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Reputation Today n° 33 - giugno 2022


EDITORIALE - "Sostenibilità e digitale, al via una nuova era?" - Giuseppe de Paoli

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Nel Mondo c’è una pesante situazione di squilibrio. 811 milioni di persone soffrono la fame e l’insicurezza alimentare (161 milioni in più rispetto al 2019!),700 milioni non hanno accesso all’energia elettrica e si prevede che entro il 2030 miliardi di persone non avranno accesso ad acqua potabile.
È la situazione del nostro pianeta ricordata in questi giorni dal segretario generale dell’Onu Antonio Guterres in vista dell’appuntamento, a luglio, dell’High-Level Political Forum, il forum delle Nazioni Unite dedicato allo sviluppo sostenibile.
Una situazione pesantissima aggravata negli ultimi tempi dalla pandemia e dalla guerra, con tutte le conseguenze economiche, sociali ambientali, che colpiranno soprattutto, ancora una volta, i paesi più poveri.
In questa situazione sarà davvero difficile, se non impossibile, raggiungere gli ambiziosi obiettivi della transizione ecologica, contrastare il disastro ambientale e affrontare, al tempo stesso, l’enorme questione della lotta alla povertà.
La tentazione sarebbe di ritirarsi, come il personaggio protagonista de La casa in collina di Pavese, ma è anche vero che affrontare con coraggio le crisi -che siano esse legate al clima, alla guerra o alla pandemia – è non solo necessario ma persino doveroso.
Questa difficilissima situazione poi rappresenta anche un’occasione per costruire un’economia e una società più a misura d’uomo, più capace di progettare un futuro e più giusta a partire dalle piccole cose che anche noi possiamo fare, come l’attenzione agli sprechi e la rinuncia ai consumi inutili.
Oggi più che mai serve una economia in grado di rilanciare e rafforzare la cooperazione – oggi seriamente indebolita – e valorizzare il ruolo della tecnologia sostenibile, pur tenendo conto che le tecnologie digitali ‘impattano’ comunque sul piano fisico e sono responsabili, in qualche misura, dell’inquinamento globale.

È fondamentale quindi (ri)progettare, produrre nuovi modelli di consumo e nuovi punti di vista e questo implica nuovi interventi culturali, economici, sociali.
Ma già il digitale ha consentito di “far lavorare le persone in maniera più sicura ed efficiente, di creare digital twin degli asset, e digitalizzare gli impianti migliorandone sicurezza ed efficienza”. scrivono in questo numero Stefania Novello e Tommaso Pagano, che ci raccontano anche l’impegno dell’Eni sulla questione.

L’avvocata Ilaria Li Vigni si concentra sulla scarsa partecipazione di donne allo sviluppo del mondo digitale, un fatto che rischia di rendere il mondo digitale meno aperto e inclusivo “finendo per incorporare, nei sistemi e negli algoritmi che regolano la società, stereotipi e pregiudizi tipici della cultura maschilista”.

Enrico Nardelli torna sulla questione della sostenibilità e soprattutto sulla importanza d’introdurre nelle scuole l’insegnamento dell’informatica, anche per i docenti di altre discipline, perché “anche se non tutti ne sono consapevoli, l’informatica sta alla base del digitale. E senza l’informatica non c’è digitale”.

Francesco Macchia ci accompagna nel mondo virtuale del fediverso – che è anche una grande operazione di marketing – e ci racconta di come molti utenti di questo sistema di piattaforme puntino a vivere l’esperienza social senza condizionamenti algoritmici e senza ‘modelli’ che limitino il loro libero arbitrio.

Marco Mozzoni invece mette in rilievo una questione molto attuale: la polarizzazione nei dibattiti, un fenomeno che ha origini lontane e, come conferma uno studio dei ricercatori della Northester University di Boston, può avere effetti dannosi addirittura sulla salute fisica, oltre che mentale, delle persone.
Buona lettura!

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NEWS

LA TOP FIVE DELLE CITTA' ITALIANE PIU' VIVIBILI
Il Sole 24 Ore ha lanciato la seconda edizione della classifica delle migliori città italiane per qualità della vita. Sono stati presi in considerazione 3 indici, il cui calcolo si è basato su 12 parametri individuati da fonti istituzionali (Istat, Miur, Iqvia e Centro Studi Tagliacarne) che hanno dato vita a 3 classifiche: qualità della vita per bambini, giovani e anziani.
Per i bambini, la top five delle migliori città italiane per qualità della vita vede Aosta in cima alla classifica, seguita da Arezzo, Siena, Firenze e Udine. Prendendo in considerazione il target giovani, la classifica si modifica così: sul podio, in ordine, troviamo Piacenza, Ferrara e Ravenna, seguite da Vercelli e Cremona. Spostando lo sguardo verso le città che offrono una migliore qualità della vita per gli anziani, troviamo invece Cagliari, Bolzano e Trento tra le prime tre, con Roma e Nuoro rispettivamente al quarto e quinto posto.
Gli indicatori sono stati 36 e fanno emergere, nel complesso, la Toscana come regione con una migliore qualità della vita per i bambini, mentre per i giovani la migliore regione è l’Emilia Romagna. Per gli anziani invece è la Sardegna ad essere la regione migliore in cui invecchiare.
https://lab24.ilsole24ore.com/qualita-della-vita-generazioni/#

LA VIRTUAL REALITY A VENEZIA LIDO IN PRESENZA
Dal 31 agosto al 10 settembre si svolgerà a Venezia la 79esima edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica. Anche quest’anno, all’interno della manifestazione ci sarà la sezione Venice Immersive, dedicata alla realtà virtuale, che vedrà in concorso un massimo di 30 progetti in VR in anteprima mondiale e/o internazionale. L’edizione Virtual Reality 2022 tornerà in presenza e sarà ospitata al Lazzaretto Vecchio.
L’obiettivo di questa sezione è accogliere e favorire la crescita dei media immersivi, aprendo le porte all’accesso dell’innovazione tecnologica nel cinema, andando anche al di là delle tecnologie di Virtual Reality, per includere tutti i mezzi di espressione creativa come l’Extended Reality.
All’interno di questa sezione, alcuni lavori verranno ammessi su invito e saranno presentati fuori concorso nella categoria Best Immersive, selezionati tra i migliori progetti presentati nel corso di altre manifestazioni tenute negli ultimi 12 mesi dalla conclusione della scorsa edizione della Mostra del Cinema di Venezia. Sempre fuori concorso, verrà presentata anche una selezione dei migliori mondi online, creati negli ultimi 12 mesi dall’ultima Mostra. Alla selezione parteciperanno anche i lavori presentati alla sesta edizione di Biennale College Cinema-VR (ovvero l’edizione 2021-2022), da cui è stato selezionato il progetto Manus prodotto da team di Olanda e Turchia.
https://www.labiennale.org/it/news/biennale-college-cinema-%E2%80%93-vr-italia-lanciato-il-nuovo-bando

