Indice
EDITORIALE - Prepararsi al futuro senza scordare le origini
DALLE AZIENDE - "Il valore dell’unicità e l’importanza dell’inclusione" - Marwa Elhakim
CITTADINANZA DIGITALE - "Educazione civica a scuola per prepararsi al futuro" - Isabella Corradini
PROGRAMMA IL FUTURO - "Prospettive digitali al femminile" - Francesco Lacchia
SALUTE E SICUREZZA - "Lavoro da remoto e lavoro ibrido" - a cura di Reputation Agency
EDITORIALE - "Prepararsi al futuro senza scordare le origini" - Giuseppe de Paoli
“Non è necessario rinunciare al passato per entrare nel futuro. Quando si cambiano le cose non è necessario perderle.” (John Cage)
Riparte l’autunno, riparte la scuola, ripartono a pieno ritmo nuovi progetti nell’ambito dell’ecologia integrale, della formazione, dell’intelligenza artificiale, della diversità e inclusione.
In primo piano c’è l’iniziativa di Oikos Mediterraneo, un incubatore di progetti per l’ecologia integrale in grado di coinvolgere ricercatori, imprenditori, artisti, studenti artisti per costruire un nuovo futuro di pace. Francesco Zecca, il suo fondatore, intervistato in questo numero, sottolinea l’importanza di recuperare il mare nostrum, affinché diventi un luogo di pace e di speranza, grazie anche ai tavoli di ricerca attivati, tra cui uno molto interessante sulle donne, che possono avere un ruolo fondamentale in questa missione. Lo hanno già avuto intervenendo con la specificità della loro visione nei cambiamenti cultura sociali e svolgendo un ruolo essenziale nella famiglia, nel mondo del lavoro, nella società, nelle istituzioni, pur essendo a volte ancora discriminate.
Diversità e inclusione sono richiamate sul fronte aziendale, nell’articolo di Marwa Elhakim, Head of Diversity & Inclusion Eni S.p.A., facendo emergere come la diversità sia una risorsa fondamentale per lo sviluppo dell’umanità e illustrando il modello aziendale che vede nell’ascolto e nella responsabilità diffusa alcuni principi cardine.
Uno sguardo al presente permette di prepararsi al futuro. Più l’innovazione tecnologica avanza, come l’Intelligenza Artificiale, più le riflessioni sul ruolo dell’essere umano aumentano e chiedono risposte. Come spiega nel suo articolo Giuseppe Gimigliano, Direttore Operativo del Centro di Ricerca della Pontificia Università Antonianum, il modo migliore per far crescere la consapevolezza digitale è creare un “ponte” tra materie umanistiche e scientifiche, al fine anche di ridurre il senso di smarrimento che pervade le diverse fasce della popolazione a causa della rapida introduzione di sistemi basati sull’IA.
Per prepararsi al futuro bisogna sempre partire dalla scuola. Come afferma Isabella Corradini, presidente del Centro Ricerche Themis, considerato che i futuri cittadini digitali sono proprio gli studenti di oggi, è necessario cominciare la preparazione alla cittadinanza digitale in ambito scolastico. Stimolare il “pensiero critico” nei più giovani rispetto al contesto digitale significa infatti fornire loro gli strumenti per poterne valutare i pro e i contro.
Ricordando la scuola, si torna alle origini, anche per chi ha una storia lavorativa. Marco Mozzoni, scrittore e attivista, ritrova una vecchia foto in un cassetto e ripercorre le sue scelte scolastiche, paragonandole a cosa succede ora, soprattutto per ragazzi First-in-Family (i cui genitori non sono andati all’Università), per i quali le difficoltà per un futuro lavorativo aumentano.
Infine, come media partner della Campagna “Lavoro sicuro nell’era digitale”, promossa per il biennio 2023-2025 dall’Agenzia Agenzia Europea per la sicurezza e la salute sul lavoro (EU-OSHA), chiudiamo con il tema del lavoro da remoto e ibrido, nuovo ambito prioritario che sarà oggetto di approfondimenti fino agli inizi del prossimo anno.
Buona lettura!
NEWS
LE METODOLOGIE PER INSEGNARE L’INFORMATICA
Dal 18 al 20 ottobre si terrà a Genova la seconda edizione di ITADINFO, il convegno italiano sulla didattica dell’informatica. L’iniziativa mira a raccogliere e presentare testimonianze di metodo e pratiche didattiche innovative, contributi di ricerca, esperienze, brevi video e laboratori formativi sui temi dell’apprendimento dell’Informatica. Previste tre sessioni parallele e in chiusura una sessione plenaria su intelligenza artificiale generativa e didattica dell’informatica.
Il Convegno si inserisce nel quadro del Protocollo d’Intesa tra CINI e Ministero dell’Istruzione ed è organizzato dal Laboratorio Nazionale CINI “Informatica e Scuola”, in collaborazione con il Dipartimento di Informatica, Bioingegneria, Robotica e Ingegneria dei Sistemi – DIBRIS dell’Università di Genova e con l’associazione di promozione sociale “APS Programma il Futuro”, con il contributo del Progetto Nazionale “Informatica” del Piano Lauree Scientifiche e dell’Università di Genova.
Fonte: https://www.itadinfo.it/
GENERAZIONE, IL TEMA CHIAVE DEL PROSSIMO INTERNET FESTIVAL
Dal 10 al 13 ottobre si svolgerà a Pisa la XII edizione dell’Internet Festival, che proseguirà con una serie di appuntamenti online tra ottobre e dicembre 2024. Il focus di quest’anno è sul concetto di generazione, in continuo cambiamento, anche considerando l’attuale era dell’intelligenza artificiale. Molteplici significati da esplorare, quindi, come generazione legata alla creazione di nuovi contenuti e prodotti in ambito digitale, ma anche dialogo e relazione tra le diverse generazioni che oggi abitano la quotidianità, i Millennials, GenZ e GenAlpha accomunate dall’attuale scenario tecnologico. Gli esperti sono invitati ad analizzare il tema da diversi punti di vista e a riflettere su come declinarlo nel mondo della scuola, del lavoro, della sostenibilità ambientale e in ogni area del nostro presente e futuro.
Il programma dell’edizione 2024 prevede un intenso calendario di incontri, workshop, laboratori nelle giornate in presenza e un ampio palinsesto di incontri online distribuiti negli ultimi mesi del 2024 e fruibili da remoto (https://www.internetfestival.it/programma/)
Fonte: https://www.internetfestival.it/
PER UNA FINANZA SOSTENIBILE
Giunte alla 13° edizione, le Settimane dell'Investimento Sostenibile e Responsabile si terranno dal 24 ottobre al 7 novembre 2024. La rassegna è promossa e organizzata dal Forum per la Finanza Sostenibile, un’associazione non profit nata nel 2001 con l’obiettivo di incoraggiare l’inclusione dei criteri ambientali, sociali e di governance (ESG) nei prodotti e nei processi finanziari. L’iniziativa prevede diversi eventi in presenza (a Milano e a Roma) e webinar, focalizzati sui temi di primo piano della finanza sostenibile.
Qui (https://finanzasostenibile.it/wp-content/uploads/2024/09/SettimaneSRI24__Calendario.pdf) il calendario degli eventi
Fonte: https://finanzasostenibile.it/settimana-sri/edizione-2024/
LA SFIDA DEL DIGITALE A COMOLAKE
Seconda edizione per ComoLake, la Conferenza internazionale che avrà luogo dal 15 al 18 ottobre 2024 presso il Centro Internazionale Esposizione e Congressi di Villa Erba a Cernobbio, sul lago di Como. Centrata sui temi del digitale e su come orientare le politiche digitali di oggi e di domani, la conferenza rappresenta il punto di incontro tra istituzioni, imprese e università coinvolte e interessate ai nuovi paradigmi della crescita economica dell’Italia e dell’area Euro Mediterranea nel suo complesso in un contesto globale multipolare.
Numeri importanti: 4 giorni di confronto, articolati in 7 aree tematiche, con 28 gruppi di lavoro, con oltre 160 speaker provenienti da tutto il mondo, in rappresentanza di Governi, Parlamenti, Commissione Europea, Autorità regolatorie, Organismi e Agenzie internazionali, Aziende, Università, Esperti, Consumatori e Media.
Fonte: https://comolakeconferences.com/
ESPERIENZA IMMERSIVA A BORDO DEL TITANIC
Una mostra sul Titanic per scoprire la storia e i reperti della nave tristemente più famosa del mondo. Un nuovo modo di esplorarla, grazie alle tecnologie immersive che permettono di vivere gli spazi ricreati, come le cabine per gli ospiti, le sale da pranzo, il famoso scalone centrale. L’esposizione sarà in programma fino al 14 febbraio 2025 presso l’Exhibition Hub Art Center di Milano a Scalo Farini, in via Farini 27 https://expo-titanic.com/milano/
La parte più immersiva è quella dedicata al visore 3D, che permette ai visitatori di immergersi a bordo di un sommergibile virtuale e scoprire il relitto dell’RMS Titanic così come oggi appare sul fondo dell’oceano.
