
Indice
EDITORIALE - La leadership di oggi richiede autenticità
L’INTERVISTA - "Leader al femminile" - intervista a Irma Conti - a cura di Giuseppe de Paoli
CULTURA E SOCIETÀ - "Mancano i leader. Ma servono davvero?" - Marco Mozzoni
PROGRAMMA IL FUTURO - "Partecipazione, consapevolezza e autoefficacia" - a cura di Reputation Agency
EDITORIALE - "La leadership di oggi richiede autenticità" - Giuseppe de Paoli
Periodicamente nel corso del tempo si torna a parlare della partecipazione delle donne alla vita civile, sociale e lavorativa, una partecipazione che in Italia è decisamente bassa rispetto alla media Ue e puntualmente riemerge la constatazione della scarsa presenza delle donne tantopiù in luoghi di ‘potere’.
Pregiudizi, logiche di potere, atteggiamenti sessisti mettono a dura prova la capacità di leadership femminile – che pur si è dimostrata particolarmente efficace in molte occasioni – e manca ancora al di là dei convegni e delle ricorrenze da festeggiare, un pieno riconoscimento sociale del ‘potere al femminile’.
Una situazione che richiede di agire in modo costante e sistematico, considerando anche che è il modello stesso di leadership che sta cambiando in risposta al rapido succedersi dei mutamenti nell’ambito del lavoro.
Sempre più frequentemente viene considerata l’esigenza di leadership collettiva ma c’è anche chi va controcorrente come Marco Mozzoni che, oltre a sottolineare la necessità di una leadership autentica, arriva a chiedersi se oggi ci sia veramente bisogno di leader.
Le esperienze di leadership femminile di successo in Italia non mancano. L’avvocato Irma Conti, presidente nazionale dell’Associazione donne giuriste Italia (ADGI), intervistata in questo numero, ne è un esempio.
Il suo lavoro assiduo per contrastare stereotipi, pregiudizi e soprattutto il drammatico problema della violenza di genere le è valso nel 2014 il titolo di Cavaliere della Repubblica.
Parliamo di empowerment invece ricordando l’iniziativa portata avanti da Dress For Success, un’organizzazione internazionale no profit nata negli USA nel 1997 ed estesasi anche in Italia. La mission dell’associazione è supportare le donne nel raggiungimento dell’indipendenza economica e non solo visto che Dress For Success propone anche analisi di orientamento professionale, supporto alla carriera, consulenza lavorativa, creazione di nuove competenze professionali.
Il tema degli stereotipi in un’epoca sempre più caratterizzata da sistemi di Intelligenza Artificiale, porta necessariamente a riflessioni di tipo etico. Le affronta in questo numero Chiara Galimberti, Data Scientist in Eni spa, che nel suo pezzo ci descrive come si formano i bias cognitivi, anche di genere e come questi bias possono essere perpetrati dall’IA, proponendo al tempo stesso soluzioni senza pregiudizi.
In tutte queste situazioni il ruolo della consapevolezza è fondamentale. La consapevolezza è anche il fattore chiave di Programma il Futuro, che proprio a giugno ha concluso con risultati estremamente positivi l’anno scolastico 2022-2023 e si appresta a preparare le novità per il prossimo anno scolastico. Vi terremo informati sugli sviluppi.
Buona lettura!
NEWS
ITADINFO, IL PRIMO CONVEGNO NAZIONALE SULLA DIDATTICA DELL’INFORMATICA
La necessità di insegnare l’informatica nella scuola è ormai un fatto riconosciuto in tutto il mondo. L’informatica è essenziale per dotare i giovani delle competenze necessarie per partecipare attivamente alle nostre società tecnologiche e sempre più digitali, in modo responsabile e sicuro.
Ecco, quindi, che diventa ancora più importante la necessità della ricerca e della condivisione di risultati e buone pratiche.
Questi gli obiettivi del primo convegno italiano dedicato alla didattica dell’informatica (ITADINFO), organizzato dal Laboratorio Informatica e Scuola del CINI in collaborazione con il Dipartimento di Informatica dell’Università di Bari “Aldo Moro” e con l’associazione di promozione sociale “APS Programma il Futuro”. La manifestazione si svolgerà a Bari dal 13 al 15 ottobre presso iH Hotels Bari Grande Albergo delle Nazioni e, proprio nell’ottica della condivisione, prevede sessioni dedicate alla discussione di esperienze sul campo realizzate da insegnanti, alla presentazione di risultati di ricerca e alla formazione laboratoriale interattiva.
Fonte: https://www.itadinfo.it/
UNA MOSTRA CHE RACCONTA TORINO
Inaugurata il 9 giugno, in occasione della Notte degli Archivi, la mostra dal titolo Torino che non c’è più. Curiosità, stranezze e immagini mai viste. Nelle sale dell’Archivio Storico della Città di Torino saranno esposti oltre 200 pezzi tra fotografie, documenti e disegni che immortalano fatti storici e avvenimenti stravaganti della Torino di ieri e di oggi.
Tra i documenti più rari, sarà esposto per la prima volta il progetto originale di Alessandro Antonelli della cuspide della Mole, con il genio alato che dal 1889 sormontò la cupola fino al 1904, quando fu abbattuto da un uragano e sostituito con l’attuale stella. Si potrà ammirare anche il dagherrotipo del 1850 che ritrae Fritz, l’elefante indiano di re Carlo Felice che viveva nei giardini della Palazzina di Caccia di Stupinigi, o la foto della giraffa che transitò in via Roma nel 1955. Fotografie storiche e contemporanee per mettere a confronto il passato e il presente di decine di luoghi della città.
