e i 34 anni (60,1%).
Dallo studio emerge inoltre che le politiche di welfare maggiormente attese e apprezzate sono quelle che si focalizzano sulla sanità e sulla previdenza integrativa, che totalizzano rispettivamente il 53,8% e il 33,3% delle preferenze, seguite dalla necessità di buoni pasto (23,9%) nonché al tempo libero (soprattutto rispetto a convenzioni per gli acquisti 21,3%) e al supporto alla famiglia e alla genitorialità (20,5%) (http://aias-sicurezza.it/wp-content/uploads/media-protect/free/censis_sintesi_welfare_aziendale_24gen18.pdf).

Al di là di quanto emerso dallo studio, le politiche di welfare aziendale dovrebbero andarsi a sommare e non a sostituire un aumento retributivo, così da intendersi come ulteriori agevolazioni a favore del benessere e della qualità della vita del lavoratore. Inoltre, accanto alle più classiche misure già ampiamente sperimentate in organizzazioni particolarmente illuminate, si possono contemplare svariati interventi, sempre più tarati sul reale bisogno dei lavoratori.
Per valorizzare le organizzazioni che mettono in atto politiche di welfare, nel 2017 sono nati i Welfare Awards, a cura della società EasyWelfare, che hanno come obiettivo quello di premiare le migliori buone pratiche, suddividendo le proposte aziendali in differenti categorie (https://easywelfare.com/welfare-awards/).

Va detto che accanto a tante aziende che stanno cogliendo le opportunità del welfare per migliorare il proprio clima interno, nonché fidelizzare i dipendenti e attrarre nuovi talenti, ce ne sono altrettante che dimostrano perplessità e persino sfiducia verso tali iniziative. Resta molto da fare quindi per promuovere nel management la consapevolezza che mettere le persone al centro è una strategia vincente, forse la migliore in un momento storico, economico e sociale di grande incertezza e instabilità.

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PERSONE E LAVORO - "Ipnosi, al lavoro! - Come introdurre l’ipnosi in azienda per sciogliere le resistenze e accelerare il cambiamento"- Marco Mozzoni

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D’accordo, siamo tutti un po’ stressati. E come non esserlo, oggi? Chi non ha lavoro ha i suoi problemi e chi il lavoro ce l’ha… forse ne ha ancora di più, di problemi. Nessuno è immune dallo Zeitgeist, lo “spirito del tempo”, nemmeno la Generazione Z dei giovanissimi che hanno intorno ai ventanni, che non sanno che pesci pigliare e confessano di “non godere di buona salute mentale”, come ha denunciato in questi giorni l’American Psychological Association nel nuovo rapporto “Stress in America” [1].
Ma che 8 lavoratori americani su 10 dichiarino di essere al limite della sopportazione in ufficio e il 42% arrivi addirittura, a causa dello stress lavorativo, a lasciare una buona posizione (anche una zattera oggi è tanto preziosa nel mare agitato della crisi economica che non riusciamo a lasciarci alle spalle), vuol dire che qualcosa non va proprio a livello di sistema. Infatti, secondo una recente indagine [2], più del 66% delle aziende USA non fa niente per tentare di alleviare lo stress nei luoghi di lavoro. Perché?
Forse perché pensare di prendersi cura di tutte le variabili, umane e non, che interagiscono in un ambiente di lavoro allo scopo di armonizzare i processi, migliorare l’efficienza aziendale, aumentare i fatturati e ridurre i costi, sarebbe la favola in cui “tutti vissero felici e contenti”. Non entrano in gioco infatti soltanto competenze e capacità, ma attitudini, personalità, percezioni, emozioni, motivazioni, convinzioni, valori… Sul versante della cultura organizzativa, poi, rituali e cerimonie, storie e leggende, lingue e “dialetti”, metafisiche implicite e assunzioni condivise hanno la loro importanza nello strutturare lo scenario nel quale gli attori si trovano a performare lo spettacolo quotidiano.

L’interazione tra umani, seppure in un contesto normato come quello di un’azienda, fa esplodere complessità difficilmente controllabili a tavolino e gli equilibri funzionali restano obiettivi da perseguirsi giorno per giorno. Da decenni la psicologia e le scienze comportamentali sfornano modelli su modelli (gerarchici, a rete, organici, cross-funzionali, virtuali e chi più ne ha più ne metta), ma i modelli che arrivano dall’esterno – ormai dovremmo averlo capito – sono vestiti tanto allettanti quanto proibitivi, non ultimo perché siamo sempre noi a doverci adattare a quei vestiti, non il contrario. E questo aggiunge difficoltà a una situazione già difficile di suo, rischiando di creare ulteriori forzature, resistenze, frustrazioni, invece di agevolare il cambiamento atteso.
Ora l’approccio “ipnotico” lavora esattamente all’opposto. Inizia ricalcando l’esistente, entrando nel mondo dell’altro, rispecchiandone la “fisiologia”, per mettersi a disposizione su quella particolare personale “frequenza” e favorire la crescita dei driver naturali di cambiamento, nel contesto “terapeuticamente orientato” dei termini dell’incarico. Allora ecco che l’ipnosi cosituisce un approccio strategico, non semplicemente una “tecnica per alleviare lo stress” o migliorare le prestazioni individuali (che già sarebbe tanto di guadagnato, in mancanza d’altro).