Fonte: https://tg24.sky.it/lifestyle/milano-in-mostra-avventura-titanic#00
L’INTERVISTA - "Il mare ritorni ad essere luogo di pace e dialogo" - Intervista a Francesco Zecca, presidente di Oikos Mediterraneo - A cura di Giuseppe de Paoli
Un Osservatorio permanente sul Mediterraneo, la sua cultura, la sua storia, i suoi miti, con uno sguardo particolare alla “Ecologia integrale” richiamata da Papa Francesco nella sua enciclica Laudato si’ e alle iniziative per riportare il mare nostrum alla funzione di casa comune dei popoli, con uno sguardo particolarmente attento al ruolo, fondamentale, delle donne.
È l’obiettivo di Oikos (dal greco casa) Centro di “ecologia integrale del Mediterraneo” con sede a Taranto: un attivatore di progetti per l’ecologia in grado di coinvolgere ricercatori, imprenditori, artisti, studenti artisti per costruire un nuovo futuro di pace nel Mediterraneo e non solo.
Come riaccendere l’attenzione sul mare nostrum, come riportarlo ad essere zona di pace? Quale la visione di Oikos? Ne parliamo con Francesco Zecca, presidente di Oikos Mediterraneo.
Oikos Mediterraneo vuole esprimere una visione chiara di questo mare tra le terre, una casa comune di tutti i popoli, un grande atrio dove si affacciano mondi, culture, fedi diverse. Questa visione contrasta con quello che stiamo vivendo: guerre, fondamentalismi, respingimento degli stranieri, e dal punto di vista ambientale il Mediterraneo è diventato hot spot dei cambiamenti climatici, possiamo parlare di un mare vulnerabile, sia socialmente, che ambientalmente e politicamente... Eppure questa vulnerabilità può essere una grande chance per il cambiamento, una grande opportunità per innescare una nuova visione e un nuovo paradigma. Il Mediterraneo non è semplicemente uno spazio geografico ma è un luogo che ci interpella con il suo grido di dolore e ci lancia una sfida, dalla quale dipende il futuro dell’umanità.
È la sfida che il papa ha saputo esplicitare con queste domande: “come custodirci a vicenda nell’unica famiglia umana? Come alimentare una convivenza tollerante e pacifica che si traduca in fraternità autentica? Come far prevalere nelle nostre comunità l’accoglienza dell’altro e di chi è diverso da noi perché appartiene a una tradizione religiosa e culturale diversa dalla nostra? Come le religioni possono essere vie di fratellanza anziché muri di separazione?”
A queste domande va aggiunta la sfida ambientale, di come custodire la vita dei nostri mari, di come possiamo innescare economie che siano a servizio della casa comune? Ecco perché, come francescani insieme ai laici, abbiamo sentito l’urgenza di creare uno spazio come Oikos, un centro per l’ecologia integrale del Mediterraneo. E siamo partiti da Taranto, una città che conosce molto bene la vulnerabilità sociale e ambientale, e che nel 2026 sarà protagonista dei giochi del Mediterraneo.
Mediterraneo come luogo di Pace e casa comune per tutti i popoli. Un obiettivo impegnativo. Quali i pilastri del vostro impegno?
Definire il Mediterraneo come casa, oikos, significa per noi cinque cose essenziali:
• Fraternità: la casa è il luogo delle relazioni, dove si impara a dialogare e a coabitare, dove si costruiscono le relazioni tra diversi, si vive la traità (lo stare tra). La fraternità esprime proprio questo concetto dell’unità nella molteplicità, un’unità che non è omologazione ma valorizzazione delle differenze. Oikos vuole promuovere questo tipo di processi fraterni.
• Cura: nella casa si impara la dimensione della cura, che è alla base della vita e della socialità. Il paradigma della cura è rivoluzionario, significa passare da un paradigma lineare, meccanicistico, funzionale, ad un paradigma relazionale, che si basa sulla consapevolezza della vulnerabilità reciproca e quindi dell’interdipendenza ed ecodipendenza. La cura della casa comune è il cuore dell’ecologia integrale.
• Misura: la casa, come il Mediterraneo, ci insegna la misura, il limite. Non siamo nell’oceano, che ci spinge all’illimitatezza, a un divenire incessante, e noi negli ultimi secoli abbiamo costruito economie, politiche e una postura antropologica pensando di non avere limiti e accelerando il divenire perdendone il fine. Il Mediterraneo invece ci insegna il senso della misura, che la ritroviamo nella lentezza, nella riflessione, nello spirito contemplativo, nell’incontro con l’alterità.
• Contesto: cioè attenzione alla località, casa infatti dice appartenenza, ma questa è sana quando è aperta, accogliente, capace di ospitare e lasciarsi contaminare, quindi non è localismo. Crediamo che in questo clima di omologazione (globalizzazione) da una parte, e chiusura e respingimento dall’altra, bisogna partire dalla località e aprire processi di contaminazione. È fondamentale non rimanere chiusi nel localismo ma costruire reti tra le località mediterranee per uno scambio tra locale e globale, una visione glocale.
• Immaginazione: la casa è anche il luogo in cui impariamo a immaginare, a dare forma al mondo. Con Oikos vogliamo dare una forma diversa alla visione del Mediterraneo, da mare di morte e di respingimenti a mare di vita, incontro, opportunità.
Dalla visione alla pratica: cosa fate concretamente?
Se questi sono i pilastri su cui si costruisce Oikos, i passi concreti invece per innescare un processo di casa comune e su cui stiamo lavorando sono questi:
1) Conoscere quello che c’è e presentare il progetto Oikos alle diverse realtà, per questo ricorriamo prevalentemente, ma non solo, alle presenze francescane nel Mediterraneo, sono presenze significative, presenti in quasi tutti i Paesi, in contesti molto diversificati e con progetti molto differenti (parrocchie, scuole, centri culturali, case di accoglienza, monasteri…);
2) Promuovere incontri di formazione, conoscenza, contaminazione tra giovani, ricercatori, imprenditori, artisti, è la finalità di alcuni importanti iniziative che sono state avviate: Summer school, Intrecci, corso di alta formazione, tavoli di ricerca.
3) Accompagnare ad attivare progetti di cura nelle località specifiche, secondo l’ottica dell’ecologia integrale e dei 5 pilastri sopra esposti.
4) Connettere questi progetti di cura creando un network di progetti, permettendo una circolarità tra ricerca e azione e una contaminazione tra i diversi progetti, promuovendo relazioni, scambi, creatività, nuovi saperi.
Siamo riusciti ad innescare i primi due passi e stiamo lavorando per poter realizzare gli altri punti.
Avete avviato un interessante progetto che vede protagoniste le donne e un loro ruolo importante nei paesi del Mediterraneo, fulcro dell’area Eurafricana. Cosa ci può dire su questo progetto e quali sono le finalità?
Con Oikos abbiamo attivato tre tavoli di ricerca: un percorso sull’innovazione e trasformazione digitale nei Paesi extra UE, in particolare nell’area mediterranea, per l’istituzione dell’Osservatorio permanente sulla diplomazia digitale. Un secondo percorso riguarda i sistemi di conoscenza indigena: quali intrecci per lo sviluppo armonico, integrale e sostenibile nei Paesi del Mediterraneo. E un terzo riguarda il ruolo della donna nel Mediterraneo. Tante le donne coinvolte a questo tavolo, con la Pontificia Università Antonianum, Università di Sophia, Università di Bari, la Camera di Commercio di Brindisi e Taranto, il centro Themis e a tante altre istituzioni. Questo tavolo mette insieme tante professionalità di donne impegnate in ruoli dirigenziali, o nel mondo dell’accademia o attive in diversi campi culturali, sociali, economici. Il clima che si è creato durante l’incontro è stato eccezionale, di grande entusiasmo e disponibilità a mettersi in gioco, mettendo in campo tutte le proprie competenze per contribuire alla ricerca, le donne coinvolte hanno saputo creare subito un oikos bello, partecipativo e collaborativo.
La ricerca in quest’ultimo percorso si incentrerà in particolare su tre dimensioni: i diritti umani, l’inclusione digitale delle donne, la loro formazione professionale.
Vogliamo quindi mettere a fuoco il ruolo delle donne, perché danno un contributo fondamentale a rivoluzionare la visione del Mediterraneo e innescano percorsi che riguardano economie, politiche, partecipazione democratica, governance, riconciliazione e pace, gestione creativa dei conflitti a livello micro e macro.
Com’è la situazione oggi?
Nel bacino del Mediterraneo la parità di genere non è ugualmente sentita, ma si possono riscontrare delle notevoli differenze tra i vari Paesi. Le donne pur svolgendo un ruolo essenziale nella famiglia, nel mondo del lavoro, nella società, nelle istituzioni, continuano ad essere oggetto di discriminazione. Sono ragioni culturali, prima ancora che ragioni di carattere sociale, sono le antiche tradizioni, sono le difficoltà dell’economia che ostacolano i percorsi di equiparazione femminile e maschile. Eppure se vogliamo costruire un Mediterraneo che sa affrontare le sfide del futuro non possiamo non partire dalle donne, valorizzando la loro voce, le loro visioni, il loro saper fare e il loro apporto in tutti i campi.