A SETTEMBRE LA NONA EDIZIONE DEL FESTIVAL DI CAMOGLI
Dall’8 all’11 settembre si svolgerà a Camogli il Festival della Comunicazione, giunto alla nona edizione.
Il tema del 2022 è la Libertà, intesa come “la condizione che ci consente di esprimere chi siamo nel profondo e di manifestare agli altri la nostra identità e la nostra individualità, oltre qualsiasi forma di costrizione e di condizionamento”. Il festival, nato da un’idea di Umberto Eco, vedrà in questa edizione il più vasto numero di incontri mai presentato, con oltre 120 ospiti.
Ad aprire il Festival sarà Alessandro Barbero. Si alterneranno ospiti del mondo scientifico, giornalistico, televisivo, musicale, sportivo, letterario ma anche aziendale e istituzionale, componendo un programma che alterna lectio magistralis, aperitivi in terrazza, spettacoli a podcast, escursioni e laboratori dedicati a bambini e ragazzi.
Per la prima volta, il Festival ospita una nuova sezione dedicata a libero arbitrio e all’intelligenza artificiale, in collaborazione con lo Human Technopole, dal momento che per il nostro presente è un tema strettamente connesso con l’oggetto del festival stesso, la libertà.
http://www.festivalcomunicazione.it/

BANDI PER PROGETTI DI RIGENERAZIONE URBANA
Si è appena aperta la quarta edizione del Creative Living Lab, un premio promosso dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura per il sostegno ai progetti di rigenerazione urbana realizzati nei territori italiani caratterizzati da fragilità sociale, ambientale ed economica.
L’azione 1 è dedicata a progetti di rigenerazione urbana già realizzati, per sostenere la prosecuzione di attività di innovazione sociale e di nuove forme di aggregazione e azioni di comunità, mentre l’azione 2 mira a sostenere nuovi progetti dedicati a luoghi da rigenerare, idee per trasformare gli spazi in disuso in luoghi accessibili da restituire alla comunità.
Possono partecipare a Creative Living Lab soggetti pubblici e privati senza scopo di lucro, che hanno come mission la cultura e la creatività contemporanea, e sono già radicati nei territori fragili (ad esempio enti pubblici, fondazioni, associazioni culturali, enti del Terzo settore senza scopo di lucro, università, centri di ricerca non profit, imprese sociali e di comunità non profit).
Il bando resterà aperto fino al 9 agosto.
https://www.beniculturali.it/comunicato/creative-living-lab-al-via-la-quarta-edizione

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L’INTERVISTA - "Informatica: la formazione è la strada maestra" - Conversazione con Enrico Nardelli - A cura di Giuseppe de Paoli

Francesco De Leo

Enrico Nardelli, ordinario di informatica a Tor Vergata e presidente di Informatics Europe, l’associazione europea dei Dipartimenti universitari e dei Centri di ricerca in Informatica. È coordinatore di Programma il Futuro, iniziativa educativa promossa dal Ministero dell’Istruzione e realizzata dal Laboratorio Informatica e Scuola del Cini, di cui è direttore. Ha ricevuto di recente il premio Associazione Levi-Montalcini assegnato a scienziati e ricercatori che si sono distinti per la diffusione della cultura scientifica nelle scuole.

Partiamo dall’importanza delle competenze digitali: stando al rapporto DESI (Digital Economy and Society Index) l’Italia si colloca solamente al ventesimo posto per livello di digitalizzazione, in Europa. Secondo lei come possiamo sviluppare le competenze digitali nel nostro Paese?

La tecnologia digitale ha già trasformato radicalmente la società ed i ritmi a cui lo sta facendo sono impressionanti. I vantaggi che questo comporta per il nostro vivere sono evidenti ma dobbiamo fare attenzione: se non viene gestita correttamente la tecnologia digitale può avere effetti inaspettati e può persino diventare uno strumento di oppressione.
Dal mio punto di vista quindi, non basta parlare genericamente di competenze digitali, sarebbe riduttivo. Quello che invece è necessario è introdurre nelle scuole di vario livello l’insegnamento dell’informatica perché, non tutti ne sono consapevoli, è proprio l’informatica che sta alla base del digitale.

Senza l’informatica non c’è digitale: questo purtroppo è un concetto sottovalutato, se non addirittura ignorato, dalla gran parte dei cittadini che usano gli strumenti digitali, ed è ignorato, spesso, anche dai politici, che dovrebbero prendere decisioni in materia.

Quindi la formazione ha un ruolo strategico, essenziale…

Assolutamente. Se si vogliono formare cittadini competenti e consapevoli per l’utilizzo del digitale, la formazione è la strada maestra.
Investire sulla Formazione è un obiettivo ambizioso che però ha nette ricadute in positivo per coloro che decidono di attuare percorsi formativi sviluppando competenze e professionalità, nonché aprendo al mercato del lavoro, che è in continua evoluzione: così facendo si ottengono benefici economici e reputazionali per l’intero sistema paese.

Qual è la difficoltà maggiore da superare per l’insegnamento dell’Informatica nella scuola?

Si tende a parlare di competenze digitali di ragazzi e ragazze dimenticando il ruolo dei loro docenti, che è strategico. Il problema maggiore è proprio la formazione degli insegnanti: è necessario formarli e aggiornarli in modo appropriato fornendo loro supporto e metodi specifici perché a loro volta istruiscano poi gli allievi.

Come ci si sta orientando a livello europeo? E cosa state facendo come Informatics Europe?

Devo dire che l’Europa si sta muovendo nella giusta direzione, dal momento che la Commissione europea sta dialogando con i diversi stakeholder sulle esigenze legate alle competenze digitali nell’istruzione e nella formazione. L’obiettivo è preparare una Raccomandazione d’uso, la cui pubblicazione è prevista entro la fine del 2022.
Noi come Informatics Europe siamo stati invitati lo scorso aprile, a Bruxelles, insieme ai colleghi di ‘Informatica per tutti’. Nell’occasione abbiamo presentato il Quadro di Riferimento per l’insegnamento dell’informatica nella scuola rivolto alla Direzione Generale Istruzione, Gioventù, Sport e Cultura della Commissione Europea.
Si tratta di un documento, frutto di una visione condivisa, che individua 5 traguardi di competenza che tutti gli studenti dovrebbero raggiungere al termine del percorso scolastico obbligatorio.
È stata stilata inoltre una sorta di “mappa di alto livello” dell’informatica: sono stati definiti 11 core topics (argomenti fondamentali), ognuno caratterizzato da una breve descrizione, pensati in modo tale da essere efficaci anche in vista di ulteriori evoluzioni della disciplina.
Per molte di queste “zone”, poi, sono stati individuate delle specifiche sotto-aree particolarmente promettenti (ad esempio l’intelligenza artificiale per il core topic“) che possono essere oggetto della specifica articolazione nazionale del curricolo, così da renderlo attraente per gli studenti.