La mostra potrà essere visitata fino al 29 settembre in Via Barbaroux, 32, con orario lunedì-venerdì 8.30-16.30. Ingresso gratuito.
Fonte: http://www.comune.torino.it/ucstampa/comunicati/article_325.shtml
10 ANNI DE “IL TEMPO DELLE DONNE”
Dall'8 al 10 settembre a Milano si terrà la prossima edizione della manifestazione “Il tempo delle donne”, festival organizzato dal Corriere della Sera e nato da un'idea de La27esimaOra. Per il suo decennale, che cade nel 2023, il tema prescelto è "Libertà". Il Festival vedrà un ricco calendario di eventi che a partire dalla Triennale si snoderanno in diversi luoghi della città, con laboratori, incontri, dibattiti e performance artistiche, che vedranno protagonisti - tra gli altri - Valore D e iO Donna.
Fonte: https://www.ansa.it/
GLOBAL MOST LOVED WORKPLACES 2023
Newsweek, in collaborazione con il Best Practice Institute (BPI), ha divulgato la classifica 2023 dei 100 luoghi di lavoro più amati del mondo, il Global Most Loved Workplaces 2023. Sono stati presi in considerazione soprattutto gli aspetti culturali e di clima aziendale, oltre ai benefit e alla remunerazione, soffermandosi sulle opportunità di sviluppo professionale, il bilanciamento tra vita privata e lavoro, ascolto dei dipendenti e capacità di valorizzazione degli stessi.
Nella prima parte della classifica si trovano diverse aziende europee: già al primo e terzo posto incontriamo rispettivamente un’azienda inglese (HLB International) e una irlandese (Experian). Due le aziende italiane citate in classifica anche se in posizioni periferiche: al 75esimo posto troviamo Italgas e a farle compagnia poco sotto, all’83esimo posto, c’è Amplifon.
Nella classifica sono riportate sinteticamente le motivazioni che rendono queste aziende così amate, qui è possibile approfondirle tutte: https://www.newsweek.com/rankings/global-most-loved-workplaces-2023
Fonte: https://mostlovedworkplace.com/
SEMPRE PIÙ REGISTE DONNE NEI FESTIVAL DEL CINEMA
Alla 76esima edizione del Festival di Cannes di maggio, per la prima volta in lizza 7 registe donne, circa il 33% dei cineasti in gara. Questa presenza femminile rappresenta un record per il Premio: lo scorso anno, infatti, le registe sono state 5 e se si guarda indietro, al 2012, a Cannes non c’era nessuna regista donna. A Venezia, nel 2022, su 23 film in gara per il Leone d’oro, otto erano opere di registe. A piccoli passi si cerca di colmare il gap, anche se la strada è ancora lunga. Ma come ha affermato Fabienne Silvestre, co-fondatrice e direttrice del Lab femme de cinéma, un think thank sul ruolo delle donne nel cinema in Europa “il seme della consapevolezza sta producendo i suoi frutti”.
Fonte: https://www.internazionale.it/notizie/2023/05/16/registe-festival-cannes
L’INTERVISTA - "Leader al femminile" - Intervista a Irma Conti - A cura di Giuseppe de Paoli
“Le donne che hanno cambiato il mondo non hanno mai avuto bisogno di mostrare nulla, se non la loro intelligenza”
Rita Levi Montalcini
Avvocato, lei è da sempre impegnata contro la violenza di genere, per il riconoscimento e la tutela delle pari opportunità, per i diritti delle donne. Un lavoro assiduo che le è valso, nel 2014, il titolo di Cavaliere della Repubblica.
Indosso ogni mattina la rosellina dell’onorificenza conferitami, perché io non possa sottrarmi mai all’impegno. È un problema antropologico che ognuno di noi può e deve affrontare nella quotidianità, non solo con le meritorie ed opportune manifestazioni o iniziative specifiche da parte di alcuni, che hanno delle cadenze organizzative ed impegnano in determinati momenti, ma da parte di tutti, anche nello scambio costante con i colleghi o negli incontri personali, in famiglia, ovunque.
Occorre un cambio culturale, occorre considerare la violenza sulla donna un vulnus sociale e questo va fatto ogni giorno, in ogni nostra azione. Primo obiettivo tra tutti, combattere gli stereotipi e le degenerazioni che ne conseguono. Gli stereotipi sono genetici di un insensato e dannoso effetto sociale: la mancanza di pari opportunità che pregiudica il nostro sistema economico e sociale. È impensabile che ancora ci priviamo delle risorse straordinarie solo perché ancora c’è un favore nei confronti degli uomini, che ci tengo a dirlo, non è colpa degli uomini.
L’ADGI, l’associazione da lei presieduta, aderisce alla FIFCJ, organizzazione internazionale di giuriste donne. Quali sono gli obiettivi più importanti che pensate di raggiungere e ci vuole raccontare di alcuni risultati già raggiunti?
L’Associazione Donne Giuriste Italia (https://associazionedonnegiuristeitalia.org) è un esempio – non intendo l’unico ovviamente – di gioco di squadra tra donne, di stimolo ed impulso, di condivisione e partecipazione, di network – personale e professionale – che abbandonata la pandemia torneremo ad incrementare sempre di più.