Perché è importante uno sguardo femminile su questi temi?
Le donne possano dare un contributo fondamentale per un cambio di paradigma. Proprio loro ci hanno aiutato a riscoprire le sfumature diverse della cura, che possiamo riassumere in 3 grandi dimensioni: conservare la vita, riparare le ferite e permettere la fioritura dell’esistenza. La grande sfida è portare il paradigma della cura da una dimensione privata ad una dimensione pubblica e politica, dove poter convertire e promuovere le economie proprio nell’ottica di questo paradigma. Quindi non più economie che hanno l’obiettivo della crescita economica a tutti i costi ma la fioritura delle realtà, il fine è quello dello sviluppo delle comunità, questo significa passare da una logica estrattivista ad una logica che crea valore. Le donne ci possono aiutare a scoprire sguardi diversi sulla realtà che sono complementari a quelli che conosciamo e anche modi di abitare la realtà in modo differente. Credo che abbiamo urgenza di uno sguardo femminile e materno sulla realtà, cioè uno sguardo nonviolento, non manipolatorio, non da dominatori ma uno sguardo che sappia valorizzare e promuovere la realtà, superando quell’approccio machista che ha caratterizzato l’azione antropica degli ultimi secoli.
A luglio avete organizzato con successo la prima Summer School di ecologia integrale a Taranto, con un titolo evocativo: intrecci di Speranze. Quali sono gli stimoli emersi?
La prima Summer school organizzata a Taranto a luglio, è stata un’esperienza straordinaria, innanzitutto di fraternità, ha visto insieme 15 docenti di diverse università del Mediterraneo (Nizza, Barcellona, Milano, Roma, Loppiano, Bari, Al-Alzhar…) e 30 giovani, tutti con profilo molto alto, provenienti da Italia, Egitto, Libano, Georgia, Francia, Bosnia. Le mattine i giovani hanno avuto la possibilità di ascoltare e confrontarsi con i docenti su diversi temi, in chiave di ecologia integrale, in modo poliedrico (abbiamo iniziato dal pensiero della complessità, necessario per affrontare le nuove sfide, per poi soffermarci su come abitiamo le città, sull’economia e la finanza e sul ruolo delle religioni e della politica), nei pomeriggi divisi in 5 gruppi hanno affrontato: rigenerazione economica, rigenerazione ambientale, rigenerazione socio-culturale, rigenerazione architettonica, università diffusa del Mediterraneo.
Gli stimoli emersi sono stati tanti: dall’esercitare l’immaginazione, con uno sguardo utopico e non distopico sulla realtà, a come generare un’entropia negativa, e quindi ad un pensiero capace di affrontare il cambiamento. Abbiamo parlato di purpose, di diplomazia delle città, di rigenerazione, di cura, di energia, di spiritualità. Sono risuonate alcune domande: che significa più vita? Cosa faccio per gli altri? Quale è il mio contributo per un mondo migliore? Quanto sorriso metto in quello che faccio?
Queste giornate hanno tessuto una piccola rete di fraternità, attivando confronti e contaminazioni, speranze e immaginazioni.
La Summer school oltre a permettere la costruzione di una rete con i docenti e i giovani, è stata frutto essa stessa di una rete territoriale, infatti la Summer è stata vissuta in modo itinerante in diverse sedi che hanno collaborato e promosso la Summer school: castello aragonese, Dipartimento Jonico dell’Università di Bari, Camera di Commercio di Taranto e Brindisi, la BCC di Taranto e Bari e il Convento San Pasquale sede di Oikos.
Quali sono i prossimi appuntamenti di Oikos Mediterraneo?
Il prossimo appuntamento è Intrecci mediterranei, dal 28 al 30 novembre, che vivremo sempre a Taranto, dove intrecceremo il lavoro dei tavoli di ricerca attivati, consegneremo gli atti della Summer school con i feedback dei giovani partecipanti, insieme ai progetti che hanno elaborato. Sempre in quest’occasione si riunirà il gruppo dei docenti del corso online di alta formazione in ecologia integrale, la cui nuova edizione partirà a gennaio 2025 e tanto altro (presto si potranno trovare tutte le info sui nostri canali di comunicazione).
Sempre a novembre stiamo programmando una visita in Egitto sia per un gemellaggio con l’Università di Al-Alzhar sia, grazie ai nostri frati egiziani, per presentare e attivare progetti di oikos in terra egiziana.
Poi cercheremo di accompagnare tutti i progetti nati con oikos, attualmente sono 10 e riguardano una rete: con le università, i monasteri, le imprese, l’accoglienza di profughi, i giovani, santuari mariani...
Nel ringraziare per questa intervista voglio concludere con un verso di F. Hölderlin, perché ciò che oikos vuole generare è una speranza concreta e attiva, partendo da una situazione che ci parla di dolore, paura e chiusura con la consapevolezza che: “Dove c’è pericolo cresce anche ciò che salva”.
DALLE AZIENDE - "Il valore dell’unicità e l’importanza dell’inclusione" - Marwa Elhakim
“Non dobbiamo semplicemente sopportare le differenze fra gli individui e i gruppi, ma anzi accoglierle come le benvenute, considerandole un arricchimento della nostra esistenza” (Albert Einstein)
Per Eni la diversità è sempre stato un tema chiave. L’azienda non ha mai visto le differenze al suo interno come barriere, ma ha cercato sempre di costruire ponti che uniscono realtà, a volte molto distanti tra loro, per cogliere nuove e migliori opportunità. Con oltre 70 anni di attività alle spalle, Eni oggi è riconosciuta come una società globale integrata dell’energia, presente in oltre 60 Paesi con più di 33.000 Persone di 110 nazionalità.
Nel percorso della transizione energetica intrapreso e nel panorama dinamico e imprevedibile di un mondo in rapida evoluzione, il consolidamento di una cultura aziendale basata sulla Diversity&Inclusion è diventata una necessità e al tempo stesso una leva strategica di Business, che consente ad Eni di perseguire l’eccellenza operativa.
I principi fondamentali di non discriminazione, pari opportunità ed inclusione di tutte le forme di diversità, nonché di integrazione e di bilanciamento vita privata-lavoro sono alla base della Mission, del Codice Etico e del complessivo corpo normativo aziendale.
Le norme da sole però, non sono sufficienti a plasmare un insieme di valori condivisi e a costruire una cultura in cui tutte le Persone che compongono l’azienda si riconoscano.
Si è partiti quindi, dalla definizione di un piano strategico D&I, che fosse strettamente legato al raggiungimento degli obiettivi di Business e venisse attuato tramite iniziative capillari, diffuse e attente a salvaguardare le tante specificità e sensibilità presenti sui territori in cui Eni opera, in un’ottica di responsabilità sociale.
Successivamente all’implementazione di queste iniziative, della verifica della loro efficacia nel far crescere in azienda una cultura dell’inclusione, a novembre 2023 è stata emessa la Policy Diversity & Inclusion, che descrive l’approccio strategico al tema e le modalità applicative della stessa.
In essa Eni riconosce la diversità come risorsa fondamentale per lo sviluppo dell’umanità. L’integrazione dei principi di diversità e inclusione nei processi aziendali consente di sviluppare il benessere di tutte le persone di Eni come singoli e come parte del sistema aziendale, nonché di generare una maggiore spinta verso l’innovazione e lo sviluppo sostenibile.
I principi di riferimento sono:
• l’inclusività, che valorizza la cultura della pluralità, supporta il dialogo e la diffusione di un mindset inclusivo e collaborativo;
• l’unicità, che contraddistingue ciascuno di Noi, come parte di gruppi di lavoro più ampi che devono avere la possibilità di esprimersi attraverso il riconoscimento e l’inclusione dei differenti linguaggi, modi di agire e di interagire, competenze, modalità operative, attitudini, propensioni individuali ed esperienze maturate;
• la valorizzazione delle diversità, che si sostanzia nel riconoscimento dell’l’espressione delle caratteristiche individuali, considerando le Persone come identità distinte per determinare un ambiente di lavoro che impedisca il verificarsi di episodi di discriminazione;
• l’equità, basata sul principio di pari opportunità e non discriminazione, che impegna Eni a garantire un ambiente di lavoro fisicamente e socialmente equo, fornendo a ciascuna Persona gli strumenti necessari per avere pari accesso alle risorse e alle opportunità aziendali.
Il modello viene attuato seguendo quattro principali direttrici:
• la modularità, ovvero l’avvio progressivo e modulare di un insieme di azioni traversali, volte a sostenere lo sviluppo della cultura della valorizzazione dell’unicità;
• la strategicità, che traduce la strategia di business in obiettivi e azioni che mirano a creare un ambiente di lavoro inclusivo;
• l’ascolto, volto a cogliere i bisogni e le esigenze delle Persone di Eni in ottica di un miglioramento continuo delle azioni di promozione della cultura dell’inclusione;
• la responsabilizzazione diffusa, ovvero favorire il coinvolgimento e la progressiva responsabilizzazione individuale, attraverso iniziative a sostegno dello sviluppo della cultura della diversità e dell’inclusione.