Anche se la parte più profonda ha già capito dove vogliamo / possiamo arrivare, è giusto dare soddisfazione anche alla mente abituata a stare in superficie, rendendo ancora più esplicito il funzionamento con linguaggio caro alla contemporaneità…

Come spiego nel mio ultimo libro, “Ipnosi in pillole” [3], l’ipnosi è la modalità naturale più efficace di espansione delle capacità umane per facilitare il ripristino e l’auto-regolazione delle funzioni neuro-psico-fisiologiche dell’organismo. In altre parole, lavora in via preferenziale con l’inconscio come un enzima di accelerazione dei processi interni di autoguarigione e miglioramento. È per questo che funziona benissimo per problematiche come lo stress, l’ansia, la depressione, i disturbi psicosomatici – solo per fare qualche esempio – e in particolar modo nel miglioramento delle performance sportive e lavorative, nel miglioramento dei processi decisionali e creativi, ma anche nel contesto della comunicazione e delle relazioni professionali.

Nel delicato ecosistema del lavoro, l’ipnosi e l’autoipnosi risultano dunque metodologie operative proficue e convenienti: in prima battuta nella gestione dello stress e nella riduzione dell’ansia, con conseguente miglioramento delle prestazioni cognitive come memoria, attenzione, lucidità di analisi delle situazioni complesse. Inoltre possono fornire aiuto decisivo anche nel frangente del miglioramento dell’efficienza delle comunicazioni dei team di lavoro, nella risoluzione dei conflitti e nella traduzione nella pratica – finalmente – di quella benedetta “intelligenza emotiva” che ci mette in grado di andare oltre gli elementi “razionali” del classico calcolo costi benefici, per considerare allo stesso modo anche le componenti meno visibili, che di solito escludiamo di default per educazione, per abitudine ecc. dalle nostre valutazioni “logiche”, quelle componenti che però, in realtà, rappresentano la parte strutturante di ogni attività fondata sul rapporto umano, come l’organizzazione aziendale per l’appunto.

Non per niente il padre delle neuroscienze contemporanee e premio Nobel, Eric Kandel, oggi professore emerito alla Columbia University di New York, afferma senza mezzi termini che “il controllo delle nostre azioni è prevalentemente inconscio” [4]. E l’ipnosi è la via maestra per lavorare con l’inconscio, in modo che tra processi razionali e processi profondi non vi sia alcun conflitto ed entrambi tirino dalla stessa parte, consentendoci da un lato di prendere decisioni fondate su basi solide, autenticamente “nostre”, dall’altro di riuscire a mettere in atto e mantenere i nostri propositi nel tempo, cosa di particolare importanza e difficoltà, come ben sa chi decide solo a tavolino di perdere peso o “eliminare il caffè e le sigarette” [5].

Ma come funzionano ipnosi e autoipnosi? Intanto, tutta l’ipnosi è autoipnosi. Questo perché, in sostanza, il clinico abilitato (in Italia medici e psicologi specializzati in psicoterapia ipnotica) si pone semplicemente come una sorta di trainer che, con suggerimenti verbali appropriati, aiuta l’altra persona a entrare in uno stato modificato di coscienza in cui avrà maggiore consapevolezza corporea delle cose, una consapevolezza più ampia e capillare, non filtrata dagli schemi rigidi della coscienza. E ciascuno ha la propria “frequenza” particolare in ipnosi, la propria dimensione, che quando ritrova non scorda mai più e può riattivare al bisogno o quotidianamente, a suo beneficio. Come quando impariamo ad andare in bicicletta senza le rotelline di sostegno: è un equilibrio corporeo che alla fine troviamo da soli e una volta appreso via esperienza resta nostro per sempre.

Da un punto di vista neurofisiologico, in ipnosi avvengono modifiche molto vantaggiose, sia a livello di sistema nervoso che di tutto l’organismo. Come ho spiegato recentemente a “La Voce di New York” in un’intervista [6], la riduzione in stato di ipnosi dell’inibizione operata ordinariamente dalle regioni frontali dell’emisfero sinistro ci fa passare dal suonare in un’orchestra classica, con un direttore che segue la solita partitura, a un complesso jazz, in cui la melodia si viene creando man mano, con il contributo individuale di ogni singolo elemento valorizzato in un processo espressivo dal basso verso l’altro che ci rende capaci di esplorare alternative creative impensabili nello stato ordinario di coscienza. Allo stesso tempo, i ritmi fisiologici, dal respiro, alle pulsazioni, al rilascio di ormoni, si regolarizzano, con un recupero di energie che è come dire ricaricare le batterie quando ce n’è bisogno. È importante sapere infine che in stato di ipnosi il corpo rilascia oppioidi endogeni, endorfine, encefaline, anandamide e altre molecole “buone” con poteri antidolorifici, ansiolitici e antidepressivi, che sono i nostri farmaci naturali [7].

Chi familiarizza con lo stato ipnotico poi diventa sempre più capace di comprendere anche le minime sfumature del comportamento proprio e altrui, divenendo così molto esperto nel leggere a colpo d’occhio non solo la “lettera” ma anche lo “spirito” delle comunicazioni che quotidianamente scambiamo tra esseri umani, non tanto per manipolare gli altri (cosa impossibile con l’ipnosi, basata su una collaborazione rispettosa tra le persone), ma di favorire uno scambio autentico, orientato a una cooperazione più efficace e vantaggiosa, per sé e per l’organizzazione intera.