Siamo una realtà unita, coesa, senza livore ma con proficua determinazione sulla strada verso le Pari Opportunità. Ciò lo facciamo sostenendo le socie candidate nella governance dell’Avvocatura o delle altre professioni o istituzioni, ritenendo importante che, affinché vi sia pari opportunità, si debba partire dai vertici, con una condivisione capillare. Chi ha il privilegio di essere eletta ha la responsabilità della funzione per il raggiungimento degli obiettivi di tutte, e di tutti. Io sono fiera di essere socia di una realtà cosi qualificata, di una task force sul diritto, in ogni campo e con altrettanta fierezza, sono lieta della crescita che la nostra associazione sta avendo con la costituzione di molte nuove sezioni: ora siamo 29 sul territorio nazionale, da sud a nord!
Lei ha sostenuto che una buona politica di genere è propedeutica ad una buona politica economica e sociale, di cui potranno beneficiare tutti. Come declinate il vostro impegno in tal senso, quali le vostre proposte?
Tra le più importanti, abbiamo partecipato ad audizioni e proposto la parità di genere negli incarichi professionali che prevede, semplicemente, la comparazione tra due CV per il conferimento di un mandato e poi… che vinca “il” o “la” migliore. Del resto nell’assumere un dipendente, un responsabile HR esamina vari CV, incontra vari candidati, ecco, la stessa cosa riteniamo si dovrebbe fare, nel loro interesse per un incarico professionale.
Spero davvero che questa diventi una buona prassi per tutte le imprese, oltre che una regola per gli enti e tutte le società partecipate poiché garantisce il migliore o la migliore professionista, senza alcun dispendio di energie, ma solo con una mera procedura comparativa, propedeutica al conferimento dell’incarico.
Avete trovato sufficiente riscontro nei decisori istituzionali?
Parziale, speriamo nel futuro.
Il gender-gap è ancora una realtà molto presente, a vari livelli, nel nostro Paese ove non tutti i provvedimenti presi, seppur di ‘peso’, sono stati risolutivi. Come si può migliorare la situazione?
Intanto con politiche celeri, con un approccio sistematico e strutturato, non frammentario o a spot. Occorre l’autonomia reddituale a tutte le donne con un lavoro adeguatamente retribuito. Sono contraria ai bonus perché penso che siano insufficienti e non incidono in alcun modo sulle pari opportunità, non rappresentano un investimento e non consentono il raggiungimento di risultati.
Un esempio concreto? Basta spostare i costi della violenza per il recupero delle donne maltrattate, per i figli delle vittime e per tutto ciò che ne consegue, dalla repressione alla prevenzione. Il cambio di paradigma porta a non dover recuperare una donna maltrattata ma ad evitare che ciò avvenga, per lei ed i suoi figli. Facile. Strumenti legali a portata di mano per le separazioni, patrocinio gratuito per ogni tipo di violenza.
La Regione Lazio, da qualche anno, grazie all’impegno di Eleonora Mattia, ha stipulato un protocollo straordinario con l’Ordine degli Avvocati di Roma (Presidente Antonino Galletti) e gli Ordini del distretto, istituendo un fondo per cui una donna vittima di violenza che si avvale di un avvocato esperto nella materia, può beneficiare del fondo per le spese legali sia in ambito penale che civile.
Quanto siamo lontani da una vera parità di genere?
La distanza è a portata di mano, sta a noi decidere. Non solo è a costi zero, ma è un investimento.
Immagino che una buona informazione e la didattica abbiano un ruolo chiave nel lavoro di sensibilizzazione su questi temi.
I media hanno un ruolo centrale, e sinceramente noto una attenzione particolare all’argomento, sta a noi riempirlo di contenuti da diffondere. Bisogna programmare la formazione.
Cosa vi aspettate dai referenti istituzionali?
Che si affronti la tematica con competenza qualificata ed in maniera strutturata, noi come Associazione siamo a disposizione ed abbiamo molte risorse, date sia dalla nostra esperienza che dalla conoscenza degli strumenti o dalla percezione di ciò che manca, in considerazione del nostro punto di vista privilegiato determinato dalla nostra esperienza. Ancora non comprendo che difficoltà ci sia a istituire la procedura della comparazione dei CV.
La “Certificazione di genere”: cosa può apportare di positivo nei luoghi di lavoro?
Moltissimo. È una leva normativa, premiale, che intanto ha avuto il merito di far interessare all’argomento le imprese, tutte, e poi ha già prodotto in poco tempo un significativo risultato poiché già sono 1300 le società certificate. Plauso al legislatore ed ai ministeri coinvolti.
CULTURA E SOCIETÀ - "Mancano i leader. Ma servono davvero?" - Marco Mozzoni
To be a good leader, one must first be a good person and virtues are how we become good people
I nostri leader sono in grado di fare fronte alle crisi attuali? Se lo chiedono, tra gli altri, Toby Newstead e colleghi in un libro fresco di stampa dal titolo singolare: Leadership and Virtues [1]. Per essere un buon leader – spiegano – fondamentali sono le virtù: il coraggio dà la forza di difendere i propri ideali, nonostante i rischi che possono comportare; l’umanità unisce le persone, infondendo un senso di appartenenza; la giustizia implica equità, imparzialità, responsabilità; la temperanza preserva dall’eccesso, incoraggiando alla pazienza, all’accettazione, alla pace; la trascendenza garantisce connessioni intangibili tra passato presente futuro, verso un “sé” più elevato; la saggezza stimola la curiosità, l’apprendimento, la “mente aperta”, la considerazione di differenti prospettive. “Universali e senza tempo, di virtù abbiamo bisogno per sopravvivere insieme”. La lettura del volume scorre in un fiato, in un volo che tocca Aristotele, Confucio, le prospettive indigene degli Aborigeni australiani, per atterrare alle “cinque strategie” di The Virtues Project [2], iniziativa globale destinata a “ispirare le persone di tutte le culture, ricordandoci chi veramente siamo per vivere secondo i nostri più alti valori”.