L’esperienza Eni: l’ascolto diffuso e continuo
La Diversity&inclusion riguarda le Persone e la loro piena valorizzazione in un contesto lavorativo in cui si sentano libere di esprimere se stesse e la propria unicità.
Le Persone sono coloro che guidano e modellano il cambiamento culturale, seguendo questo driver è stato attuato un processo di ascolto attivo delle nostre Persone, rendendole protagoniste.
A partire dall’elaborazione del piano strategico D&I, un’intensa attività di ascolto effettuata in modo diffuso, è stata rivolta a tutta la popolazione aziendale, a partire dal Top Management. Tramite interviste e survey a livello globale, abbiamo potuto recepire quali fossero considerati gli ambiti di intervento principale (creazione di un mindset inclusivo e individuazione dei target D&I prioritari). Successivamente sono stati avviati dei laboratori creativi, in cui le nostre Persone si sono confrontate e hanno lavorato insieme, elaborando proposte di iniziative che si sono tradotte in attività concrete.
L’attività di ascolto dev’essere costante e misurabile, anche per poter cogliere i miglioramenti conseguiti.
Nel 2023 è stata perciò avviata un’attività di ascolto ancora più articolata. È stato lanciato infatti il progetto Design our inclusion, basato sulla metodologia del Design Thinking.
Misurare l’impatto delle iniziative in corso e la sensibilità aziendale sulle tematiche D&I e, soprattutto, generare nuove idee e co-progettare nuove iniziative insieme alle Persone Eni sono stati gli obiettivi principali dell’iniziativa.
In primo luogo, è stata ideata e lanciata una Survey rivolta a tutta la popolazione aziendale per individuare le barriere all’inclusione. Successivamente sono stati condotti dei Discovery Workshop con persone esponenti dei target di unicità prioritari per Eni (Gender, Interculturalità, Age, Disability e Orientamento Sessuale e identità di genere) per un approfondimento qualitativo dei risultati della survey. Infine, si sono svolti degli Ideation Workshop per generare nuove idee e nuove iniziative D&I, co-progettate con le persone Eni.
Un approccio diverso ma sempre basato sull’ascolto attivo è stato utilizzato nelle nostre alle sedi nel Mondo. Consapevoli che valori, sensibilità, elementi culturali, ecc. caratterizzano ogni singolo Paese, abbiamo ritenuto più efficace ascoltare direttamente le Persone che operano nelle nostre realtà estere per valutare il livello di maturità in termini D&I e definire di conseguenza un piano di iniziative per ogni realtà, che tenesse conto delle sue caratteristiche distintive.
Per ogni nostra consociata, dopo un primo incontro con il Management locale finalizzato a condividere l’approccio Eni alla D&I e raccogliere elementi caratterizzanti del contesto socioculturale aziendale in un’ottica D&I, è stato individuato un campione di risorse rappresentativo ed eterogeneo di Persone.
Attraverso incontri one-to-one sono stati raccolti feedback sulle sensibilità socioculturali, i fabbisogni e le priorità in termini D&I, gli ostacoli e le barriere all’inclusione e ricevere idee e proposte per iniziative da realizzare. Ciò ha permesso di instaurare un network con queste Persone, rendendo più forte il coinvolgimento e il senso di appartenenza.
A valle di questi incontri, sono stati ideati piani di iniziative trasversali e specifiche per target di interesse, mirate ad accrescere il coinvolgimento, la sensibilizzazione e la comunicazione sui temi D&I, con il supporto anche di formazione specifica.
In conclusione, l’impegno di Eni verso la diversità e l’inclusione non è solo una scelta di valore, ma una strategia imprescindibile per il successo sostenibile dell’azienda. Il percorso intrapreso, fondato sull’ascolto attivo e sulla partecipazione diffusa, testimonia come le persone siano al centro di questo cambiamento. Grazie alla loro unicità, Eni è in grado di creare un ambiente di lavoro più inclusivo, innovativo e capace di affrontare le sfide globali con maggiore consapevolezza e responsabilità sociale. Promuovere una cultura inclusiva non significa solo riconoscere e rispettare le differenze, ma valorizzarle come autentiche leve di crescita e innovazione, contribuendo così al benessere collettivo e al raggiungimento degli obiettivi di business.
ETICA E INNOVAZIONE TECNOLOGICA - "Intelligenza Artificiale: c’è bisogno di un nuovo umanesimo" - Giuseppe Gimigliano
Per costruire un ponte tra discipline umanistiche e discipline che si occupano di innovazione
Nella sessione del G7 sull’intelligenza artificiale (IA) tenutasi in Puglia nel giugno del 2024, Papa Francesco ha ricordato che «la portata di queste complesse trasformazioni è ovviamente legata al rapido sviluppo tecnologico dell’intelligenza artificiale». La rapidità di diffusione rappresenta la principale causa delle diverse implicazioni che questi sistemi portano in dote con ricadute in ogni settore della società.
Oggi le scienze storiche, l’antropologia culturale, l’archeologia e la storia dell’arte sono in grado di attestare la presenza di varie forme di tecniche più o meno avanzate nelle strutture sociali delle comunità arcaiche. Possiamo pertanto affermare che la téchne è necessaria e costituente l’essere umano in quanto tale. L’IA, che è considerata una forma tecnologica avanzata e quindi parte della tecnica, ha fatto la sua comparsa soltanto il secolo scorso.
Il concetto filosofico di “accidente” corrisponde al greco συμβεβηκός e trova il suo corrispettivo latino in accidens. Il significato sotteso fa riferimento a «ciò che accade» nel corso del tempo. Per queste ragioni l’IA si candida ad essere accidente e mera caratterizzazione della téchne. La tecnica, al contrario, è ὑποκείμενον e, quindi, substantia presente nell’uomo e traducibile con «ciò che sta sotto».
IA-Uomo e la questione del “ruolo”
Interrogarsi sul ruolo dell’umano in un contesto di rapido avanzamento tecnologico come quello che stiamo vivendo obbliga a porre un’attenta riflessione sul rapporto tra l’uomo e la tecnica. La questione è evidentemente un problema filosofico e antropologico.
I prodotti della tecnica restano al servizio del genere umano e sono privi di quel soffio vitale che conferisce dignità ontologica a tutti gli uomini. I lemmi greci ἄνεμος, ψυχή, θυμός, πνεῦμα rimandano all’idea di anelito vitale che garantisce unità sostanziale all’essere umano. Si tratta della parte più “essenziale” dell’uomo del tutto sconosciuta all’IA, così come ad ogni prodotto artificiosamente costituito.
La complessità di cui l’uomo è portatore, dove la ragione si confonde con le emozioni e le sensazioni con il dubbio, rende manifesta l’eterogeneità uomo-macchina. L’avanzamento tecnologico non interferisce in alcun modo sulla centralità dell’essere umano e sul suo posto nel mondo. Altrimenti dovremmo interrogarci sul limite oltre al quale il progresso tecnologico entra in una dimensione capace di trasformare l’umano e decidere il suo posto nell’universo.
La centralità e il ruolo dell’uomo in rapporto all’IA è una questione diffusa e mal posta allo stesso tempo. Diffusa perché rappresenta il core del dibattito scientifico all’interno di percorsi formativi, convegni e simposi. Mal posta perché l’IA è mero strumento nelle mani degli uomini e non fine. Per tale ragione non può esserci disputatio tra uomo e macchina sull’assegnazione dei ruoli.
Tale riflessione rievoca il tanto dibattuto tema dell’antropocentrismo, una visione di pensiero presente in Grecia sin dal V sec. a.C. Il «conosci te stesso» di derivazione socratica rappresenta una presa di distanza rispetto ad una concezione naturalistica dove l’uomo non occupava una posizione di preminenza. Presa di distanza che verrà ampliata dalle speculazioni postume di età antica dove l’uomo continuerà ad essere al centro dell’indagine, almeno nelle scuole filosofiche che fiorirono nella società greco-romana. Per molti pensatori cristiani di età medievale tale centralità sarà ampiamente confermata sotto altre forme di cogitatio, essendo considerato l’uomo come l’unico vivente dotato di intelletto. Tale visione verrà contestata dalle speculazioni e dalle conquiste scientifiche dei primi secoli di età moderna, come quelle di Giordano Bruno e Galileo Galilei.
In alcuni quadranti del mondo l’essere umano sta oggi maturando una visione più inclusiva in cui ogni soggetto vivente che abita la terra detiene il diritto ad un posto nel mondo. Si sta lentamente acquisendo la consapevolezza di far parte di un unico ecosistema in cui ogni forma di vita detiene dignità ontologica. Tale dignità, che appartiene ad ogni essere dotato di vita, non può essere ad appannaggio di sistemi di IA proprio perché sprovvisti di quel soffio vitale che i greci identificavano nell’espressione πνεῦμα.
I principi dell’ecologia integrale espressi nella lettera enciclica “Laudato si’” di Papa Francesco recepiscono e ampliano alcune questioni sviluppate nelle encicliche promulgate nel corso dei precedenti pontificati, come l’“Evangelium vitae” di Giovanni Paolo II e la “Caritas in veritate” di Benedetto XVI. I principi dell’ecologia integrale di Papa Francesco propongono una visione inclusiva incentrata sulla cura della casa comune, dove l’intero creato è parte di un unico ecosistema.