Il tempo è prezioso e gli errori costano. In questo ambito, un intervento da parte di un esperto di ipnosi in azienda rappresenta un’opportunità di miglioramento per tutti, non solo a livello individuale, come abbiamo visto, ma anche e soprattutto a livello degli stessi processi organizzativi, che possono essere perfezionati a partire dai team di lavoro fino a coinvolgere l’intero sistema aperto composto da tutti gli stakeholder aziendali, in una ridefinizione e consolidamento di una “corporate culture” che può rispondere prontamente alle nuove sfide della sostenibilità, dell’etica di impresa, dell’urgenza di passare da una economia lineare a una economia circolare che può salvare il pianeta.

Lavorare sul “fattore umano” con i metodi innovativi delle neuroscienze cognitive e comportamentali in grado di accelerare i processi evolutivi delle persone aiuta infatti le aziende a migliorare i processi decisionali e produttivi, a ridurre stress e conflitti, a potenziare la produttività dei team di lavoro, a migliorare la comunicazione essenziale tra reparti, fornitori, distributori, clienti, collaboratori; insomma, a sciogliere le resistenze e accelerare un cambiamento ormai improcrastinabile.

Chi saprà muoversi come una startup, introducendo nella propria cultura driver di innovazione come agilità, collaboratività, apertura mentale, nuovi modi di lavorare, nuove forme di partnership, nuovi modelli di investimento, adattando le strutture e le prassi organizzative alle caratteristiche dei team che lavorano in network, riuscirà ad acquisire la flessibilità e la velocità necessarie per rispondere adeguatamente alle nuove domande dei mercati. E – a nostro avviso – l’ipnosi è la via maestra per aiutare ciascuno a trovare la propria strada in questa sfida epocale.

Note
1. AAVV, “Gen Z, generazione sotto stress”, BrainFactor, 16/11/2018
2. Steven L. McShane, Mary Ann Von Glinow, “Organizational Behavior”, 8th Edition, McGraw-Hill Education, 2018
3. Marco Mozzoni, “Ipnosi in pillole”, Armando Editore, 2018
4. Eric Kandel et al., “Principi di Neuroscienze”, CEA Casa Editrice Ambrosiana, 2014
5. CCCP, “Io sto bene”, da “CCCP Fedeli alla linea”, 1986
6. Francesco Margoni, “The Truth About Hypnosis and Its Effects: an Interview with Marco Mozzoni”, La Voce di New York, Sept 13, 2018
7. Gary Elkins et al., “Handbook of Medical and Psychological Hypnosis. Foundations, Applications and Professional Issues”, Springer, 2016

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Marco Mozzoni, Ipnosi in pillole
(Armando Editore, 2018)
www.armandoeditore.it/catalogo/ipnosi-in-pillole
Illustrazione di copertina: Raffaella Cocchi – www.raffaellacocchi.it

Come funziona l’ipnosi e come la si può usare nella vita quotidiana? Come potenziare con l’ipnosi clinica e l’autoipnosi le nostre capacità in modo efficace e del tutto naturale?
Di questo e di molto altro si occupa il nuovo libro di Marco Mozzoni, Ipnosi in pillole (Armando Editore, 2018), che si presenta, a tratti, come un vero e proprio “manuale di funzionamento umano”, per la ricchezza di riferimenti alle nuove scoperte sul cervello e per la sintesi e la chiarezza espositiva con cui agevola anche il lettore che per la prima volta affronta l’argomento.
Frutto di anni di studio, di insegnamento e di esperienza clinica maturata sul campo, il volume si rivolge in particolare a chi vuole liberarsi definitivamente da stress, ansia, depressione, disturbi psicosomatici e da tutti gli altri “disordini del vivere contemporaneo”, ma anche a quanti vogliono preservare il proprio benessere, aumentare la performance sportiva e professionale con un metodo di lunga tradizione clinica la cui efficacia è confermata ogni giorno dalla ricerca neuroscientifica.

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BUONE PRATICHE - "Il welfare secondo Engineering" - A cura di Reputation Agency

28431 webIl responsabile hr Claudio Biestro: flessibilità, praticità, innovazione e, soprattutto, un modo di essere e considerare l’azienda. “Una questione di testa” è il nostro mantra.

Engineering è un importante attore di riferimento nel delicato e quanto mai strategico processo di digitalizzazione del Paese, dalle imprese alla pubblica amministrazione. L’essenza dell’attività che svolge da oltre trent’anni e che l’ha portata a giocare un ruolo di primo piano a livello nazionale e internazionale, sta nell’intelletto delle persone che la popolano e che supportano i clienti nella definizione di strategie e processi e nello sviluppo di soluzioni e architetture software necessarie all’esecuzione delle strategie.

“Una questione di testa” è il nostro mantra, in cui convergono vision e mission di Engineering” dice Claudio Biestro, Direttore Generale Human Resources & Organization del Gruppo.
“Facile quindi cogliere come, più di molte altre realtà, Engineering abbia proprio nel capitale umano il suo asset di maggior valore”.

Un asset che oggi è composto da 10.500 persone, dislocate in 50 sedi tra Italia e estero e impegnate a seguire oltre mille grandi clienti in tutti i mercati.