Tra questi, è la responsabilità che ad Harvard considerano essenziale per potersi ritenere un vero leader nel mondo del business. E se non se ne intendono loro… Geoffrey Jones e colleghi pubblicano quest’anno Deeply Responsible Business [3], ricordando le parole profetiche di Wallace B. Donham alla fondazione della Harvard Business School, il 4 giugno 1927: “i progressi scientifici posso aprire nuove opportunità per la felicità, ma queste non saranno garantite senza un alto livello di responsabilità”. Per il preside della nuova scuola di economia del Massachusetts, infatti, i business leader avrebbero dovuto sviluppare, unitamente a una “visione ampia e intelligente”, una “coscienza sociale”. Ai suoi tempi Donham lamentava la carenza di leader competenti per fare fronte alla “complicate questioni sociali, politiche, internazionali che minacciano la civilizzazione”. Lo diceva in pieno boom economico, i “ruggenti anni venti”. Per questo gli davano dell’eccentrico, quando non del matto. Venti mesi dopo, il crollo di Wall Street e la “grande depressione”. Aveva ragione lui. Nel frattempo, di là dell’Oceano, Hitler cavalcava il malcontento germanico, preparandosi a diventare un leader con pieni poteri.
Ovvio che non c’è solo il profitto delle aziende a cui guardare. Singolare però che sia proprio Harvard oggi a suggerire “il miglior modo per reimmaginare il capitalismo come sistema: reimmaginare il business e i suoi propositi sociali”. Può sembrare naïve, dice l’autore, ma il successo non va misurato soltanto in pecunia, se vogliamo “migliorare la società e risolvere i problemi del mondo”.
Insomma, nella cassetta degli attrezzi dei leader devono esserci anche i “valori”, non solo materiali: tra questi, onestà, generosità, lealtà, compassione, saggezza pratica nei termini della “phronesis” di cui parlava appunto lo Stagirita.
Soprattutto, non deve mancare l’autenticità. Di ciò è convinto Spencer Shaw della Copenhagen Business School, che ha appena dato alle stampe The Philosophy of Authentic Leadership [4]. I tempi in cui i Filosofi guardavano dall’alto le attività di business come “mercenarie” sono finiti, afferma: “la Filosofia, dopo tutto, è la ricerca della conoscenza dei principi fondamentali della realtà” ed essa può osservare il business sia a livello micro (attività individuale, condotta pratica, ecc.) che macro (ideologico, strategico, politico, spirituale). Tutte le correnti discussioni sulla “corporate social responsibility”, sulla sostenibilità, sui consumi etici, non possono non avere radici nelle discussioni dei grandi Filosofi del passato. In quest’ottica è possibile esplorare la natura della leadership non soltanto in termini di soggettività personale (aka interessi particolari) ma da una prospettiva squisitamente sociale. In termini pragmatici, i leader “autentici” costruiscono ponti empatici con i propri collaboratori, da intendersi non tanto in termini di attrazione o impulso, ma – da un lato – di comprensione pratica dei reali interessi, dall’altro del sentirsi “presi in carico da chi ha il potere”. E qui molti si chiedono “dove sono andati tutti i leader”. Perché il leader autentico non deve domandarsi “chi sono io?”, ma “chi siamo noi?” Il leader autentico – conclude infine l’Autore – non è l’espressione di una autonomia in termini di desideri personali, ma una sorta di “impresa sociale” strettamente legata agli altri, con connessioni solidificate da “fiducia e integrità”.
I leader infatti non sono soli in mezzo a un deserto. Che fare allora quando la stessa cultura organizzativa è “tossica”? Ne parla Susan Hetrick in Toxic Organizational Cultures and Leadership [5], portando i riflettori sul “lato oscuro della corporate culture” che ancora oggi alimenta il crimine fraudolento. Secondo una indagine di Gallup, in USA il 50% dei lavoratori lascerebbe la propria azienda (non solo privata) per queste ragioni. Devianti, aberranti, pericolosi. Sono i termini che meglio descrivono questi ambienti e le persone (leader ma non solo) che ci sguazzano.
Qui in Italia ne avevamo parlato fuori dai denti già nel lontano 2012, mettendo a punto la Corporate Psychopaths Theory [6]. “Se non abbiamo ancora trovato soluzioni alla crisi mondiale – riflettevamo – forse ne stiamo comprendendo l’origine in quella dimensione psicopatica di decisioni finanziarie e industriali dannose per la comunità e vantaggiose per i pochissimi che l’hanno generata. Come è possibile che i tratti psicopatici, con una strutturale attività di predazione intraspecie, siano sopravvissuti all’evoluzione e in grado di condizionare anche pesantemente il potere a vari livelli?”
È un cane che si morde la coda. Un po’ ai geni, un po’ all’ambiente, alla fine. E la frittata è fatta. Ma da qualche finestra, se non proprio dalla porta principale, bisognerà pur uscirne.
La Hetrick, dopo una analisi dettagliata di come nascono e prosperano le dinamiche tossiche nelle organizzazioni, abbozza qualche soluzione nel modello “Respect”: riallineare i valori istituzionali misurando il coinvolgimento e l’inclusione; garantire la sicurezza psicologica dei lavoratori; rinforzare la leadership quale modello di comportamento; elevare il benessere organizzativo; eliminare definitivamente i comportamenti tossici; ripensare i processi di carriera. Insomma, diffondere una “cultura sana” nel contesto lavorativo.