In questa cornice di inclusività, l’IA deve restare mero oggetto strumentale per la costruzione del bene comune. In questo senso la riflessione sul ruolo e la centralità dell’uomo in relazione all’IA è ampiamente superata.
Divergenze uomo-macchina
Quando Leonardo Da Vinci decise di dedicarsi alla progettazione di un sistema meccanico in grado di dominare l’aria, pensò che fosse necessario indagare il movimento degli uccelli nelle loro fasi di volo. Egli comprese, infatti, che solo indagando la natura sarebbe stato possibile la progettazione di una struttura meccanica capace di replicarla. Non è un caso che la forma geometrica degli attuali velivoli sembra riprendere proprio la conformazione fisica dei volatili.
Tuttavia, per quanto tali sistemi artificiali siano capaci di riprodurre con una certa analogia e affinità il movimento degli uccelli, essi non saranno mai in grado di replicare fedelmente tale movimento nella sua articolazione e complessità. E non potrebbe essere altrimenti. L’artificium è un tentativo mai completamente riuscito di imitatio dell’elemento naturale. Tale tentativo è destinato a fallire ab origine in quanto l’oggetto inventato non scaturisce direttamente dalla natura. L’uomo si pone come anello di congiunzione che interrompe la catena naturale e, inventando, conferisce artificiosità.
L’intelligenza artificiale è un tentativo mal riuscito di emulare l’intelligenza umana, così come qualsiasi altra invenzione che tenta, vanamente, di replicare funzioni e strutture codificate in un sistema naturale inaccessibile nella sua parte più essenziale.
Intelligenza umana, che è natura, e IA, che è artificium, appartengono a due livelli ontologici differenti. Anche per queste ragioni non può esserci continuità, né alternanza, né confronto alcuno tra queste due forme di intelligenza.
Rapporto tra discipline umanistiche e innovazione tecnologica
Il Medioevo ha assegnato alle discipline filosofiche una valenza scientifica e il pensiero razionale rappresentava il medium per la comprensione della verità. La nascita delle scienze moderne ha provocato una cesura incolmabile tra discipline umanistiche e scientifiche. Due metodi di indagine della realtà ancora oggi percepiti come opposti e inconciliabili. L’età contemporanea ha difatti solo parzialmente colmato il vuoto che si è venuto a creare. Per queste ragioni c’è bisogno di un nuovo umanesimo capace di costruire un ponte saldo tra discipline umanistiche e discipline che si occupano di innovazione. Alcuni esempi ci aiutano a comprenderne la portata.
Scienze storiche e Cybercrime: la metodologia di ricostruzione del fatto storico elaborata dalla scuola francese di Marc Bloch e Lucien Febvre, che ha la sua massima espressione nella rivista Annales d’histoire économique et sociale, è applicabile in un contesto di ricerca storiografica tradizionalmente intesa e, parimenti, nel caso di un attacco hacker. Non ha importanza che il fatto si sia consumato in un monastero della Borgogna nel XIV secolo oppure nel web in un passato più o meno recente. È pur sempre un fatto del passato che necessita di essere ricostruito.
Archeologia e Metaverso: la progettazione di un museo immersivo prevede l’acquisizione di nozioni di archeologia e storia dell’arte utili alla ricostruzione dell’ambiente entro cui far rivivere vicende e momenti del passato. La possibilità di interagire con ambienti e personaggi del passato entro uno spazio-temporale virtuale è tecnicamente possibile. Per sottrarsi al rischio di fantasiose e bizzarre ricostruzioni ci sarà bisogno di studiosi ed esperti delle diverse materie.
Storia dell’archivista e Conservazione a norma: AgID ha emanato le “Linee guida” ai sensi dell’art. 71 del CAD che regolamentano l’obbligo di conservazione del documento informatico. La maggiore criticità, ad oggi irrisolta, è che solo una minima parte dei soggetti coinvolti presta la dovuta attenzione a questo passaggio tutt’altro che secondario della trasformazione digitale. La storia dell’archivistica possiede gli strumenti culturali atti a sensibilizzare il settore pubblico e privato sull’importanza del dato attraverso l’analisi delle tecniche di tutela e custodia dell’informazione che si sono succedute nel corso del tempo.
Etica e IA: lo sviluppo dei sistemi di IA non può prescindere da una riflessione sistematica sui valori etici delle culture che abitano la casa comune allo scopo di orientare tali sistemi nella direzione del benessere integrale. La Facoltà di Filosofia della Pontificia Università Antonianum riflette proprio sul rapporto tra etica e IA tramite un percorso di studi che analizza le diverse declinazioni.
La costruzione di un “ponte” che mantiene saldo il rapporto tra materie umanistiche e scientifiche contribuisce ad accrescere consapevolezza digitale e riduce il senso di smarrimento che pervade le diverse fasce della popolazione a causa della rapida introduzione di sistemi basati sull’IA.
CITTADINANZA DIGITALE - "Educazione civica a scuola per prepararsi al futuro" - Isabella Corradini
Un’opinione generalmente condivisa è che nella loro intrinseca natura le tecnologie digitali non sono né buone né cattive, ma che a fare la differenza è l’uso che ne fanno le persone. Ed è quindi sulle persone che bisogna lavorare, per favorire quella cittadinanza digitale consapevole che permette di comprendere opportunità e rischi connessi alle innovazioni in modo da poter interagire in una società che sarà sempre più digitale.
D’altro canto, le minacce in rete diventano sempre più preoccupanti. A partire da quelle che mirano a sottrarre dati personali e credenziali (password, codici di autorizzazione delle carte di pagamento) per il compimento di attività illecite, come nel caso del phishing, fino all’impiego delle tecnologie digitali per attività persecutorie e vessatorie, con conseguenze rilevanti per la salute degli esseri umani, come nelle situazioni di cyberbullismo o di cyberstalking.
Non si può poi non tener conto dell’evoluzione degli scenari tecnologici che, se da un lato aprono a notevoli opportunità, dall’altro rafforzano il modus operandi di chi agisce in modo illecito facendo leva sui vari strumenti digitali. Basti pensare alle denunce di aggressioni sessuali avvenute già nel mondo virtuale del metaverso, o alla facilità di creazione di video fake mediante l’uso dell’intelligenza artificiale. Se allo stato attuale, stando ai dati dei vari report nazionali ed internazionali, la cybersecurity si trova a dover fronteggiare una varietà di minacce informatiche, con l’espansione delle applicazioni di IA è ovvio pensare che le sfide per la sicurezza informatica saranno maggiori.
La consapevolezza digitale è quindi obiettivo prioritario. Va però intesa come un processo educativo nel quale il cittadino deve avere un ruolo attivo per sviluppare quella padronanza che gli permette di interagire in modo responsabile con gli strumenti digitali, e non come un semplice consumatore passivo.
Considerato che i futuri cittadini digitali sono proprio gli studenti di oggi, è necessario cominciare la preparazione alla cittadinanza digitale in ambito scolastico. Stimolare il “pensiero critico” nei più giovani rispetto al contesto digitale significa infatti fornire loro gli strumenti per poterne valutare i pro e i contro. Allo scopo, è indispensabile partire dalla conoscenza dei meccanismi con cui funzionano la Rete ed i suoi dispositivi. Perché è proprio questa conoscenza a favorire un comportamento responsabile e sicuro nel mondo digitale, per sé stessi e per gli altri.
Del resto è ciò che avviene anche nella vita di tutti i giorni. Per viaggiare sicuri, ad esempio, è indispensabile prendere tutte le informazioni sul luogo in cui si andrà. Certo, può anche accadere l’imprevisto, nonostante le precauzioni prese, ma comunque bisogna fare sempre tutto il possibile per viaggiare al meglio e godersi il luogo. Ritornando al caso del mondo digitale, va da sé che se si ha confidenza con l’ambiente online in cui ci si muove, si ha anche la possibilità di comprenderne i pericoli e di gestirli di conseguenza. Questa considerazione è particolarmente calzante se si considera che i più giovani, nonostante utilizzino i dispositivi digitali con sorprendente abilità, sono purtroppo scarsamente consapevoli dei rischi che vi si associano. Fondamentale è proseguire l’attività di ricerca sui rischi legati all’uso delle tecnologie digitali, in quanto fotografa la dimensione del fenomeno e le relative necessità, anche grazie al coinvolgimento diretto dei ragazzi e delle ragazze come attori del Web. Altrettanto importante risulta essere il ruolo svolto da genitori e insegnanti, nonché l’attivazione di iniziative volte a rafforzare la conoscenza ed il senso di responsabilità nei giovani.
La gestione dei pericoli peraltro favorisce la possibilità di sfruttare appieno le potenzialità delle tecnologie digitali, alle quali i giovani non possono e non devono rinunciare, considerando che il mercato del lavoro richiederà sempre più competenze digitali.