Il processo di veloce digitalizzazione del mondo del lavoro, accelerato dalla pandemia, lascia intravedere opportunità importanti, come la creazione di nuovi posti di lavoro, ma anche conseguenze negative come il serio rischio di perdere lavori che diventano velocemente inattuali. Come gestire con equilibrio questa situazione?

Certamente con la pandemia si è preso coscienza dell’importanza degli strumenti digitali, che hanno garantito la continuità delle attività lavorative e sociali. Nel futuro sarà sempre più forte l’impiego di tali strumenti e quindi è necessario essere preparati al cambiamento, dotarsi delle competenze utili per il mondo del lavoro che cambia.
I cambiamenti sono in atto e sono inarrestabili, ma le persone non sono numeri e non possono e non devono essere ‘sacrificate’ in nome delle tecnologie e, soprattutto, del business.
A questo proposito, vorrei ricordare il Manifesto di Vienna, un appello a riflettere sulle conseguenze dello sviluppo tecnologico attuale e futuro, che ho firmato con diversi miei colleghi nel maggio 2019.
Nel Manifesto viene ribadito che le tecnologie vanno progettate in base ai valori e ai bisogni umani e che non si può consentire alle stesse di plasmare gli esseri umani. Il nostro compito è di contenere gli aspetti negativi ma anche d’incoraggiare l‘innovazione incentrata sull‘uomo.
Quando si parla di Umanesimo Digitale si fa riferimento proprio a questo. Il punto è la centralità della persona, considerando anche gli aspetti sociali delle tecnologie digitali, un argomento spesso trascurato ma fondamentale.

Prima Lei ha parlato di governance del digitale. Quali consigli darebbe ai decisori politici?

Proteggere lo spazio digitale è fondamentale per ogni Paese, perché significa aver cura dei cittadini e dei loro dati. Si tratta di una sfida prima di tutto sociale e politica e solo in seconda istanza scientifica o tecnica.
La dimensione digitale è sempre più intrecciata con le varie dimensioni sociali, che si stabiliscono tra individui. Una dimensione talmente importante che è del tutto naturale che i governi vogliano attuare la loro attività di indirizzo e gestione anche nei confronti del digitale. Ritengo quindi assolutamente legittimo e doveroso che uno Stato governi lo spazio digitale così come governa lo spazio fisico.
Abbiamo esempi lampanti che ci dimostrano come nella società digitale chi controlla i dati controlla la società. I nostri decisori politici hanno cominciato a capirlo, ma ora è tempo di agire concretamente. Partendo proprio dall’investimento nelle scuole.

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SOCIETÀ DIGITALE - "Oltre la Mastodon-mania" - Francesco Macchia

Videosorveglianza

Il fediverso può cambiare Internet?

Se il nome di Mastodon è emerso dagli abissi dell’informazione, lo si deve principalmente a Donald Trump e a Elon Musk: il primo infatti ha fatto realizzare il suo “Thruth Social” copiando abusivamente il codice di Mastodon; il secondo invece ne è stato un involontario sponsor quando diversi utenti, preoccupati per la sua acquisizione di Twitter, hanno individuato in Mastodon la migliore uscita di sicurezza nel caso in cui il social dell’uccellino cambiasse piumaggio: gli utenti, in futuro potrebbero infatti dover dimostrare la loro identità, ricevendone in cambio la più totale “libertà di parola”.

Ma ai più sfugge la vera natura di Mastodon: è davvero un social libero? E siamo sicuri che sia un social? Per rispondere a queste domande bisogna capire cos’è quell’ecosistema di piattaforme cui Mastodon appartiene, ossia il fediverso e qual è la differenza tra il fediverso e le grandi piattaforme come Twitter, Facebook o Youtube.

Innanzi tutto, il termine fediverso è un neologismo composto da due parole, federazione e universo, che definisce:
un insieme di server pubblici diversi (chiamati “istanze”),
• e interconnessi
• sui quali viene installato un software (software libero)
• che crea ambienti di interazione (social network) o di mera pubblicazione dei contenuti (video, musica, eventi)
• popolati da utenti in grado di interagire l’uno con l’altro
• a prescindere dalla piattaforma software o dal server su cui si sono iscritti.

fediverse graphFigura 1: Una rappresentazione dei diversi nodi del fediverso; fonte: https://social.wake.st/@liaizon/101609165553598837

 

Mastodon non è quindi un social network, ma è solo un software: uno dei tanti che compongono la galassia del fediverso e il modo più semplice per capire quali sono e cosa fanno questi software è confrontarli con le piattaforme cui si sono ispirati (vedi figura 2).

fediverse graphFigura 2: I più interessanti progetti del fediverso. Dati ricavati dal sito https://the-federation.info/ (rilevamento del 4/5/22)

 

Ma se le analogie con i loro “archetipi” sono piuttosto evidenti, le differenze sono ancora più importanti e legate al concetto di libertà.

Libertà del software
Il codice sorgente del software di questi programmi è aperto e libero; il “modello di sostenibilità” è basato sulle donazioni sia per lo sviluppo software sia per la gestione, ossia i server messi a disposizione che corrispondono a “istanze” interconnesse l’una all’altra, pur se con termini di servizio e regole di moderazione diverse.
La maggior parte degli amministratori di istanza offre servizi gratuiti pur se con una continuità di servizio professionale, ma chiunque disponga di competenze tecniche adeguate può installare in casa uno di questi software ed entrare nel fediverso non solo come semplice utente, ma come amministratore di istanza.

Libertà di trascendere la piattaforma
Ignota agli utenti delle piattaforme centralizzate è la libertà di oltrepassare i confini della propria piattaforma, come se un utente Facebook potesse seguire un utente Instagram o inviare un messaggio a un profilo Twitter, mettere “mi piace” a un video YouTube o commentare su Reddit, partecipare a un evento Eventbrite o recensire un libro su Anobii.
Oggi questo è esattamente quello che può fare un utente Friendica che interagisce con utenti e contenuti di Pixelfed, Mastodon, PeerTube, Lemmy, Mobilizon o BookWyrm!

Libertà dai condizionamenti
Il fediverso è progettato per non “personalizzare” mai l’esperienza dell’utente in base al profilo: a differenza dei social proprietari, l’utente vedrà una timeline neutra perché nessun un algoritmo nasconderà o mostrerà all’utente particolari utenti o inserzioni (a proposito, non c’è pubblicità nel fediverso!).
Viene rimosso anche il condizionamento più importante, ossia quello di non poter abbandonare il proprio social, pena la perdita di tutte le relazioni costruite: le piattaforme del fediverso infatti consentono all’utente di esportare il proprio profilo per importarlo altrove: in un’istanza diversa sottoposta a regole diverse o in una propria istanza casalinga.