E se “la fiducia è la questione centrale nelle relazioni umane, senza fiducia non puoi essere un leader”. Parola degli americani Kouzes e Posner, che in The Leadership Challenge [7] ci danno le dritte su come indurre gli altri a rendere possibili cose straordinarie, trasformare valori in azioni, visioni in realtà, ostacoli in innovazioni, conflitti in solidarietà, rischi in soddisfazioni.
Ma è davvero così facile? Soprattutto, siamo davvero sicuri che i leader siano ancora (se mai lo sono stati) così necessari?
Note
[1] Toby P. Newstead, Ronald E. Riggio (editors), “Leadership and Virtues. Understanding and Practicing Good Leadership”, Routledge, 2023
[2] https://www.virtuesproject.com/
[3] Geoffrey Jones, “Deeply Responsible Business. A Global Hystory of Values-Driven Leadership”, Harvard University Press, 2023
[4] Spencer Shaw, “The Philosophy of Authentic Leadership”, Springer, 2023
[5] Susan Hetrick, “Toxic Organizational Cultures and Leadership. How to Build and Sustain a Healthy Workplace”, Routledge, 2023
[6] Ambrogio Pennati, Isabella Merzagora, Marco Mozzoni, “Psicopatici e crisi finanziaria: la Corporate Psychopaths Theory”, Brainfactor, 26/11/2012
[7] James M. Kouzes, Barry Z. Posner, “The Leadershi Challenge. How to Make Extraordinary Things Happen in Organizations”, Wiley and Sons, 2023

DALLE AZIENDE - "Intelligenza artificiale ed etica: come immaginare soluzioni senza pregiudizi" - Chiara Galimberti
In questo articolo andremo ad approfondire come esista un collegamento tra intelligenza artificiale (IA) e bias cognitivi che porta inevitabilmente a porsi delle riflessioni di tipo etico. Il tema diventa importante dal momento che l’IA è sempre più pervasiva negli strumenti che utilizziamo sia in ambito professionale che nelle nostre attività quotidiane: può essere una raccomandazione sul prossimo acquisto da fare o un film da vedere, una pubblicità che visualizziamo su una pagina web oppure un traduttore online. Nell’utilizzare questi strumenti, ci aspettiamo implicitamente che l’IA sia in grado di rispondere a tutte le domande e svolgere molte attività diversificate con un’accuratezza elevata e crescente nel tempo, agendo in autonomia nel conseguire gli obiettivi assegnati nel breve e lungo termine. In generale, quello che accomuna questo tipo di sistemi è la loro capacità di “imparare ad imparare”, ovvero di essere in grado di rispondere a domande o risolvere problemi che hanno imparato ad affrontare. Questa abilità è possibile grazie a una conoscenza di base che possono usare per eseguire determinate attività e generalizzare anche in contesti non appresi direttamente.
Si intuisce come l’aspetto dell’apprendimento di regole e relazioni sia un aspetto delicato sia dal punto di vista di sviluppo di una soluzione efficace sia dal punto di vista etico. Dato che l’intelligenza artificiale non agisce in modo isolato, ma è influenzata dal contesto di riferimento e le informazioni processate, è necessario porre attenzione ai dati e all’approccio scelto per evitare di trasferire inconsapevolmente dei bias.
I bias sono un concetto legato al funzionamento del pensiero umano, ovvero come noi elaboriamo spontaneamente le informazioni. Il pensiero può essere diviso in due macrocategorie: istintivo e razionale. Il lato istintivo è utilizzato quasi la totalità delle volte perché è la parte che agisce più velocemente e in modo impulsivo, andando ad elaborare stimoli esterni in modo quasi automatico. La controparte razionale, invece, ha una dinamica più lenta e riflessiva che permette di agire in modo più analitico. Per non sovraccaricare il nostro sistema razionale ed avere una risposta più veloce, utilizziamo implicitamente la parte istintiva utilizzando le euristiche. Queste possono essere considerate come delle «scorciatoie» che permettono di dare risposte e giudizi in tempi rapidi basandoci sull’intuito e su informazioni che abbiamo precedentemente acquisito.
Sebbene il processo decisionale sia accelerato da questo meccanismo, le euristiche possono involontariamente portarci a distorcere fatti e la realtà. Questo risultato va a definirsi come bias cognitivo, ovvero un pregiudizio che allontana il soggetto da un giudizio corretto e oggettivo: elaborando un’informazione velocemente partendo da dati noti si rischia di trarre conclusioni parziali che non abbiano tenuto in conto di ulteriori fattori contestuali. I bias possono riferirsi a diverse caratteristiche di un soggetto come, ad esempio, la cultura o il genere. Un esempio di bias molto comune è lo stereotipo. Viene definito come aspettarsi che un membro di un certo gruppo abbia determinate caratteristiche o comportamenti senza avere informazioni reali sull’individuo, ma generalizzando rispetto ad un’informazione parziale associata al gruppo stesso.
Prima di affrontare il tema di come l’intelligenza artificiale possa perpetrare dei bias, è opportuno fare chiarezza su alcuni termini che spesso vengono impropriamente utilizzati come sinonimi: ”Intelligenza Artificiale” e “Machine Learning”.