Dal momento che la scuola rappresenta il contesto primario nel quale cominciare a lavorare su queste tematiche, vale la pena ricordare un importante riferimento normativo in proposito, ovvero la legge 20 agosto 2019, n. 92, che ha introdotto l’insegnamento trasversale dell’educazione civica nelle scuole di ogni ordine e grado. Tre sono i nuclei tematici della legge: Costituzione, Sviluppo sostenibile e Cittadinanza digitale.
L’educazione civica, come specificato all’articolo 1, “contribuisce a formare cittadini responsabili e attivi e a promuovere la partecipazione piena e consapevole alla vita civica, culturale e sociale delle comunità, nel rispetto delle regole, dei diritti e dei doveri”.
Riguardo alla “cittadinanza digitale” (art. 5) vengono indicate le abilità e conoscenze digitali essenziali da sviluppare nei curricoli di istituto quali, ad esempio: valutare criticamente l’affidabilità delle fonti di dati, individuare le forme di comunicazione digitali più appropriate a un determinato contesto, gestire l’identità digitale, proteggersi dai pericoli della rete e da fenomeni come il cyberbullismo.
Con decreto del Ministero dell’Istruzione e del Merito datato 7 settembre 2024 sono state definite le nuove Linee guida per l’insegnamento dell’educazione civica, che prevedono che a partire dall’anno scolastico 2024/2025 i curricoli di educazione civica faranno riferimenti a traguardi e agli obiettivi di apprendimento definiti a livello nazionale (https://www.istruzione.it/educazione_civica/#:~:text=Tre%20sono%20i%20nuclei%20concettuali,Cittadinanza%20digitale).
Le Linee guida costituiscono un valido strumento di supporto e sostegno ai docenti per far fronte alle sfide attuali, come l’aumento di atti di bullismo e violenza in rete, così come porre l’attenzione su temi come l’educazione finanziaria, la tutela dell’ambiente e l’educazione stradale. In materia di cittadinanza digitale viene chiarita l’importanza dell’approccio adottato, che vede l’impegno di tutti i docenti contitolari della classe e del Consiglio di classe. Vengono inoltre forniti riferimenti a utili strumenti di lavoro, come il Quadro delle Competenze Digitali per i Cittadini – DigComp2.2 – recentemente tradotto in italiano (https://www.erasmusplus.it/news/adulti/il-quadro-delle-competenze-digitali-per-i-cittadini-ora-disponibile-in-italiano-digcomp-2-2/), uno strumento sviluppato a livello europeo volto a migliorare le competenze digitali dei cittadini, ma anche a supportare i decisori politici nella proposta di politiche in materia di sviluppo di competenze digitali e di iniziative educative e formative.
Questa nuova versione del DigComp fornisce più di 250 esempi su temi nuovi ed emergenti, come i problemi di misinformazione e disinformazione, i cittadini che interagiscono con sistemi di intelligenza artificiale, comprese le competenze su privacy e protezione dei dati, nonché gli aspetti etici. Tra i temi importanti introdotti anche i problemi di sostenibilità ambientale, come ad esempio le risorse consumate nel settore ICT, e i contesti di lavoro da remoto o ibrido.
Gli strumenti ci sono, ora spetta agli esseri umani dimostrare di saperli usare nel miglior modo possibile.
Per approfondire:
- Corradini I. Crimini relazionali nell’era digitale. Aspetti psicologici e sociali per un uso consapevole delle tecnologie, Edizioni Themis, 2024.
- Ministero dell’Istruzione e del Merito, Linee guida per l’insegnamento dell’educazione civica, https://www.miur.gov.it/documents/20182/0/Linee+guida+Educazione+civica.pdf/9ffd1e06-db57-1596-c742-216b3f42b995?t=1725710190643
- Vuorikari, R., Kluzer, S. and Punie, Y. DigComp 2.2: Il Quadro delle Competenze Digitali per i Cittadini. Traduzione coordinata dal Dipartimento per la trasformazione digitale della Presidenza del Consiglio dei ministri e il co-coordinamento di Sandra Troia e Stefano Kluzer.
CULTURA E SOCIETÀ - "Tra Industria e Filosofia… Siamo pronti a tornare sui banchi di scuola?" - Marco Mozzoni
Dall’Alpi a Sicilia
dovunque è Legnano
(Goffredo Mameli)
Ora per me è speciale il 2024, perché esattamente 40 anni fa all’ITIS Bernocchi di Legnano – teatro della famosa battaglia – mi veniva conferito il Diploma di “Perito Industriale Capotecnico in Elettronica Industriale”. Dopo le medie, in verità, avrei scelto tutt’altro: il classico. Ma a 13 anni mio padre prevalse con un “classico” familiare delle parti nostre: “tua sorella fa ragioneria, tu perito”. Precisando: “alla maggiore età deciderete voi e io vi sosterrò, qualsiasi scelta farete”. Mi è sembrato un buon accordo, anche perché di alternative non ce n’erano. Per farla breve, mia sorella che è sempre stata più ragionevole ha proseguito con Economia e Commercio (in Bocconi), per poi intraprendere una brillante carriera in linea coi suoi studi. Io invece che ho fatto? Filosofia (alla Statale). “Da perito vai a fare Filosofia? Che c’entra?” Semplice: quello che non ho potuto avere prima, me lo prendo adesso. Insomma, ho fatto valere l’accordo. E mio padre, nonostante mi sognasse ingegnere, ha rispettato i patti. L’ho sempre ammirato per questo (lui non lo sa, non gliel’ho mai detto). Certo, a perito matematica era davvero nelle mie corde: mi piaceva riempire la lavagna di formule e dimostrazioni e non vedevo l’ora di fare i compiti in classe (così si chiamavano allora) in un misto di sfida, passione e talento, perché non ne sbagliavo uno e mi divertivo a sviluppare l’algoritmo a modo mio, a dispetto di chi non ci arrivava pur spaccandosi la testa. Mi dicevo: dato che la so già matematica, almeno imparo qualcosa di nuovo a Filosofia. E alla Statale mi si è aperto un mondo. Erano gli anni della Milano da bere, delle modelle che giravano in quantità in piazza Duomo. Via Festa del Perdono [1] era dietro l’angolo. Però, a una certa distanza e mai fatto il “capotecnico” in vita mia, quella pergamena scritta a mano, reliquia millenaria, la sento oggi valere molto più delle lauree che ne sono seguite.
È la fotografia, ritrovata in un vecchio cassetto, di una famiglia normale del milanese, cresciuta nel cuore dell’asse Milano-Sempione, zona industriale per eccellenza, là dove c’era “il lavoro”. Vedere le immagini delle gigantesche turbine in lavorazione alla Franco Tosi [2] campeggiare sulle pagine del libro di testo “Meccanica e macchine” non aveva prezzo. Era proprio lì da noi, a poche centinaia di metri. E appena finito l’ITIS erano le aziende a chiamarti: da non credere, ma era davvero così, parlo per esperienza. E che progresso in sole tre generazioni: nonni operai, genitori impiegati e noi, come per magia…
Mi è tornato tutto alla mente incappando in uno studio pubblicato l’altra settimana sul Journal of Education and Work, firmato da un team dell’Università di Southampton, nel Regno Unito, che ha mosso la mia curiosità a partire dal titolo: “You have to work ten times harder: First-in-Family students, employability and capital development” (Hazel et al., 2024) [3]. E chi sono questi “First-in-Family (FiF)” costretti nel terzo millennio a “lavorare dieci volte più duro” dei coetanei? Gli studenti universitari i cui genitori non sono andati all’università. I “primi in famiglia” che l’han fatto. Ma… Siamo io e i miei compagni di un tempo! Forse oggi saremmo di meno, certo, ma non pochi se è vero quello che dicono le ricerche fresche di stampa. Interessante sapere che i FiF incontrano una serie di difficoltà aggiunte rispetto ai colleghi, degli “svantaggi strutturali” che richiedono maggiori sforzi durante gli studi e nel momento di affacciarsi al lavoro. E tutte le politiche di “promozione dell’accesso” per una “mobilità sociale intergenerazionale”? Il discorso è complesso. “Studenti provenienti da realtà più povere che frequentano la stessa università e ottengono gli stessi risultati dei compagni avrebbero di fatto minore probabilità di accesso a ruoli professionali di rilievo”, sottolineano i ricercatori [4]. In gioco non ci sarebbe infatti soltanto il c.d. “capitale umano” (e il conseguente “mito della meritocrazia”), ma anche elementi altrettanto decisivi quali il “capitale identitario”, il “capitale culturale”, il “capitale sociale” [5]… In USA ad esempio i FiF hanno il doppio di probabilità (33%) di abbandonare l’università rispetto ai “non FiF” (14%) e ci mettono più tempo a laurearsi: solo il 48% di loro risulta in regola col pianodi studi. Questi e altri dati vengono analizzati da Sarah O’Shea e colleghi nel libro “First-in-Family Students, University Experience and Family Life” (Palgrave, 2024) [6]. Ma qui da noi come siamo messi? Secondo gli esperti di Openpolis, in Italia “l’istruzione dei genitori condiziona ancora il futuro dei figli […] rendendo emblematica l’ingiustizia di una situazione di partenza estremamente influenzata dalla condizione sociale ed educativa delle famiglie di origine”; in altre parole, “il titolo di studio dei genitori mantiene un’influenza sulle opportunità cui avranno accesso i minori, rendendo la povertà educativa di fatto ereditaria”; e via di questo passo: “oltre un terzo (33% – NdR) dei figli di non diplomati attraversa una condizione di deprivazione, contro il 3% dei figli di laureati”, perché “ancora oggi una bassa istruzione può essere correlata a una peggiore condizione economica e sociale” [7]. Davvero ci siamo impantanati nel “circolo vizioso della trasmissione intergenerazionale della povertà”, come sostiene un recente Rapporto del Consiglio Nazionale Giovani [8]?