Libertà di tutelare la propria privacy
Nel fediverso non solo è possibile impostare la visibilità di profili o messaggi, ma non esistono sistemi di tracciamento dgli utenti: gli unici dati raccolti sono l’indirizzo IP da cui l’utente si connette e l’email con cui è iscritto.
Inoltre l’esistenza di più istanze invece di un unico sistema centralizzato che controlla tutti gli utenti, rende difficile elaborare massivamente i dati degli utenti.
Infine, grazie a un design volutamente “pessimizzato” per scoraggiare le indicizzazioni massive, la ricerca sui contenuti è circoscritta agli hashtag e ai nomi utente.

Libertà di costruire la propria reputazione da zero
Se nelle piattaforme commerciali si richiede di iscriversi utilizzando identità reali, i moduli di iscrizione del fediverso non solo consentono l’anonimato, ma lo favoriscono espressamente.
Contrariamente a quanto sostenuto da chi ritiene che l’anonimato favorisca comportamenti ostili, si crea invece un interessante meccanismo sociale grazie al quale gli utenti anonimi cercano di mantenere una buona reputazione attraverso l’interazione costruttiva con interlocutori abituali o occasionali.
In presenza di un pervasivo anonimato, la costruzione della reputazione è ricondotta dall’identità ai comportamenti, dal proprio nome alle parole usate, soprattutto perché gli amministratori esercitano una moderazione “di prossimità”, fatta su misura della singola istanza, disincentivando i comportamenti incompatibili con le regole del luogo.

Non “libertà di parola”, ma “solo” libertà di confrontarsi e di interagire
La libertà di parola è lo slogan lanciato da Elon Musk per rilanciare il Twitter che verrà, ma molti utenti provenienti da Twitter si sono resi conto che, almeno a giudicare dai provvedimenti di sospensione ricevuti da molti di loro, su Mastodon la libertà di parola non è un valore assoluto.
Su Mastodon infatti (come per le altre piattaforme del fediverso) ogni istanza è diversa dall’altra (esistono istanze generaliste, tematiche, cittadine o addirittura estremiste e radicalizzate) ed è possibile cercare l’istanza adatta alla propria sensibilità. Queste tolleranze diversificate comportano che alcuni contenuti sconsigliati o vietati in un’istanza siano permessi o addirittura promossi in un’altra.

Non bolle ma emulsioni
Il rischio che le istanze possano diventare delle bolle autoreferenziali è stato da sempre argomento di discussione, ma il vantaggio dell’architettura federata è che i confini delle bolle (che coincidono con quelli delle istanze) sono perfettamente visibili e consentono a ogni utente di scegliere se valicarli, esplorando “città diverse” e mescolandosi tra la folla, o se rimanere nella propria zona comoda. Nei grandi social invece l’esistenza delle “bolle” viene tenuta nascosta da un gioco di semafori che dà l’impressione che tutti percorrano le stesse strade della stessa città, ma in realtà i percorsi sono volutamente differenziati: gli automobilisti che guidano le utilitarie tedesche, non si fermeranno mai insieme a quelle italiane allo stesso semaforo, ma mentre sono ferme, le une vedranno sfrecciare sempre e solo le Porsche, le altre le Ferrari.

Il fediverso può cambiare internet?
Appare chiaro come gli utenti del fediverso, benché ancora di nicchia (è bastato l’esodo di una piccola percentuale di utenti twitter a produrre un’invasione su Mastodon) stiano vivendo un’esperienza che, più di mille documentari sulla pervasività dei social, li rende consapevoli di cosa sia l’esperienza social senza condizionamenti algoritmici e cosa significhi affrancarsi dai modelli che limitano il loro libero arbitrio.
Questa svolta coinvolge soprattutto singoli cittadini, ma in Italia già iniziano a nascere profili di aziende, associazioni e qualche giornale on line, mentre all’estero anche politici e istituzioni (tra cui l’Unione Europea) hanno già deciso di affacciarsi al fediverso.
E proprio le istituzioni potrebbero promuovere attivamente questo nuovo paradigma, sia sul piano normativo (il Digital Service Act varato dall’Europa ha stabilito che l’interoperabilità delle piattaforme è una priorità) sia su quello delle consuetudini (aprendo ognuna un profilo Mastodon o Friendica o un canale PeerTube).

Promuovere i valori del fediverso significa infatti promuovere gli aspetti che garantiscono il libero arbitrio in una società digitale: software libero, sovranità sul codice e sui dati personali, cultura diffusa, interoperabilità, anonimato e privacy.
Starà a noi fare sì che l’esplosione mediatica di Mastodon non venga ricordata come un fuoco di paglia, ma come la scintilla che accenderà una nuova consapevolezza digitale.

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DALLE AZIENDE - "Digitale e sostenibile" - Stefania Novello - Tommaso Pagano

Themis

Negli ultimi anni, nel contesto della crisi generata dalla pandemia, il ruolo della tecnologia si è rivelato fondamentale per evitare che l’emergenza Covid-19 potesse causare danni economici più gravi di quelli verificatesi. Come effetto collaterale della pandemia si è assistito, pertanto, ad una forte accelerazione della trasformazione digitale nei più svariati settori. In questo senso la digitalizzazione, legata storicamente ad un concetto di mutabilità per il ritmo del progresso tecnologico, ha dimostrato di poter essere “anti-fragile” come direbbe Nassim Taleb [1], ovvero di poter sviluppare le capacità di resistere ad eventi incerti ed imprevedibili, i così detti Cigni Neri, traendone vantaggio e diventando una leva fondamentale di stabilità e sostenibilità.
Solo la storia saprà dirci se siamo davvero di fronte ad un fenomeno trasformativo paragonabile alla rivoluzione industriale del 1800, ma è certo che, per l’uomo contemporaneo, il digitale è un fortissimo stimolo a ripensare il modo di progettare, produrre e consumare.
La digitalizzazione, infatti, non è un fenomeno puramente tecnologico, ma un fenomeno sociale che influisce sui comportamenti, sui modelli relazionali e sulle dinamiche di comunicazione, cambiando il senso delle cose [2].
Proprio perché il digitale agisce sui nostri comportamenti, ha un impatto sul pianeta, sia diretto, perché per implementare la tecnologia servono energia e materie prime, sia indiretto, perché attraverso il digitale è possibile promuovere nuovi modelli di consumo di beni e servizi.
Ecco quindi che, digitale e sostenibilità, intesa come la capacità di soddisfare i bisogni della generazione presente senza compromettere quelli della generazione futura [3], si intersecano e si legano indissolubilmente.