Con Intelligenza Artificiale, si intendono sistemi in grado di affrontare compiti per i quali non sono stati esplicitamente programmati. Dunque, l’apprendimento su come affrontare un problema avviene attraverso un insieme di regole, l’osservazione di dati o l’esperienza diretta in ambienti simulati. Nonostante ora sia una tematica di interesse crescente, questo termine è stato introdotto a partire dagli anni ’50 e alcuni sistemi progettati molto tempo fa sono ancora adesso utilizzati. Ad esempio, il pilota automatico di un aereo permette il controllo del velivolo in modo automatizzato grazie all’utilizzo di regole specifiche scritte da esperti.
Alternativamente, ci sono sistemi di intelligenza artificiale che basano il loro funzionamento sulla capacità di apprendere relazioni tra i dati osservati (numerici, testuali, immagini, …). In questo caso si parla di “Machine Learning” (“apprendimento automatico”) e queste tecniche permettono di utilizzare l’informazione appresa per risolvere problemi come, ad esempio, classificazioni o previsioni. Per applicazioni più complesse, si utilizzano tipicamente metodi di “Deep Learning” che si basano maggiormente su modelli di reti neurali.
Al fine di costruire un’intelligenza artificiale che sia etica, occorre dunque porre particolare attenzione durante la fase di progettazione e sviluppo, considerando tutti i fattori esterni rilevanti e bilanciando i pregiudizi umani che potrebbero essere trasferiti.
Un sistema di intelligenza artificiale può essere affetto principalmente da due tipologie di bias. La “punta dell’iceberg”, dove si ha maggiormente il focus, sono gli errori di tipo statistico e computazionale. Questi sono legati unicamente alla definizione delle tecniche e gli approcci utilizzati per il loro funzionamento, con l’obiettivo di avere un sistema con alte performance. D’altra parte, esistono bias di tipo umano e sistemici che possono essere implicitamente trasferiti all’interno delle tecniche utilizzate, principalmente tramite i dati e il contesto. A livello di sviluppo, tra le fasi più a rischio ci sono ad esempio: la selezione delle sorgenti dei dati o delle variabili da considerare, l’elaborazione e raggruppamento del dato grezzo o l’imputazione di dati mancanti. Per quanto riguarda i dati, le tipologie più sensibili a un bias (nella loro elaborazione ed utilizzo) sono maggiormente dati testuali e immagini dal momento che una loro compressione e trasformazione in valori numerici (ai fini dell’utilizzo di alcuni algoritmi e approcci) potrebbe generalizzare troppo ed eliminare informazioni di contesto o aspetti socio-culturali rilevanti. È importante riflettere anche sul fatto che il bias può non essere presente nel dato di partenza, ma nel modo profondo in cui l’algoritmo cerca di apprendere delle connessioni complesse. Per capire questi aspetti in generale, c’è un aneddoto famoso nell’abito della ricerca. È stato addestrato un modello a distinguere tra lupi e husky, partendo da delle foto. Nonostante il modello avesse accuratezza alta nella classificazione di immagini nuove, guardando agli errori commessi su foto molto chiare i ricercatori hanno scoperto che il modello aveva imparato a classificare un’immagine in base alla presenza o meno di neve (presente in tutte le immagini dei lupi e in nessuna degli husky).
Vediamo, invece, un paio di esempi di bias di genere all’interno di tool di intelligenza artificiale. C’è un sistema di IA in grado di generare immagini a partire da un input testuale. Se proviamo a scrivere “persona di successo” (vedi figura) oppure “astronauta” la maggior parte delle volte potremmo vedere che tra le immagini generate viene raffigurato un soggetto maschile, invece che un’equa rappresentazione di donne e uomini.
Un altro esempio lo troviamo nei sistemi di traduzione tra due lingue. Essendo che tipicamente i traduttori sono ottimizzati per la lingua inglese (gender-neutral per la maggior parte dei vocaboli), la traduzione tra due lingue straniere viene fatta usando come ponte l’inglese stesso. In questo modo, si perde potenzialmente l’informazione originaria del genere di una parola e, implicitamente, si va a includere uno stereotipo di genere. Questo si nota principalmente dalla traduzione di vocaboli relativi a professioni fortemente stereotipizzate come dottore, maestra e infermiera. Il risultato cambia se al traduttore forniamo delle informazioni di contesto attraverso aggettivi, che aiutano a caratterizzare il genere del vocabolo.
Come abbiamo visto in questi esempi, è fondamentale porsi anche domande di tipo etico durante lo sviluppo e l’analisi di soluzioni di AI. Data l’attenzione del tema, anche a livello istituzionale europeo, sono state proposte linee guida a supporto degli sviluppatori (si veda ad esempio il report dell’Agenzia Europea per i diritti fondamentali oppure The Artificial Intelligence Act). L’uomo diventa dunque centrale nell’ideazione di un’intelligenza artificiale che sia davvero etica, poiché deve essere in grado di valutare se vengano garantiti valori quali equità e sicurezza per gli utenti finali.
PROGRAMMA IL FUTURO - "Partecipazione, consapevolezza e autoefficacia" - A cura di Reputation Agency
Tre punti di forza del progetto
Risultati positivi per l’anno scolastico 2022-2023 raggiunti da “Programma il Futuro”, progetto attivo fin dal 2014, promosso dal Ministero dell’Istruzione e del Merito (precedentemente MIUR, Ministero dell’Università e della Ricerca) e realizzato dal Laboratorio Informatica e Scuola del CINI.