Che dire… Il tema è “spesso” (per restare in clima longobardo) e delicatissimo. Rimandiamo volentieri l’approfondimento a una prossima occasione. Buone pratiche di inclusione sarebbero l’ideale in questi casi: del resto lo sancisce la Costituzione [9]. Ma dobbiamo capirci bene su cosa si intenda, perché a volte è l’etichetta aggiunta a complicare le cose. Ad esempio: a me che ci sono passato non è sembrato così drammatico come lo descrivono. Certo, rispetto ad altre realtà più “agiate” ci abbiamo messo grande impegno e non pochi sacrifici, economici e non solo; famiglie di origine in primis ovviamente. Epperò ce l’abbiamo fatta a combinare qualcosa. In modo fluido. Non irrigidendoci in compartimenti stagni, in “dibattiti e riunioni” [10] che hanno soltanto rallentato il processo evolutivo. È forse anche per questo che il diploma del 1984, ora, invece di farmi sentire vecchietto, mi fa salire su ancora una volta la voglia di rimettere tutto in gioco. Come a quel ragazzino insolente che organizzava gli scioperi al Bernocchi di Legnano.
Note
[1] Alla fine degli anni ottanta via Festa del Perdono a Milano era sede, tra l’altro, della Facoltà di Filosofia dell’Università Statale; già “Spedale dei Poveri” o Ca’ Granda – https://www.unimi.it/it/ateneo/la-statale/tra-passato-e-futuro/la-ca-granda
[2] Insieme alla Cantoni, la Franco Tosi (https://www.francotosimeccanica.it/) è una famosa azienda industriale di Legnano; avviata a fine Ottocento, ha dato lavoro a intere famiglie, istituendo anche corsi di formazione e scuole diurne per dipendenti e figli, mettendo a disposizione “case operaie considerate tra i più moderni quartieri operai d’Italia” – https://it.wikipedia.org/wiki/Franco_Tosi_Meccanica
[3] Hazel McCafferty, Michael Tomlinson & Sarah Kirby (27 Jul 2024): ‘You have to work ten times harder’: first-in-family students, employability and capital development, Journal of Education and Work, DOI: 10.1080/13639080.2024.2383561 – Open Access
[4] ibidem
[5] ibidem
[6] Sarah O’Shea, Josephine May, Cathy Stone, Janine Delahunty, “First-in-Family Students, University Experience and Family Life. Motivations, Transitions and Participation”, Palgrave McMillan, ISBN 978-3-031-34450-3, https://doi.org/10.1007/978-3-031-34451-0, 2nd ed. 2024 – Open Access
[7] Openpolis, “L’istruzione dei genitori condiziona ancora il futuro dei figli”, 26 Marzo 2024 – https://www.openpolis.it/listruzione-dei-genitori-condiziona-ancora-il-futuro-dei-figli/
[8] Claudia Cioffi (a cura di), “La povertà educativa in Italia”, Consiglio Nazionale Giovani, Ottobre 2022 – https://consiglionazionalegiovani.it/wp-content/uploads/2022/10/CNG_Poverta%CC%80EducativaInItalia.pdf
[9] “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese” (art.3, Cost.) https://www.senato.it/sites/default/files/media-documents/Costituzione_ITALIANO.pdf
[10] “Ed è normale che ci si sia rotti i ... / di passare la vita in dibattiti e riunioni / e che invece si cerchi di trovare / nella pratica un sistema per lottare” (Eugenio Finardi, “Cuba”, dall’album “Blitz”, 1978) https://youtu.be/yuwKP1CnaO8?si=UwG_P95o8CdNC8mY
PROGRAMMA IL FUTURO - "Prospettive digitali al femminile" - Francesco Lacchia
Il progetto “Programma il Futuro”, promosso dal Ministero dell’Istruzione e del Merito e realizzato dal Laboratorio “Informatica e Scuola” del CINI (Consorzio Interuniversitario Nazionale per l’Informatica), ha festeggiato quest’anno il decimo anno di attività (https://programmailfuturo.it/notizie/chiusura-decimo-anno), coinvolgendo un pubblico sempre più ampio nella sua missione di diffusione dei concetti di base dell’informatica per la comprensione della moderna società digitale.
È necessario infatti che tutti gli studenti apprendano queste conoscenze di base qualunque sia il lavoro che desiderano fare da grandi (medici, avvocati, giornalisti, imprenditori, amministratori, politici e così via) perché la conoscenza dei concetti fondamentali dell’informatica aiuta a sviluppare la capacità di risoluzione di problemi e la creatività. Ed è altresì importante affrontare il problema del divario di genere, che permane negli anni sia nella scelta di indirizzi di studio in ambito informatico, sia di conseguenza in questo ambito lavorativo.
Il fenomeno del divario digitale, legato in particolare alla popolazione femminile, costituisce un tema rilevante per il nostro Paese, che va affrontato in modo sistematico e a tutti i livelli. Vari studi e report evidenziano che le occupazioni che richiedono competenze digitali sono in forte crescita, ma le donne purtroppo risultano essere scarsamente rappresentate. Dalla recente pubblicazione ISTAT sui dati di digitalizzazione in Italia (https://www.istat.it/it/files//2024/06/STATISTICA_TODAY_ICT_2023.pdf), emerge che le competenze digitali sono caratterizzate da una disparità di genere a favore degli uomini in quasi tutti i Paesi europei, e in Italia è pari a 3,1 punti percentuali, così come è molto bassa la quota femminile nelle professioni Ict (solo il 15,7%), sotto la media Ue.
Nel contrastare tale tendenza, l’approccio culturale si rivela determinante, dal momento che implica un superamento di stereotipi che vedono la disciplina informatica e le applicazioni digitali maggiormente di interesse per il mondo maschile. Ne consegue il ruolo fondamentale della scuola e la necessità di implementare iniziative volte a far crescere percorsi di sviluppo professionale per le ragazze, le quali hanno prima di tutto bisogno di acquisire conoscenza e consapevolezza sulle più varie tematiche del digitale.
Inoltre, va da sé che favorire una più ampia diversità di genere è essenziale per ampliare prospettive e vedute e promuovere team lavorativi più bilanciati.
Con l’obiettivo di contribuire a promuovere la partecipazione di ragazze alle materie STEM, Programma il Futuro, insieme ad Eni, partner filantropo del progetto, ha realizzato una iniziativa dedicata alle ragazze delle scuole superiori per stimolare la riflessione sulla propria idea di futuro nel mondo digitale. Le ragazze che hanno aderito a La mia idea di digitale: “Prospettive al femminile” (https://programmailfuturo.it/progetto/digitale-prospettive-femminile-2024/introduzione) hanno seguito un percorso formativo e motivazionale, partecipando a quattro webinar interattivi tenuti da esperte ed esperti che hanno esplorato le diverse sfaccettature del digitale: dal ruolo del fattore umano alla comunicazione, dagli aspetti etici all’impatto sociale.
• 21 marzo 2024 – Il buon design. Perché le buone intenzioni non sono abbastanza – Viola Schiaffonati, Politecnico di Milano (https://www.youtube.com/watch?v=cUozRXf9-8k&feature=youtu.be)
• 29 marzo 2024 – La professione informatica vista dalla parte delle donne – Antinisca Di Marco, Università dell’Aquila ( https://www.youtube.com/watch?v=QGd7CxFyLcI&feature=youtu.be )
• 4 aprile 2024 – Il fattore umano nel mondo digitale: motivazioni ed esperienze – Isabella Corradini, Centro Ricerche Themis ( https://www.youtube.com/watch?v=Mrobf4m9Mbc&feature=youtu.be )
• 11 aprile 2024 – Racconti con le immagini – Andrea Bellati, Eni ( https://www.youtube.com/watch?v=4dxCQ5aG8Lw&feature=youtu.be )
Prendendo spunto dai contenuti dei webinar, alle partecipanti è stato chiesto di preparare un breve video per esporre la loro idea di futuro nel digitale.
Le quattro studentesse che hanno realizzato i video migliori sono state premiate con una partecipazione gratuita ad un campus di formazione sull’informatica, il campus PinKamP ( https://pinkamp.disim.univaq.it/ ) presso l’Università dell’Aquila. Si tratta di un’iniziativa pensata per le ragazze di terza e quarta superiore per avvicinarle all’informatica e alle molteplici possibilità con cui essa può essere applicata in tutti i campi in modo creativo e divertente. Insieme ad altre 40 ragazze delle scuole superiori provenienti da tutta Italia, le quattro vincitrici hanno quindi partecipato a laboratori STEM, seguito lezioni teoriche, esercitazioni pratiche e sfidandosi in una gara finale.