La digitalizzazione in Eni
Per Eni la digitalizzazione è un percorso di innovazione in campo informatico e tecnologico in continua evoluzione, un cammino iniziato circa 10 anni fa nell’area dell’esplorazione e della simulazione numerica, che ha consentito alla società di diventare un punto di riferimento per l’intero settore.
Oggi, visto il ruolo chiave che le tecnologie hanno nell’accelerare la transizione energetica, la trasformazione digitale è sempre più rilevante, soluzioni green e digitali diventano due facce della stessa medaglia, strumenti essenziali per rendere le imprese più innovative e sostenibili.
La digitalizzazione in Eni consente di cogliere nuove opportunità di sviluppo ed efficienza, supportare la trasformazione dei business e renderli sempre più integrati e sostenibili supportando la società nel ridurre drasticamente la propria impronta carbonica al 2050.
Il digitale, negli anni, ha consentito di far operare le persone in maniera più sicura ed efficiente, di creare digital twin degli asset, di digitalizzare gli impianti industriali, migliorandone sicurezza ed efficienza sia energetica che produttiva, di automatizzare i processi operativi, sia di business che industriali, rendendoli più snelli ed agili.
Oggi, grazie al digitale, è inoltre possibile accelerare lo sviluppo di nuove frontiere energetiche, promuovere l’economia circolare, migliorare l’efficienza energetica, incentivare una way of working più sostenibile.

Digitale e sostenibilità al centro
Un’iniziativa interessante per il suo carattere innovativo è legata all’utilizzo di legged robot per le ispezioni nei siti industriali. I legged robot sono in grado di muoversi autonomamente in ambienti non favorevoli alla presenza dell’uomo e possono essere dotati di device (es. telecamere, laser scanner per ricostruzione 3D) e sensori (es. di temperatura, pressione, di gas, ecc.) per ispezioni in campo e rilevazioni di specifici parametri. Questa tecnologia rappresenta un ausilio nelle attività ispettive degli asset ed è stata impiegata sia in missioni autonome all’aperto, il cui obiettivo era eseguire autonomamente giri ispettivi con task specifici (es. lettura di manometri analogici attraverso l’impiego di algoritmi di computer vision, leak detection, ecc.), sia in ambienti chiusi e disagevoli per gli operatori. L’adozione di questa tecnologia integrata con una data platform che consente la raccolta e l’elaborazione dei dati porta notevoli vantaggi in termini di:
salute e sicurezza: riducendo i rischi legati alle attività degli operatori, demandate al robot;
automazione ed efficienza di processo: l’ispezione è programmata e può essere ripetuta più frequentemente ed in modo autonomo;
efficacia dell’ispezione: è possibile integrare nella stessa missione tanti task con obiettivi diversi (es. lettura manometri, leak detection, ronde di security, ecc.);
valorizzazione dei dati che possono essere elaborati e analizzati dall’operatore.
La robotica è un’area tecnologica in forte evoluzione e gli esempi di applicazione nel settore sono sempre più numerosi, pertanto cogliere i vantaggi di questa tecnologia per automatizzare e rendere più efficienti i processi di asset integrity e la sicurezza, di persone e impianti, è l’obiettivo principale che ne guida la realizzazione, con risultati finora promettenti.

Possiamo realizzare iniziative digitali consumando meno e meglio?
Oggi tutte le grandi imprese si muovono verso un mix di soluzioni cloud e on premise: è la sinergia tra questi due mondi a guidare l’evoluzione complessiva dei modelli di business.
I datacenter, quindi, mantengono un’importanza fondamentale ed una corretta progettazione di questi impianti contribuisce a ridurre i consumi, incide sugli obiettivi di sostenibilità delle imprese, garantisce il supporto al business senza “rallentare” il progresso tecnologico.
In Eni, il Green Data Center è stato realizzato non solo con l’obiettivo di garantire un’altissima affidabilità ai sistemi informatici aziendali, ma anche con una forte attenzione all’efficienza energetica attraverso una avanzata soluzione di raffreddamento – free cooling – che permette la regolazione della temperatura dell’impianto per almeno il 92% del tempo con la sola aria esterna. Questa configurazione, in combinazione con avanzate tecnologie informatiche, consente di sfruttare al massimo le infrastrutture di computing installate nel Green Data Center riducendone i consumi e le emissioni.
A fronte di un fabbisogno di circa 8MW di potenza elettrica totale, dal 2014 ad oggi, il GDC ha prodotto un risparmio di emissioni di CO2 di oltre 36Kton e valori di PUE da record (Power Usage Effectiveness, è il rapporto tra il consumo elettrico complessivo e consumo dei soli apparati informatici) che, nel 2021 si è attestato al valore di 1,166: quasi il 90% della potenza elettrica assorbita dell’impianto, è utilizzata dai sistemi di calcolo.
L’impianto, infine, viene alimentato anche da un parco fotovoltaico da circa 1 MWp.
Coniugare infrastrutture tecnologiche e sostenibilità è quindi possibile, se si utilizza una logica di sostenibilità by design.
L’applicazione di tecnologie digitali per sviluppare business sempre più sostenibili e l’utilizzo di infrastrutture progettate in una logica di sostenibilità, sono due elementi indivisibili e fortemente correlati che fanno del “digitale” non solo una leva per costruire un modello di sviluppo che rispetta l’uomo e l’ambiente in cui vive ma anche una risorsa intrinsecamente sostenibile, perché riduce l’impatto ambientale delle tecnologie e favorisce il raggiungimento di standard sempre più elevati di sostenibilità. Applicazioni, tecnologie infrastrutture necessarie per sviluppare una sostenibilità ambientale, economica e sociale non possono però prescindere dai comportamenti; per questo motivo Eni è anche impegnata nella promozione di iniziative nell’ambito del new way of working, per incentivare sia i dipendenti che i propri clienti a ridurre la propria impronta carbonica.

Bibliografia
[1] S. Epifani, “Sostenibilità Digitale: Perché la sostenibilità non può fare a meno della trasformazione digitale”, 2020.
[2] N. N. Taleb, “Antifragile. Prosperare nel disordine”, 2013.
[3] UN - World Commission on Environment and Development, “Our Common Future (Brundtland Report)”, 1987.

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LAVORO E DIRITTI - "Donne, Lavoro, Tecnologia: serve un cambio di rotta" - Ilaria Li Vigni

scopri informatica

Formazione e sensibilizzazione contro la discriminazione e le disparità

La partecipazione delle donne nel mondo del lavoro inizia ad emergere negli anni Settanta. È comunque, dagli inizi del terzo millennio che si registra un ingresso massiccio, circa il 50%, e che, conseguentemente, la legislazione relativa e le fonti che ne regolamentano le attività sono state ampliate.