La politica del personale di Engineering, di conseguenza, è da sempre contraddistinta da una grande attenzione verso tutto ciò che può contribuire a creare per il lavoratore delle condizioni migliori di vita personale e famigliare, al di là della retribuzione economica.
“Da sempre – sottolinea Biestro – ci occupiamo dei nostri lavoratori guardando ai loro bisogni in una sfera complessiva. Investiamo costantemente nell’aggiornamento delle loro competenze attraverso la Scuola di IT & Management creata ad hoc, che con oltre 360 corsi specializzati eroga 19.000 giornate di formazione all’anno. Questo assicura non solo il massimo livello di aggiornamento delle competenze messe a disposizione dei nostri clienti, ma anche il valore del lavoratore stesso sul mercato quando per mille ragioni dovesse decidere di cambiare realtà lavorativa”.
“Inoltre – prosegue il direttore hr di Engineering – ci impegniamo a far crescere professionalmente il lavoratore ma anche a supportarlo nell’evoluzione della sua vita privata, creando programmi di sostegno per i figli in età prescolare e scolare, di mantenimento della salute con forme assicurative integrative, di gestione della complessità quotidiana attraverso formule di orari flessibili e l’introduzione del lavoro agile o smart working e di molte altre misure che concorrono alla semplificazione della vita quotidiana e a generare un maggior reddito reale.
Negli anni questo approccio, guidato dalla visione del fondatore e del top management, ha assunto una definizione molto precisa condivisa dal mondo delle imprese e dal legislatore: parliamo di welfare aziendale e la Direzione HR di Engineering è costantemente focalizzata nell’identificazione e nello sviluppo di strumenti e programmi che diano sostanza al termine”.
È chiaro quindi come per Engineering sia stato un percorso più che naturale, e mai vissuto come imposizione, seguire – e spesso cogliere come opportunità di dialogo – le modifiche apportate negli ultimi anni dal legislatore ampliando la gamma di beni e servizi che il datore di lavoro mette a disposizione dei propri dipendenti in esenzione da contribuzione e imposizione fiscale.

In occasione dell’ultimo rinnovo del Contratto dei Metalmeccanici (che ha previsto che le aziende mettano a disposizione dei lavoratori dal 1 giugno 2017 il valore di beni e servizi pari a 100 euro per il 2017, 150 per il 2018 e 200 per il 2019, ndr), Engineering ha investito importanti risorse per aprire una finestra ad hoc di presentazione del proprio programma di welfare tra i dipendenti,
con il preciso obiettivo di offrire una visone puntuale e chiara dei nuovi vantaggi al maggior numero di persone possibili, e di rispondere a tutti i legittimi quesiti, dubbi o richieste dei lavoratori.

La Direzione HR lo ha fatto attivando molteplici canali di comunicazione interna: da un roadshow di incontri nella maggior parte delle sedi, a canali digitali di presentazione a distanza, come workshop e info point Webex, organizzati in cooperazione con la Società di gestione del portale del welfare aziendale.

“È stato un lavoro impegnativo, ma i risultati non hanno tardato a farsi vedere” commenta Maddalena Mendola, Head of Compensation & Benefit di Engineering, sottolineando che “siamo passati dal 15% che ha convertito il premio in servizi nel 2017 – il primo anno del programma – al 25% che lo ha fatto nel 2018, raddoppiando la percentuale degli aderenti”.

Tra le novità del programma 2018 sono state inserite, e particolarmente apprezzate dai dipendenti, la dematerializzazione del voucher (non più cartaceo ma disponibile in formato elettronico sulla piattaforma Welfare in 48 ore) e stampabile direttamente dal dipendente; la possibilità di utilizzare una parte o tutto l’importo del welfare per la quota di adesione al fondo di solidarietà aziendale; la possibilità di fruire, senza termine di scadenza, della quota del Premio di Risultato da convertire in welfare.
“Nel complesso, il dipendente ha a sua disposizione una piattaforma digitale in grado di fornire un pacchetto completo per la gestione del welfare derivante da CCNL e dal Premio di Risultato. Per quest’ultimo – prosegue Maddalena Mendola – è prevista una grande flessibilità circa la quota convertibile in welfare: da una piccola percentuale fino alla totalità dell’importo. Proprio per questa ragione è stato sin da subito un successo, apprezzato ed utilizzato dai dipendenti”.

Il modo in cui Engineering accompagna i propri lavoratori nella vita che hanno in ufficio e nelle loro case, e il modo in cui opera rispetto all’ambiente e al territorio in cui si trova è pensato per contribuire ad alimentare il senso di orgoglio e di appartenenza dei dipendenti, un approccio bene espresso anche nell’ultima edizione del Bilancio Sociale del Gruppo.
“Il concetto di Welfare per noi – riprende Claudio Biestro – va, da sempre, molto oltre la definizione di un pacchetto di misure e programmi che determinano flessibilità, praticità e innovazione nella fruizione di beni e servizi; è soprattutto un modo di essere e di considerare l’azienda come parte integrante delle vite e dell’ambiente su cui impatta.
Secondo i princìpi del Global Reporting Initiative, il valore economico diretto generato dal Gruppo, che nel 2017 ha superato un miliardo di euro, è stato ridistribuito per una quota pari al 91% tra risorse umane, fornitori, contributi alle comunità e al territorio, finanziatori e Stato.
Inoltre nell’ambito del Premio BBS Biblioteca Bilancio Sociale, Engineering ha ricevuto una menzione speciale per l’eccellente collaborazione pubblico-privato che vede cittadini e dipendenti coincidere per interesse e priorità. Ecco – conclude Biestro – credo che questo sia una buona definizione del modo in cui Engineering interpreta il Welfare”.

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L’INTERVISTA - "Fare teatro
in epoca digitale - Conversazione con Renzo Sicco" - A cura di Giuseppe de Paoli

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L’era digitale sta trasformando anche l’approccio al Teatro. Le nuove tecnologie permettono una più efficace gestione dei documenti, favoriscono le ricerche, aiutano a memorizzare i dati, possono esse usate direttamente nella messa in scena. Come cambia, in questa situazione, il lavoro di regista teatrale, di colui che per definizione è abituato a narrare storie?