Il 10 settembre, presso il palazzo Enrico Mattei dell’Eni a Roma, si è svolta la cerimonia ufficiale di premiazione delle quatto studentesse (Asia Ciafardini, Alice De Marcellis, Angelica Fiumara, Viola Palumbo, nella foto) e delle loro docenti di riferimento, con il coinvolgimento di tutti i partecipanti al progetto (qui è possibile rivedere l’evento e la galleria fotografica https://programmailfuturo.it/notizie/premiazione-eni-2024 )
Una iniziativa che merita di essere ripetuta con una prossima edizione.
Nel frattempo Programma il Futuro si prepara ad organizzare le attività di celebrazione dell’Ora del Codice per la Settimana Internazionale di Educazione all’Informatica, che si terrà dal 9 al 15 dicembre 2024.
Con l’inizio di questo undicesimo anno scolastico, il progetto riparte come sempre con nuove energie con l’obiettivo di porre le condizioni affinché tutti gli studenti possano essere messi nelle migliori condizioni per imparare i concetti di base dell’informatica.
SALUTE E SICUREZZA - "Lavoro da remoto e lavoro ibrido" - A cura di Reputation Agency
Nuovo focus della Campagna EU-OSHA
Il lavoro ibrido e da remoto è il nuovo ambito prioritario della Campagna “Lavoro sicuro nell’era digitale”, promossa per il biennio 2023-2025 dall’Agenzia Agenzia Europea per la sicurezza e la salute sul lavoro (EU-OSHA).
Da ottobre 2024 a gennaio 2025 il tema sarà oggetto di particolare approfondimento, attraverso un’ampia gamma di materiali, che includono relazioni, schede informative, infografiche e studi di casi, il tutto nella cornice più ampia del rapporto tra lavoro e trasformazione digitale (https://healthy-workplaces.osha.europa.eu/it/about-topic/priority-areas).
Come a tutti noto, la pandemia ha avuto un grande impatto sulle modalità di lavoro, accelerando e aumentando l’adozione di modalità di lavoro a distanza, in particolare il lavoro da casa (o telelavoro) a cui si è fatto ampiamente ricorso dal lockdown in poi. Attualmente, sono sempre più frequenti situazioni organizzative basate sul lavoro ibrido, ovvero un mix tra lavoro a distanza e presso la sede aziendale.
Dai dati EU-OSHA emerge che nel 2022, il 18% dei lavoratori della zona UE27, comprese Islanda e Norvegia, ha lavorato principalmente da casa. Nel lavoro da remoto sono incluse anche le persone che lavorano presso i locali dei clienti (6%), in un sito all’aperto (come ad esempio un cantiere edile, nelle strade di una città o nei campi agricoli (5,5%), in un’auto o in un altro veicolo (3,5%) e in spazi pubblici come bar o aeroporti (2%). Mentre la maggioranza della popolazione indagata lavorava presso i locali dei datori di lavoro (65%), il lavoro da remoto era una realtà per un terzo della forza lavoro in quei paesi (https://osha.europa.eu/sites/default/files/documents/Remote_Hybrid_work-infosheet-EN.pdf ).
Uno dei temi su cui porre l’attenzione, in materia di salute e sicurezza sul lavoro, è legato alla difficoltà di definire correttamente il perimetro dei rischi per i lavoratori. Il lavoro da remoto e ibrido infatti presenta molti vantaggi a vari livelli, ad esempio: permette di risparmiare tempo ai lavoratori, abbattendo i tempi di raggiungimento del luogo di lavoro e riducendo così lo stress legato agli spostamenti oltre che migliorare l’equilibrio tra lavoro e vita privata; può favorire una maggiore produttività e una migliore concentrazione; può avere un impatto positivo sull’ambiente, riducendo l’inquinamento dovuto agli spostamenti dei lavoratori, diminuendo l’impatto sulla rete di trasporto pubblico e sulla circolazione stradale. Valutare vantaggi e svantaggi a livello individuale, organizzativo e sistemico ambientale può essere un’attività complicata, ma è anche tra le necessità organizzative più discusse negli ultimi anni.
Prendendo in considerazione il solo lavoro da remoto, a livello individuale e organizzativo, gli svantaggi sono spesso associati a un aumento della sedentarietà, a orari più lunghi e a un aumento della pressione nel raggiungimento delle scadenze e a un maggior rischio di isolamento sociale. Tutto questo, insieme alla difficoltà di controllare e valutare accuratamente l’ambiente di lavoro, può influire negativamente sulla salute dei lavoratori e contribuire allo sviluppo o all’esacerbazione di disturbi muscoloscheletrici, come dolore al collo, al polso e alle dita, dovuto probabilmente a una configurazione errata dell’attrezzatura, che all’interno di un luogo domestico è molto più difficile controllare e misurare. Inoltre, le scarse condizioni di illuminazione possono causare affaticamento degli occhi e altri effetti negativi.
Accanto a questi rischi, vanno considerati quelli più strettamente collegati con l’uso delle tecnologie digitali, strumenti imprescindibili per svolgere il lavoro da remoto, e ai rischi psicosociali e fisici che ne derivano. Questi rischi aumentano quando l’esposizione alle tecnologie digitali è prolungata per un allungamento dell’orario e dei carichi di lavoro, in assenza di giuste pause. Si parla anche di tecnostress, fenomeno che può avere come conseguenza un incremento degli stati d’ansia e stanchezza nelle persone. Inoltre, l’esposizione prolungata agli schermi può essere associata a mal di testa e affaticamento degli occhi, chiamata anche sindrome da visione al computer.
Altro fenomeno interessante, legato alla centralità dei dispositivi tecnologici nelle situazioni di lavoro a distanza, è quello del “presentismo virtuale”, che indica la tendenza delle persone a continuare a lavorare anche quando non sono in buone condizioni di salute. Tendenza che, se portata avanti nel lungo periodo, può condurre a stati di esaurimento.
Infine, un ambiente di lavoro virtuale può aumentare alcuni rischi specifici, legati a molestie in rete come il cyberbullismo o ad attacchi informatici, soprattutto in assenza di una formazione adeguata sull’uso consapevole degli strumenti tecnologici. Un problema che riguarda la sicurezza aziendale ma anche la salute mentale dei lavoratori, con aumento dello stress.
L’impatto del lavoro da casa è ancora più esteso, dal momento che può avere effetti positivi e/o negativi sui lavoratori con responsabilità di cura (caregiver), in maggioranza donne, con difficoltà di conciliare lavoro e vita privata. Essere a casa, infatti, può agevolare il carico di cura ma nello stesso tempo può portare più difficoltà a staccare mentalmente dall’uno o dall’altro ruolo che, in assenza di confini fisici, si fondono nella quotidianità, generando un potenziale sovraccarico.
Rispetto al lavoro ibrido, i dati che l’EU-OSHA mette a disposizione per questo ambito prioritario mostrano meno effetti negativi dal punto di vista del work-life balance, anche se vengono evidenziati alcuni rischi specifici, come quelli legati al cambiamento degli spazi di lavoro: il lavoro ibrido infatti spesso porta a una riduzione degli spazi negli uffici e nelle sedi aziendali, con l’adozione di postazioni di lavoro comuni e flessibili (pooling o flex-office), per cui i lavoratori, non disponendo più di una postazione fissa, devono prenotare una scrivania per lavorare quando sono in ufficio, cambiando postazione di volta in volta (fenomeno definito hot desking).
Le conseguenze sul gruppo di lavoro possono essere molteplici: indebolimento delle attività lavorative, sensazione di isolamento sociale per la difficoltà di trovare una postazione libera nella sede dell’organizzazione, inquinamento acustico per le interferenze tra postazioni, mancanza di spazi adatti alle diverse esigenze di lavoro, ecc.
In questo scenario, che porta inevitabilmente a un caleidoscopio di modalità di lavoro possibili e ad altrettante necessità di attenta valutazione di vantaggi e svantaggi, l’EU-OSHA promuove l’adozione di adeguate misure di prevenzione e di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori. Nei prossimi tre mesi, quindi, l’Agenzia svilupperà iniziative e materiali in modo da favorire la riflessione e la consapevolezza di organizzazioni, istituzioni, datori di lavoro, lavoratori e persone in generale. Sul sito ufficiale della Campagna ( https://healthy-workplaces.osha.europa.eu/it/tools-and-publications/publications ) sono già presenti alcune risorse, che andranno via via arricchendosi: Reputation Today, come media partner della Campagna, continuerà a mantenere alta l’attenzione sul tema e a fornire aggiornamenti.
REPUTATION today - anno IX, numero 42, settembre 2024
ISSN 3035-1480
Direttore Responsabile: Giuseppe De Paoli
Responsabile Scientifico: Isabella Corradini
Responsabile area Sistemi e Tecnologie: Enrico Nardelli
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Grafica: Paolo Alberti
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