Nell’applicazione della normativa sulle politiche di genere, l’Italia si è ispirata ad iniziative adottate da altri Paesi in materia di pari opportunità, con alcune differenze riguardo l’applicazione e l’efficacia.
Ancora oggi, le lavoratrici operano in condizioni non abbastanza eque e la loro carriera è qualitativamente peggiore: guadagnano meno degli uomini e progrediscono più lentamente, pur registrando, spesso, migliori performance accademiche

Il vulnus reale in cui si manifesta il differenziale di genere è la transizione scuola-lavoro, in quanto l’occupazione femminile subisce una “segregazione di ingresso” ed esprime lo svantaggio in termini di occupazione. In tale contesto, si osserva un’altra realtà che incombe sulla vita professionale delle donne: la tecnologia intelligente e digitale, per effetto della quale, le aziende stanno cambiando organizzazione e organigrammi.

Digitalizzazione e informatizzazione stanno cambiando, profondamente, il mondo del lavoro.
L’effetto, di certo, è positivo nei Paesi emergenti, ma presenta rischi maggiori per le donne, penalizzate nelle professioni con più alto contenuto tecnologico. Il processo di digitalizzazione, infatti, non è neutro al genere.
Il principale ostacolo per le donne resta, comunque, la disoccupazione. È difficile rendere conto della complessità della povertà femminile, in quanto le donne insieme a minori e giovani sono le realtà più esposte.
È inoltre da registrare il dato di aumento delle famiglie monoparentali, spesso formate da una donna, parametro che, in prospettiva, provoca, indubbiamente, l’innalzamento esponenziale dell’indice di povertà.
Indispensabile, pertanto, stimolare le giovani allo studio delle materie tecnologiche, alla base delle future professionalità, come informatica e tecnologia, diffondere una cultura che superi i pregiudizi ancora esistenti nella famiglia e nella società, insegnare che la competenza digitale è un diritto importante per essere qualificate nel lavoro.
Le nuove generazioni dei Millenials saranno, a breve, la forza maggiore del lavoro.
Uno studio, effettuato nel 2020, da McKinsey, società di consulenza manageriale, rileva che, entro il 2030, il 24% delle donne occupate dovrà spostarsi in ruoli che richiedono più competenze digitali.
Ed ecco che dal gender gap si misura il Digital Gender Gap, divario esistente nel rapporto tra donne e nuove tecnologie, rispetto agli uomini, anche a parità di istruzione, di età e di condizione sociale.

Una scarsa partecipazione di donne allo sviluppo del mondo digitale rischia di rendere quest’ultimo meno aperto e inclusivo, finendo per incorporare, nei sistemi e negli algoritmi che regolano la società, stereotipi e pregiudizi tipici di una cultura maschilista.
È fondamentale che per il gender gap presente nel settore dell’intelligenza artificiale ci sia un cambio di rotta, in quanto, solo le economie che saranno in grado di sfruttare ogni talento disponibile, si riveleranno vincenti alla fine della quarta rivoluzione industriale.

Famiglia e scuola devono essere punti di riferimento di cultura e crescita, contrastando condizionamenti sociali e pregiudizi e le aziende, a loro volta, devono essere attenti osservatori e vigili contro le discriminazioni di genere nelle funzioni del comparto tecnologico.
La normativa che prevede il rispetto dell’equilibrio di genere, previsto dalla legge Golfo Mosca, ha avuto una corretta applicazione, portando la rappresentanza femminile dal 7% del 2011 al 40% del 2020, nei consigli di amministrazione e nei collegi sindacali delle società quotate.
Senza tale legislazione, ispirata da una normativa applicata in Norvegia, la presenza femminile sarebbe ancora scarsa e, come previsto dal Global Gender Gap Report 2021 del World Economic Forum la strada è ancora lunga per il raggiungimento della parità di genere nel mondo e soprattutto di quella economica.
Ma la legge sola non è sufficiente all’affermazione della parità.
Altre, necessariamente, devono essere le palestre di sviluppo professionale.

È il cambio di cultura nei modelli organizzativi la principale leva necessaria per incidere e combattere discriminazione e disparità, dai livelli operativi a quelli manageriali.
Alcune domande sorgono spontanee. La riduzione del Gender Gap sarà favorita dalla tecnologia o l’automazione e l’informatizzazione produrranno l’effetto di relegare le donne, più degli uomini, a lavori di basso profilo? E ancora, di quali competenze tecniche devono dotarsi le donne per non subire, passivamente, il nuovo mondo tecnologico che avanza?

Le relazioni industriali sono protagoniste dei processi di cambiamenti economici e sociali con i conseguenti effetti sul lavoro. Ed ecco che diviene prioritario un salto di qualità verso nuove forme di contrattazione, più sociali e inclusive, promuovendo tutele contrattuali, infrastrutture sociali e welfare sostenibili per la cittadinanza: un rilancio del welfare pubblico che si intrecci con le dinamiche e gli interessi delle lavoratrici e delle imprese.
Prioritario insistere su alcuni temi quali l’integrazione tra scuola e lavoro, la tutela della diversità e dell’inclusione.
Se nei confronti negoziali si terrà maggiormente conto dell’uguaglianza di genere, le aziende ne avranno benefici. Adottando misure a sostegno quali congedi di maternità e paternità adeguatamente retribuiti, riducendo l’assenteismo con soluzioni a tutela della famiglia.
Si deve assistere però ad un cambio di passo e ad un cambiamento culturale che, fino ad oggi, ha incentrato il proprio essere nell’andocentrismo.

È necessario valorizzare maggiormente la redistribuzione del tempo tra lavoro e famiglia: più tempo alla produttività individuale e meno alle ore passate fisicamente sul luogo di lavoro.
Ciò ridurrà notevolmente la disparità di genere.

Anche la strategia comunicativa deve essere ripresa e adeguata ad una logica di confronto tra generi, per promuovere il cambiamento degli uomini nel loro comportamento lavorativo, in modo che condividano maggiormente spazio e tempo familiare e lavorativo.

In Italia la necessità di promuovere l’inclusività nel mondo del digitale e del tecnologico è ancora alta, la tendenza attuale vede solo il 21% delle donne sviluppare competenze digitali e ancora nell’ambito Information and Communication Technologies persiste un gender gap consistente.
Sebbene i settori della cybersecurity e dell’ICT siano in fortissima espansione e alla ricerca costante di figure professionali sempre più competenti e aggiornate, i dati del Gender Equality Index 2020, raccolti dall’EIGE (European Institute for Gender Equality), dicono che le aziende in settori tecnologicamente innovativi ereditano, spesso, dalla società vincoli e limiti culturali.
Secondo tale report, solo il 21% delle donne (rispetto al 30% degli uomini) ha accesso ai settori più tecnologici e riesce a sviluppare competenze digitali di base. In ambito ICT il divario è ancora più evidente, la presenza femminile è, infatti, solo del 15%, esistendo ancora oggi un consistente gender pay gap, che, nella maggior parte dei casi, vede le donne percepire un compenso inferiore al 15% rispetto a quello di uomini che ricoprono stessi ruoli e cariche nell’azienda.