Gli obiettivi raggiunti
Oltre 3 milioni gli studenti annualmente coinvolti nelle varie attività del progetto, più di 63.000 gli iscritti alla piattaforma ai quali sono stati indirizzati 60 webinar con esperti del mondo digitale, circa 160.000 le guide sulla cittadinanza digitale consapevole scaricate da docenti e genitori e oltre 470.000 le visualizzazioni dei video associati alle lezioni.
“Programma il Futuro” si conferma sempre più come riferimento nazionale sui temi dell’educazione digitale, ricordando come nell’aprile del 2022 nell’ambito del 1° Premio Nazionale per le Competenze Digitali – promossa dal Dipartimento per la trasformazione digitale della Presidenza del Consiglio dei Ministri – il progetto sia risultato primo nella categoria “Digitale nell’educazione per le scuole”.
Molto interessante l’effetto positivo del progetto sul senso di autoefficacia degli insegnanti: secondo il rilevamento effettuato dal Centro Ricerche Themis, che ne cura il monitoraggio, su un campione di 1.554 insegnanti che ha risposto al questionario, quasi 90% dichiara che svolgere le attività di Programma il Futuro ha aumentato la conoscenza e la sicurezza nell’insegnare informatica, mentre una percentuale superiore al 90% afferma di aver incrementato la propria fiducia di ottenere risultati positivi nell’insegnare informatica.
Un risultato importante considerato che la maggior parte degli insegnanti del progetto insegna nella scuola primaria, non ha un background informatico e si prepara ad un futuro in cui l’informatica potrebbe diventare materia di insegnamento nei curricula scolastici: ad aprile 2023 la Commissione Europea ha pubblicato una proposta di Raccomandazione al Consiglio dell’Unione Europea (COM(2023) 206 final) che manda un segnale forte e chiaro in tema di insegnamento dell’informatica nella scuola, ricordando che «l’Informatica è progressivamente diventata un’importante competenza fondamentale a fianco delle tre-R: lettuRa, scrittuRa, aRitmetica».
L’evento di premiazione
Gli obiettivi raggiunti sono stati presentati il 13 giugno, nel corso dell’evento di premiazione del concorso “Libertà e solidarietà nella società digitale” organizzato per questo anno scolastico, ispirato dalla consapevolezza della sempre maggiore crescita del potere del digitale.
Nell’era digitale, infatti, sembra che non vi siano più limitazioni fisiche alle nostre attività, dal momento che attraverso dispositivi e piattaforme digitali siamo in grado di superare i confini del tempo e dello spazio: ciò che facciamo può essere visto attraverso la Rete da chiunque nel mondo e rimanere visibile in eterno. Questo potere apparentemente illimitato deve comunque essere esercitato tenendo conto della necessità di non prevaricare la libertà degli altri e, anzi, costituisce un’eccellente opportunità, mai avuta prima nella storia, di condividere e collaborare nell’interesse comune, superando barriere spaziali e temporali.
Le iniziative di condivisione della conoscenza attuabili attraverso le piattaforme digitali alimentano un processo virtuoso di arricchimento culturale attraverso lo scambio di specifiche competenze. Non solo, favoriscono lo sviluppo di una visione solidale della vita sociale che è fondamentale per la crescita collettiva. Un proverbio africano molto diffuso in tutto il continente recita «serve un villaggio per far crescere un bambino»: recuperare il senso della solidarietà e la comprensione profonda dell’interdipendenza che ci lega è vitale per mantenere i valori umani in una società digitale che tende, attraverso la tecnologia, a farceli dimenticare.
Il concorso è stato bandito il 1 dicembre 2022 con una Circolare del Ministero dell’Istruzione (nota introduttiva e regolamento ) che ne ha definito il regolamento e gli elementi salienti.
L’iniziativa ha portato studenti di tutti i livelli di scuola a riflettere e a produrre elaborativi creativi sui temi oggetto del concorso. 14 le classi vincitrici – 3 primaria piccoli, 4 primaria grandi, 5 medie e 2 superiori – premiate dai partner che supportano il progetto, Eni (filantropo) e SeeWeb (donatore).
L’evento, le foto e i premi sono disponibili a questa pagina: https://programmailfuturo.it/notizie/chiusura-nono-anno

DONNE E LAVORO - "Dress for Success: un impegno concreto per l’empowerment femminile" - A cura della Redazione
La situazione per le donne al lavoro ad oggi non è affatto rosea. Secondo i dati ISTAT pubblicati lo scorso marzo in Italia l’occupazione femminile è del 51,6% contro il 70,1% di quella maschile (https://www.istat.it/it/archivio/284162). Il problema però non si esaurisce qui: gli stipendi delle donne che lavorano sono inferiori di quasi 1 euro/ora in media rispetto ai corrispettivi ruoli maschili e il divario aumenta se si fa riferimento alle posizioni dirigenziali (+27,3%) o si guarda ai laureati (18%) (https://www.econopoly.ilsole24ore.com/2023/04/13/parita-genere-dati-ai/).
Proprio perché la situazione, in Italia e non solo è ancora lontana dalla parità, l’Ue ha inserito nell’Agenda 2030 l’ambizioso obiettivo dell’uguaglianza di genere e dell’autodeterminazione di tutte le donne. Intanto sono in forte crescita le istituzioni, le organizzazioni aziendali e le associazioni che si muovono verso tale direzione e supportano il cammino per valorizzare il femminile.