Ne parliamo con Renzo Sicco, regista della compagnia Assemblea teatro, autore di oltre cinquanta spettacoli rappresentati in gran parte del mondo, dalla Svizzera all’Etiopia; spettacoli che attingono dalla Storia (come quello su Giordano Bruno, su Neruda, su Pinochet) o da storie che scrive lui stesso o “prende in prestito” riadattandole. da amici scrittori e giornalisti come Luis Sepulveda, Erri de Luca, Gabriele Romagnoli.
Nel corso della sua attività Sicco ha collaborato con Dario Fo, Augusto Boal, Ruth Oppenheim, Lindsay Kemp, Peter Gabriel, Roger Waters e molti altri.
La sua visione appare subito chiara: “La tecnologia conta molto – dice – ma se cerchi di trasmettere delle emozioni forti, non è detto che ti serva. E oggi abbiamo bisogno soprattutto di emozioni sincere”.

Le nuove tecnologie però possono aiutare, soprattutto nel lavoro di ricerca. Quanto è importante la parte relativa alla ricerca per diventare regista?

“La ricerca è utile per stare aggiornati con i cambiamenti del linguaggio e con il progredire di tecnologie sempre più raffinate.
Il teatro attuale infatti cerca, non senza fatica, di rappresentare un mondo che è in continuo mutamento e presenta diversi elementi di discontinuità rispetto alle mutazioni, ben più lente, di altre epoche. Negli ultimi anni infatti il linguaggio ha avuto un cambiamento molto forte ed è ancora in fase di trasformazione (involuzione a volte, per esempio in certo lessico politico): questo cambiamento è un fatto di cui non possiamo non tenere conto.
La ricerca quindi è certamente importante ma, ancora di più, lo è la curiosità: un grande propulsore che ti porta a indagare nuovi punti di vista, che contribuisce a far fluire le idee, aiuta a lavorare con scioltezza.”

Come cambia quindi, in epoca tecnologica, l’impostazione di chi vuol fare il regista?

“Per quanto riguarda assemblea Teatro ci confrontiamo con la tecnologia ma l’idea base è che il recupero di una dimensione artigianale del teatro sia particolarmente espressiva in un mondo in cui siamo tutti iperconnessi tecnologicamente.
Non a caso stiamo proponendo uno spettacolo in cui abbiamo in scena una disegnatrice che dipinge direttamente sulla sabbia: difficile trovare qualcosa di più fluido e semplice al tempo stesso, eppure se guardiamo i volti degli spettatori in quella situazione, li troviamo particolarmente coinvolti, direi affascinati da questi approcci.
Un lavoro di questo tipo può essere molto più evocativo di tanti artifizi tecnologici.”

Ed è singolare in un’epoca in cui la tecnologia acquista sempre più peso.

“Certo, ma dipende da cosa si cerca: la tecnologia può essere utile, ma se cerchi di trasmettere delle emozioni forti, non è detto che ti serva. E oggi abbiamo bisogno soprattutto di emozioni sincere.
Quando sono in viaggio in giro per il Mondo con Assemblea Teatro, mi è successo di provare a mandare delle cartoline (pur potendo usare tranquillamente il telefonino o la mail) e mi sono reso conto di quando sia sempre più difficile trovarle. Ma quando ci sono riuscito e le ho spedite l’effetto e stato grande: quel gesto, apparentemente ‘vintage’, emergeva tra le centinaia di mail che siamo abituati a scambiarci.
Anche far teatro può essere ‘vintage’, faticoso, ma il risultato è molto più significativo tanto più è naturale, come sono naturali le emozioni.
Non dico che bisogna rimanere attaccati al modello elisabettiano o ai Carri di Tespi (teatri mobili di cui si servivano gli attori del teatro nomade popolare ndr), è necessario però far fluire l’emozione e questa nasce soprattutto dall’’autenticità’ del linguaggio (che non sempre si concilia con la tecnica.)
Il teatro è per sua natura artigianale, frutto dell’integrazione di più saperi: scenografia, regia, costumi, suoni, performance degli artisti: l’insieme di questi fattori fornisce una carica di autenticità di grande valore.”

Quali altre doti, oltre alla curiosità, sono importanti per diventare regista?

“Oltre alla curiosità è fondamentale la capacità di intuire e capire le persone con cui si lavora ed una buona dose di pazienza!
Il lavoro d’équipe presuppone rispetto e assunzione di responsabilità nel senso etimologico (abilità nel rispondere) ed è una abilità che va esercitata, soprattutto nei confronti del pubblico.”

Che consigli daresti ad un giovane che vuole intraprendere la professione di regista?

“Di ricordarsi che è un mestiere che assorbe molto, che incide, con i suoi tempi anche nella vita privata e nei nostri ritmi, spesso stravolgendoli.
Chi studia da regista quindi deve mettere in conto anche qualche rinuncia e ricordarsi che un mestiere faticoso, a volte, ma comunque molto bello!”

Un autore che ti ha molto ispirato nel tuo percorso?

“Nel mio caso, essendo legato al teatro di parola, sono stato colpito dalla forza, la coerenza e l’umanità di Luis Sepulveda che, oltre che un grande scrittore, è anche un regista. Di lui abbiamo messo in scena Le rose di Atacama e Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare.”
Un’altra persona che mi ha colpito molto per le sue qualita è Erri de Luca, uno scrittore intenso, potente del quale abbiamo rappresentato, tra gli altri, Dopo aver dato l’assalto ai cieli e Il peso della farfalla. E poi ci sono i tanti autori incontrati nel nostro percorso, ognuno dei quali ha dato qualcosa di proprio, ha lasciato un segno.”