Questa breve panoramica sottolinea il fatto che, nel nostro Paese, è urgente e necessario attivare politiche, tutele e azioni che rendano più inclusivi i settori del digitale e del tecnologico.
Solo grazie a mirate attività di formazione e sensibilizzazione professionale e sociale e maggiori opportunità concrete che avvicinino le giovani studenti alle discipline STEM, si potranno ridurre le distanze che, ancora oggi, separano uomini e donne nel mondo tecnologico e della cybersecurity.

Qualche passo, in questo senso, è già stato fatto grazie alla presenza di alcune associazioni nate con lo scopo di aggregare diverse professionalità e superare il fenomeno.
Attualmente sono ancora poche le donne che scelgono di intraprendere una carriera universitaria legata a materie e discipline scientifiche.
Tra le iniziative più importanti, in Italia, citiamo Women For Security, nata con il sostegno di Clusit (associazione per la sicurezza informatica) che riunisce professioniste del mondo della sicurezza informatica, e Women4Cyber Italian Chapter, associazione che offre formazione, tutoraggio, networking e sviluppo professionale per le donne, in tutte le fasi della loro carriera nella sicurezza informatica e nelle discipline STEM.

Il mondo del lavoro oggi richiede, sempre più, figure professionali tecnologiche e, quindi, è importante insegnare alle giovani le numerose possibilità offerte dalla tecnologia, in cui concetti come logica, creatività, condivisione e soluzione dei problemi sono parte integrante dell’approccio alla disciplina.
Ciò deve essere fatto sin dai primi anni di formazione scolastica, fornendo alle nuove generazioni gli strumenti adatti che possano coniugare aspirazioni, libertà di scelta delle proprie passioni, attitudini e capacità, senza alcun vincolo imposto da stereotipi e barriere culturali.

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PROGRAMMA IL FUTURO - "Programma il Futuro premiato per il “digitale nelle scuole’’" - a cura di Reputation Agency

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Un progetto all’avanguardia per le sfide del digitale e della sostenibilità

Nuovo importante doppio riconoscimento per ‘’Programma il Futuro’’, progetto promosso dal Ministero dell’Istruzione e realizzato dal Laboratorio Informatica e Scuola del CINI (Consorzio Interuniversitario Nazionale Informatica) per diffondere nelle scuole le basi scientifiche dell’informatica e l’uso consapevole delle tecnologie digitali.

Nell’ambito della prima edizione del Premio Nazionale per le Competenze Digitali, promosso dal Dipartimento per la trasformazione digitale della Presidenza del Consiglio dei Ministri con Repubblica Digitale e con il supporto di Formez PA, Programma il Futuro è stato riconosciuto quale miglior progetto nella categoria “Digitale nell’educazione per le scuole” e ha ottenuto anche un premio come progetto più votato dal pubblico.
Il Premio voluto dal Dipartimento digitale dell’Esecutivo è nato con l’obiettivo di ‘’individuare buone pratiche e dare visibilità a iniziative di formazione innovative che propongono un approccio al digitale semplice e si distinguono per l’originalità e la possibilità di essere replicate in altri contesti’’.

Programma il Futuro è arrivato alla fase finale dopo un percorso di valutazione che ha coinvolto sia una giuria di esperti, selezionati dal Dipartimento per la trasformazione digitale, sia il pubblico online che tramite la piattaforma ParteciPa ha partecipato al concorso con oltre 13mila votazioni!
Programma il Futuro è stato anche il più votato dal pubblico, con 1.820 voti, tra i 22 progetti di sviluppo delle competenze digitali selezionati dalla giuria tra 120 proposte presentate inizialmente e provenienti da aziende, pubbliche amministrazioni, terzo settore, imprese.

Le iniziative su Privacy e Digitale&Sostenibile
Il progetto, avviato nel 2014 e supportato da un team variegato di esperti, è capace di cogliere le sfide del Paese. Forte del nuovo risultato “Programma il Futuro” continua a produrre materiali didattici utili per insegnanti, genitori e studenti in materia di cittadinanza digitale consapevole, una vera sfida se si vogliono creare competenze digitali adeguate e spendibili. Le guide formative sul tema hanno raggiunto i 135.000 download e 400.000 visualizzazioni dei relativi video, mentre il canale Youtube con i tutorial ha ottenuto circa 1,4 milioni di visualizzazioni.

Il 20 giugno, inoltre, presso il Ministero dell’Istruzione saranno premiati i migliori elaborati nell’ambito del concorso ‘’La privacy come diritto umano nella società digitale” (https://programmailfuturo.it/progetto/concorso-2022), ideato da Programma il Futuro per le scuole con l’obiettivo di approfondire i temi legati al digitale e stimolare la creatività degli studenti.
Il concorso ha ricevuto il prestigioso patrocinio del Garante per la Protezione dei Dati Personali. E proprio i contenuti del sito del Garante hanno ispirato le scuole partecipanti - infanzia, primarie e secondarie di I e II grado - per la realizzazione di elaborati sull’uso di app e smartphone, sulla pubblicazione di immagini online, sui deepfake, sugli assistenti digitali.
A questo link sarà disponibile il materiale dell’evento: https://programmailfuturo.it/notizie/l-ottavo-anno-del-progetto/chiusura-ottavo-anno. A premiare le classi vincitrici saranno i partner del progetto: Eni (filantropo), Engineering (benefattore) e SeeWeb (donatore).

Infine, sempre in tema di iniziative coerenti con le attuali esigenze del Paese, Programma il Futuro, in collaborazione con Eni, ha lanciato l’iniziativa “Digitale & Sostenibile”, una sfida speciale riservata agli studenti delle scuole superiori per stimolare la riflessione sul tema delle relazioni tra il digitale e la sostenibilità.
Come tutte le tecnologie, infatti, anche quella informatica ha due facce. Da un lato può aiutarci a mantenere un progresso sostenibile; dall’altro può impattare in modo negativo sulla sostenibilità del progresso.
Gli studenti che realizzeranno i migliori elaborati si aggiudicheranno uno stupendo kit di robotica educativa ed i loro docenti di riferimento un’utilissima tavoletta grafica.
La scadenza per l’invio degli elaborati è il 31 luglio 2022 (https://programmailfuturo.it/progetto/digitale-e-sostenibile-2022/introduzione).