Dress for Success (https://dressforsuccess.org) è una di queste: DFS è un’organizzazione internazionale no profit nata negli USA nel 1997. Da allora la sua presenza è diventata sempre più estesa: ad oggi è presente in 30 paesi e 150 città, tra cui in Italia a Roma e Milano. La mission è supportare le donne nel raggiungimento dell’indipendenza economica ma non solo visto che l’associazione propone anche analisi di orientamento professionale, supporto alla carriera, consulenza, creazione di nuove competenze professionali.
L’operato di Dress for Success e delle sue volontarie e volontari è guidato da un sogno, reso concreto dalle azioni quotidiane che porta avanti: creare le condizioni affinché le donne possano fuoriuscire da situazioni di povertà, essere trattate con dignità e rispetto sia nel loro ruolo familiare che professionale, per contribuire allo sviluppo di sé e della comunità come meglio possono e vogliono.
DFS Roma (https://rome.dressforsuccess.org/about-us/what-we-do/) è nata nel 2017 e nei suoi primi 5 anni di attività (fino al 2022) ha già supportato oltre 320 donne, al netto delle difficoltà operative riscontrate durante la pandemia. Coloro che si rivolgono a DFS possono essere giovani alle prese con la prima occupazione, donne che per ragioni di maternità sono rimaste fuori dal mercato del lavoro e ora sentono la necessità di rientrarvi, straniere da poco arrivate in Italia che sentono la necessità di avere punti di riferimento per inserirsi nell’attuale mondo del lavoro.
Dress for Success accoglie le richieste per poter lavorare insieme e favorire percorsi di sviluppo personale e professionale, dando questa opportunità anche alle volontarie che scelgono di dedicarle del tempo. Collaborare con DFS significa infatti dare supporto e crescere insieme alle beneficiarie e all’associazione, umanamente ancora prima che professionalmente. Ogni volontaria è infatti seguita costantemente, per poter garantire alle destinatarie degli interventi una qualità relazionale e professionale più elevata possibile.
Il sostegno dell’associazione a tutte le sue beneficiarie prende l’avvio da un percorso di orientamento professionale, in cui ogni donna destinataria dell’intervento incontra una volontaria o un volontario del Career Center che la seguirà nel tempo. Il supporto è mirato a comprendere le necessità della donna per supportarla verso il raggiungimento del proprio obiettivo professionale, attraverso un lavoro di sviluppo della propria consapevolezza e degli strumenti utili a rintracciare opportunità professionali (CV, lettera di presentazione, networking, ecc.). Dopo aver concluso questa parte del percorso, si apre la consulenza di immagine con la personal stylist volontaria: ogni donna è seguita in questo ulteriore momento di valorizzazione, che si conclude con la donazione di un abito o un accessorio da portare con sé per sostenere i colloqui di lavoro. Molti degli abiti sono frutto di partnership con case di moda (es. Fendi, Marina Rinaldi, Patrizia Pepe, Arvedo Arvedi, ecc.) e rappresentano il simbolo della fiducia di Dress for Success nelle donne e nella loro capacità di farcela. Portando via con sé l’abito, la beneficiaria può portare nella sua quotidianità il segno tangibile della strada percorsa, continuando a sentire la vicinanza dell’associazione e per muoversi con più sicurezza nel mondo del lavoro.
L’accompagnamento che l’associazione fornisce non si esaurisce qui: le volontarie del Career Center mantengono i rapporti con le beneficiarie tramite follow up sul loro percorso lavorativo, le beneficiarie vengono coinvolte in momenti di formazione professionale e crescita personale, programmi di mentoring e di borse di studio, occasioni di scambio e confronto con reti e aziende, così da favorire la loro crescita come persone e professioniste. L’attenzione alla persona, l’accoglienza dell’altra e il principio dello scambio permea ogni attività di Dress for Success, tanto che alcune delle beneficiarie diventano poi esse stesse volontarie, pronte a ricambiare l’aiuto ricevuto destinando le loro nuove competenze verso altre donne in cerca di supporto.
Il concetto di rete è molto caro a Dress for Success, che lavora costantemente per creare partnership di sviluppo con realtà di tutti i settori (es. centri di formazione, agenzie per il lavoro, multinazionali, coworking, reti di aziende, università, ecc.), generare opportunità per le beneficiarie e ottenere donazioni utili a sostenere gli sforzi associativi e gli eventi organizzati ogni anno. Ciclicamente, vengono organizzate campagne di donazioni di abiti e di sviluppo partnership, così da sensibilizzare le realtà organizzative e non all’importanza del contributo di ognuno.
Fare squadra, creare valore insieme e poter aprire una strada anche a chi pensa di non averne più è la missione che ha scelto Dress for Success per contribuire all’empowerment femminile. Ogni donna che trova la sua strada per rimettersi in gioco è un successo e ogni nuovo contributo che DFS ottiene per concorrere a questo obiettivo è prezioso. Perché, come si legge dal loro sito, “Se vuoi andare veloce, vai da solo. Se vuoi andare lontano, vai insieme”.

REPUTATION today - anno IX, numero 37, giugno 2023
Direttore Responsabile: Giuseppe De Paoli
Responsabile Scientifico: Isabella Corradini
Responsabile area Sistemi e Tecnologie: Enrico Nardelli
Redazione: Ileana Moriconi
Grafica: Paolo Alberti
Pubblicazione trimestrale registrata presso il Tribunale di Roma il 13/02/2014 n. 14
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Il sommario dovrà chiarire lo scopo e le conclusioni del lavoro e non dovrà superare le 300 battute (spazi inclusi).
Didascalie e illustrazioni devono avere un chiaro richiamo nel testo.
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