Un aneddoto bizzarro della tua carriera?

“Adesso che si torna a parlare tanto di immigrazione e chiusura delle frontiere mi vengono in mente le nostre tournée teatrali in varie parti del mondo, negli anni in cui le frontiere erano chiuse.
Avevamo a che fare continuamente con controlli severi, attuati da doganieri spesso rigidi e maldisposti, soprattutto in merito ai materiali vari che avevamo sui nostri camion, che spesso venivano considerati ‘strani’, se non sospetti.
Era un tormento: ricordo che quando la tournée s’è rivolta verso i paesi dell’est abbiamo dovuto passare la frontiera spagnola, poi quella francese, quella austriaca, e quella ungherese.
Una volta lì, stremati, contavamo finalmente di scaricare i camion e poi finalmente rilassarci ed invece ci hanno chiesto, imposto, di rappresentare – quella stessa sera – l’intero spettacolo che era destinato a 3 persone che componevano la commissione di censura! Volevamo scappare, ma abbiamo dovuto esibirci!

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IL LIBRO - "Crimini relazionali nell’era digitale: un libro per tutti" - a cura di Reputation Agency

foto sul palcoJPG webl libro è stato presentato il 5 dicembre 2018 a Più Libri Più Liberi.

Ogni mattina mi alzo e ringrazio il cielo che Internet esista: se usata bene infatti la rete può essere un potente strumento di democrazia.
(dalla prefazione di Lorella Zanardo)

I temi del bullismo, del mobbing, dello stalking e della molestia in generale non sono certo nuovi, ma continuano a richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica e delle istituzioni. Soprattutto perché nell’attuale era digitale questi fenomeni si potenziano nelle azioni e negli effetti.
Le tecnologie digitali, sempre più permeanti e capaci di modellare gli ambiti privati e lavorativi, hanno rivoluzionato il modo di comunicare ed il comportamento sociale delle persone, nel bene e nel male. Se, infatti, non si possono negare i benefici che apportano, non mancano alcune considerazioni critiche sull’argomento. Si pensi, ad esempio, a come oggi le persone, giovani e meno giovani, vivano in simbiosi con gli smartphone ed i social media; li utilizzano in modo talmente disinvolto da confidare e condividere informazioni di natura estremamente personale, esponendosi così a seri rischi per la propria sicurezza.
È proprio grazie alle opportunità offerte dalle tecnologie digitali che le molestie hanno trovato modalità innovative con cui manifestarsi. Il bullismo, il mobbing e lo stalking, pur nella diversità dei contesti, si accompagnano così a forme di cyberbullismo, cybermobbing e cyberstalking, con effetti talvolta tragici.
Nel testo si vuole offrire una prospettiva di comparazione tra questi tre fenomeni, partendo dalla loro descrizione originaria e allargando alla loro manifestazione digitale. Questa rappresenta una delle due chiavi di lettura adottate nel libro per investigare i tre fenomeni. L’altro aspetto di cui si è tenuto conto è il concetto di “relazione”, che rappresenta la situazione base da cui si originano le azioni ostili nei confronti delle vittime.
Il contesto è un elemento imprescindibile per analizzare i tre fenomeni. Bullismo, mobbing e stalking vengono investigati con riferimento a tre specifici ambiti, rispettivamente: scuola, luogo di lavoro, sfera privata della vittima. Tuttavia, non sono da escludersi in alcuni casi situazioni di sovrapposizione. Lo stalking, ad esempio, pur essenzialmente riferibile ad una dimensione privata, può estendersi anche quella lavorativa, assicurando un maggior controllo della vittima. Inoltre, nel caso dello stalking occupazionale, la fase conflittuale trova proprio origine sul luogo di lavoro, intrecciandosi con conflitti lavorativi e storie di mobbing. Senza contare che gli stessi confini tra lavoro e privato tendono sempre più a dissolversi, sia per l’impiego assiduo delle tecnologie digitali, sia per l’affermazione di nuovi modelli organizzativi, come il lavoro agile (smart working), che tendono a rivisitare il concetto di luogo fisico di lavoro.
Una riflessione sul titolo. Volutamente si è deciso di utilizzare l’espressione “crimini relazionali” con l’intenzione di evidenziare la relazione nella sua forma patologica e criminosa. Dal punto di vista penalistico, infatti, l’espressione avrebbe potuto risultare in un certo senso inappropriata per due motivi. Il primo è che «nel diritto penale italiano vigente è scomparsa, assorbita in quella di delitto, la figura autonoma del crimine (distinta dal delitto per maggiore gravità); il termine appartiene quindi all’uso corrente e giornalistico...» (http://www.treccani.it/vocabolario/crimine/it/vocabolario/crimine/). Inoltre, non tutte e tre le tipologie di molestia trovano una collocazione nel nostro codice penale. Se per lo stalking, infatti, si può far riferimento alla norma “atti persecutori” (Art. 612-bis c.p.), lo stesso non può dirsi per il mobbing e per il bullismo, per i quali non sussiste una fattispecie giuridica specifica (non esiste, cioè, il reato di mobbing così come quello di bullismo). Possono tuttavia configurarsi altre fattispecie criminose con richiesta di risarcimento del danno. Nel testo saranno specificati i principali riferimenti normativi, in ambito civile e penale, che attengono a ciascun fenomeno analizzato.
Da un punto di vista più squisitamente psicologico, invece, la dizione di crimine relazionale è motivata dal fatto che i comportamenti prevaricatori, che contraddistinguono il bullismo, il mobbing e lo stalking, possono compromettere seriamente lo stato di salute delle vittime e spingerle verso soluzioni drastiche e drammatiche, come il suicidio o il tentativo di suicidio.
Nel testo, dopo un inquadramento dello scenario digitale e delle principali forme di criminalità ad esso associate, si è proceduto all’analisi delle tre tipologie di molestie, per poi avanzare una comparazione, evidenziandone i punti di contatto e le differenze più significativi.
Conclude la disamina il capitolo dedicato alla prevenzione che resta la risposta più efficace e che vede nel fattore umano la sua principale fonte di ispirazione e di intervento.
(Testo tratto dall’Introduzione al libro).

Crimini relazionali copertina webIsabella Corradini
Crimini relazionali nell’era digitale - conoscere per prevenire
Cyber... bullismo, mobbing e stalking
Prefazione di Lorella Zanardo
(Edizioni Themis)
pp. 160, € 20,00

 

 

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DALLE AZIENDE - "Le opportunità dell’era digitale: le nuove tecnologie al servizio della sicurezza delle persone" - Barbara Aboaf

Negli ultimi anni la tecnologia ha contribuito fortemente ad automatizzare e integrare le tipiche funzioni relative alle risorse umane (Human Resources) in termini di formazione, ricompense, gestione delle competenze, solo per fare alcuni esempi.
Abbiamo assistito e stiamo assistendo ad un’automazione della gestione delle risorse umane. L’obiettivo è però quello di continuare a sviluppare nuovi strumenti finalizzati a coinvolgere sempre più i dipendenti, migliorare le loro esperienze ed aiutare i team impegnati nella gestione delle risorse umane a lavorare insieme meglio ed in modo più produttivo.

Digitalizzare i processi significa soprattutto avere nuovi strumenti che consentano la raccolta di dati utili a prendere decisioni, anche strategiche, al momento giusto.
Nei processi che riguardano la gestione delle risorse umane si integrano anche gli aspetti di salute e sicurezza sul lavoro che, nella maggior parte delle organizzazioni, rappresentano una delle responsabilità che risiedono sotto il cappello delle Human Resources (HR), ma alla quale spesso non si pensa come a uno dei processi primari.
La digitalizzazione invece può dare un grande valore aggiunto in termini di miglioramento delle performance, di riconoscimento e tutela del brand aziendale, di tutela delle persone, che rappresentano il capitale umano di una organizzazione non replicabile.
Se ci fermiamo un momento a riflettere, ci rendiamo immediatamente conto di come la salute e la sicurezza sul lavoro rappresentino aspetti imprescindibili dei processi gestionali HR, a partire dal momento in cui le persone entrano in azienda e devono presenziare a due “appuntamenti” precisi, ovvero la visita medica ed il percorso di formazione volto alla prevenzione dei rischi a cui saranno potenzialmente esposte nella nuova attività lavorativa.
Inoltre, esattamente come accade per tutti gli altri processi HR, la tutela della salute e della sicurezza accompagna tutto il percorso aziendale: dagli aggiornamenti formativi ai cambi di mansione, alle modifiche organizzative, alle politiche di welfare e benessere organizzativo.

Una grande organizzazione ha sicuramente delle sfide importanti da affrontare nella gestione di questi aspetti, tenuto conto di alcune specifiche situazioni contingenti, quali:
• La complessità di gestione: l’adempimento a semplici modifiche normative può richiedere sforzi importanti nella modifica dei processi aziendali;
• i frequenti cambiamenti organizzativi interni possono influire sugli aspetti di salute e sicurezza, richiedendo una rivalutazione rapida degli stessi;
• la necessità di realizzare report in tempo reale indirizzati alla Direzione, agli Enti di Controllo e all’Organismo Vigilanza, sulle performance relative alla salute e sicurezza.

La disponibilità di dati, che consentano la lettura dei comportamenti organizzativi e delle performance, diventa quindi elemento essenziale per poter agire nell’ottica del miglioramento continuo. Bisogna saper analizzare, imparare dagli errori e reagire tempestivamente agli stessi.
Parlare di sistemi e digitalizzazione dei processi di salute e sicurezza sul lavoro richiede che questi non siano avulsi dal resto del business, ma che siano parte integrante; inoltre coloro che si occupano di questi aspetti non possono essere considerati come meri consulenti tecnici, ma vanno considerati come partner delle direzioni aziendali.
Assumendo un tale presupposto, va da sé che la salute e sicurezza si integrano con tutti gli altri processi e sistemi aziendali (che siano essi in uso o da sviluppare), in particolare sistemi di gestione del personale.

I benefici attesi da una gestione digitalizzata sono molti e di grande valore aggiunto per gli individui e per l’organizzazione. Tra questi:

• Miglioramento della Customer Experience delle persone che hanno un ruolo nel sistema di gestione Salute Sicurezza Lavoro;
• Comunicazione tempestiva a tutta l’organizzazione (Dirigenti, Line Managers, HR Managers, Addetti Emergenza e Primo Soccorso)
• Redazione di report in tempo reale (su infortuni, mancati incidenti, audit ecc.)
• Organizzazione e mantenimento delle informazioni:
   - per il monitoraggio delle scadenze (formazione, sorveglianza sanitaria, manutenzioni, ecc.)
   - per il reporting tramite indicatori di prestazione (Key Performance Indicator) e dashboard (App operative).
• Riduzione dello sforzo e della possibilità di errore umano per i tecnici della prevenzione;
• Reazione rapida e proattiva alle richieste dell’organizzazione.

Tuttavia, non si può negare che lo sviluppo di un sistema digitalizzato comporta vincoli e difficoltà, relativi, ad esempio, ai budget e alla disponibilità economica (spesso ci si muove per step); alla necessità di far comunicare sistemi diversi; ai tempi di gestioni spesso lunghi e «in coda» rispetto ad altri processi di business; alle modifiche che possono influire su flussi e processi aziendali, con conseguenti costi.
Si sa però che i costi dell’innovazione per un’organizzazione sono ben giustificati quando sono in grado di generare valore per il cliente. E, allargando il concetto di cliente: chi più del dipendente stesso è il cliente dei processi di salute e sicurezza sul lavoro? Chi più del dipendente può essere l’efficace portavoce dell’immagine e del brand aziendale?

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SALUTE E SICUREZZA - "Sicurezza e lavoro: EU-OSHA premia le buone pratiche" - a cura della Redazione

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EU-OSHA, agenzia Ue per la sicurezza e la salute sul lavoro, premia le aziende che adottano “buone pratiche” sul tema salute in ambiti professionali.
L’ormai tradizionale premio ha l’obiettivo di mettere in comune e diffondere le buone pratiche oltre che sensibilizzare sul tema della salute e sicurezza sul lavoro ( quest’anno con attenzione particolare al tema delle sostanze nocive ).
L’Agenzia inoltre intende valorizzare le aziende che avranno un approccio olistico nella gestione della salute e sicurezza sul lavoro, con esiti concreti rispetto al miglioramento, sia nella gestione di sostanze pericolose che delle condizioni di lavoro (https://healthy-workplaces.eu/it/get-involved/good-practice-awards).
Il premio si svolge ormai da oltre cinque anni e vede coinvolti in modo molto attivo diversi partner della campagna, i quali hanno spesso colto l’occasione per realizzare momenti di scambio e condivisione, come previsto dal bando di premiazione https://healthy-workplaces.eu/it/campaign-partners/good-practice-exchange
Le candidature possono essere presentate dalle parti sociali, dagli operatori, da consulenti e professionisti della sicurezza. Ciascun Focal Point, in collaborazione con le parti sociali selezionera’ le due candidature piu’ meritevoli da segnalare a EU-OSHA.
L’Agenzia grazie all’attenta valutazione di una giuria tripartita, selezionerà ULTERIORMENTE i vincitori, ai quali nel novembre del 2019 verranno assegnati i premi e gli encomi durante la consueta cerimonia di premiazione (https://www.inail.it/cs/internet/comunicazione/avvisi-e-scadenze/scadenza-buone-pratiche-2018-2019.html). Tutti i risultati delle organizzazioni che hanno partecipato al Premio verranno valorizzati e saranno divulgate utili informazioni sulle pratiche vincitrici attraverso una pubblicazione distribuita nel territorio europeo e promossa sul sito web dell’Agenzia.

Le proposte su cui l’EU-OSHA porrà l’attenzione devono quantomeno eguagliare o superare le nomative vigenti nel paese in cui sono state attuate, nonché essere esenti da scopi commerciali. Inoltre, l’Agenzia europea ha evidenziato alcuni elementi che la giuria terrà in particolare considerazione nella fase di valutazione delle candidature:
• approccio olistico ai temi della campagna;
• miglioramenti concreti e dimostrabili nel campo della salute e sicurezza relativa alle sostanze pericolose;
• particolare priorità verso le misure collettive rispetto ad interventi verso i singoli lavoratori;
• reale partecipazione e coinvolgimento della forza lavoro e dei suoi rappresentanti;
• sostenibilità nel tempo della buona pratica;
• trasferibilità ad altri luoghi di lavoro, siano essi in altri Stati membri o in aziende di altri settori e di dimensioni differenti;
• tempestività degli interventi.

Tutte le aziende possono partecipare. In Italia, il termine per la presentazione delle candidature è fissato per il 15 gennaio 2019.
Tutte le informazioni sono disponibili sul sito:
https://osha.europa.eu/it/healthy-workplaces-campaigns/awards/good-practice-awards

Alla stessa pagina è possibile visionare alcuni esempi di buone pratiche premiate nelle scorse edizioni.

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REPUTATION today - anno IV, numero 19, dicembre 2018

Direttore Responsabile: Giuseppe De Paoli
Responsabile Scientifico: Isabella Corradini
Responsabile area Sistemi e Tecnologie: Enrico Nardelli
Redazione: Ileana Moriconi
Grafica: Paolo Alberti

Pubblicazione trimestrale registrata presso il Tribunale di Roma il 13/02/2014 n. 14

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via Veturia 44- 00181 Roma
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Gli argomenti proposti debbono essere correlati agli aspetti gestionali, organizzativi, giuridici e sociali delle seguenti aree: comunicazione e social media; reputazione aziendale; società, cultura e reputazione; buone pratiche; reputazione on line; misurazione della reputazione.
Il sommario dovrà chiarire lo scopo e le conclusioni del lavoro e non dovrà superare le 300 battute (spazi inclusi).
Didascalie e illustrazioni devono avere un chiaro richiamo nel testo.
La bibliografia sarà riportata in ordine alfabetico rispettando le abbreviazioni internazionali.
La Direzione, ove necessario, si riserva di apportare modifiche formali che verranno sottoposte all’Autore prima della pubblicazione del lavoro.

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