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CULTURA E SOCIETÀ - "Polarizzazione, un fenomeno che ha radici lontane" - Marco Mozzoni

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Fatti non foste a viver come bruti…

Ci abbiamo sbattuto la testa sui social, non solo durante il lockdown. Lo stiamo vedendo nei dibattiti televisivi – se così ancora possono chiamarsi – sulla guerra alle porte d’Europa. Per non parlare delle liste di proscrizione… O di qua o di là. Non c’è più spazio per una valutazione critica, una analisi non schierata, per una “terza via” possibile. Non c’è più spazio per il dialogo.

Esprimere anche soltanto un dubbio sulla visione prevalente in un determinato contesto non è ammesso. Si rischiano processi sommari, condanne, insulti. Vedere persone di cultura scannarsi come fuori dallo stadio è un brutto segnale di regressione alle difese primitive, anzi di vera e propria “recessione cognitiva”, se posso usare una classe diagnostica nuova nuova, di mio conio. Come abbiamo fatto a scendere così in basso in così poco tempo? È bastata l’impreparazione generale di fronte a una pandemia a farci perdere la bussola? A spaventarci a tal punto da preferire nasconderci nel branco, perché non siamo più in grado – se mai lo siamo stati – di vivere frammentati ciascuno nella sua precaria individualità?

Delia Baldassarri, docente alla New York University, riconduce la prorompente emergenza dello schieramento di campo a una fondamentale “polarizzazione affettiva” che plasmerebbe non solo le opinioni politiche, ma anche le preferenze e i comportamenti nella vita quotidiana, quali ad esempio il parlare o non parlare (addirittura) con persone che sostengono una posizione differente dalla nostra. “Questa forma di identificazione partigiana – spiega la sociologa in un recente studio – è alimentata principalmente da un meccanismo di attaccamento / repulsione emozionale piuttosto che da ideologie politiche o interessi materiali, come è accaduto in ambito sanitario per quanto riguarda la decisione di vaccinarsi o non farlo o di mettere o non mettere la mascherina” [1].
Sembra essere venuta meno la mediazione del ragionamento, quando non la stessa facoltà di giudizio che ci distingue dai bruti. Il guaio è che succede anche nella scienza. Lo sostiene tra gli altri la storica della scienza Liv Grjebine, denunciando che mai come in questo periodo “le visioni scientifiche risultano pericolosamente politicizzate e polarizzate” [2]. Del rapporto dinamico tra politica e scienza se ne può discutere a lungo, portando altrettanti esempi di vizi e virtù. In questo contesto ci interessa riflettere sul fatto che, come sottolinea la ricercatrice, “i disaccordi nella scienza sono necessari per il progresso, ma quando ciascuna parte dà la propria definizione di scienza, la verità scientifica diventa questione di opinioni”. E che nei fatti, in particolare in USA, “l’accettazione o il rifiuto della scienza è sempre più determinato da affiliazioni politiche che minacciano la stessa autonomia degli scienziati, i quali, temendo ripercussioni, evitano di mettere in discussione certe ipotesi…” Fine della storia. E del progresso.

D’altro canto, come aggiunge Roderik Rekker dell’Università di Gothenburg, “negli ultimi anni la polarizzazione delle persone nei confronti della scienza ha raggiunto livelli allarmanti” [3]. Perché? Semplicemente perché ormai la gente ha la tendenza a ignorare le informazioni che contraddicono la propria “identità partigiana o ideologica”, anche quando si tratta di “fatti” che hanno evidenza e consenso nella comunità scientifica. Questo sia in forma esplicita (consapevole) sia in forma implicita (inconsapevole). Nel primo caso si parla di “rigetto ideologico”, nel secondo di “rigetto psicologico”. Lo svedese sviluppa poi un modello a tre fattori che concettualizza la polarizzazione della scienza come intersezione tra fatti, affermazioni scientifiche, convinzioni politiche, emergente da un mix di conoscenze scientifiche, ideologie basate su affermazioni scientifiche, polarizzazioni in merito a credenze fattuali.

 

fediverse graphLa polarizzazione della scienza secondo Rekker (2021, open access)

La polarizzazione non fa soltanto male allo spirito. I ricercatori della Northester University di Boston hanno appena pubblicato sul primo numero della nuova rivista della National Academy of Sciences americana, PNAS Nexus, uno studio che dimostra come questo fenomeno possa avere effetti dannosi addirittura sulla salute fisica oltre che mentale delle persone: “quanto più una persona si sente politicamente distante dalla media dei votanti dello Stato in cui vive, tanti più giorni di malattia riporta” [4], scrivono senza mezzi termini i ricercatori analizzando i dati di un campione di circa 3.000 americani. La “polarizzazione partigiana”, concludono, non rappresenta pertanto soltanto una sfida politica, ma anche una preoccupazione sanitaria. Dunque, pandemia non solo dello spirito, ma anche del corpo. Per non farci mancare proprio niente.
Fenomeni di questo genere non sbocciano in una notte. Hanno radici lontane. Il problema è che quando arrivano a saturare gli animi, spesso tendono a esplodere, con conseguenze inimmaginabili. E quasi ci siamo. Armi nucleari e trincee da prima guerra mondiale. Che tristezza. Allora noi amiamo pensare che lavorando giorno per giorno a ridurre i pregiudizi, agevolando la conoscenza reciproca attraverso il contatto sociale, cercando di metterci ogni tanto nei panni dell’altro per comprenderne le prospettive, ponendoci obiettivi “sovraordinati” in grado di trascendere le rispettive posizioni, verso un senso di identità condiviso di matrice planetaria (siamo o no un’unica specie?), siano solo alcune delle possibili soluzioni. Perché alla inevitabile sconfitta dell’umano, preferiamo di gran lunga l’utopia.

Note
[1] Delia Baldassarri, Scott E. Page, “The emergence and perils of polarization”, PNAS 2021 Vol. 118 No. 50 https://doi.org/10.1073/pnas.2116863118
[2] Liv Grjebine, “Politicized, polarized scientific views are worse than ever”, PhisOrg, 26 May 2021, https://phys.org/news/2021-05-politicized-polarized-scientific-views-worse.html
[3] Roderik Rekker, “The nature and origins of political polarization over science”, Public Understanding of Science, 2021, Vol. 30(4) 352–368 https://journals.sagepub.com/doi/full/10.1177/0963662521989193
[4] Timothy Fraser et al., “The harmful effects of partisan polarization on health”, PNAS Nexus, 2022, 1, 1–10 https://academic.oup.com/pnasnexus/article/1/1/pgac011/6545770

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SALUTE E SICUREZZA - "EU-OSHA premia le buone pratiche per la salute e la sicurezza sul lavoro" - a cura di Reputation Agency

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Tra i vincitori anche aziende italiane

La campagna EU-OSHA 2020-2022 “Ambienti di lavoro sani e sicuri. Alleggeriamo il carico!” si sta avviando alla sua conclusione. Per questo biennio, l’attenzione è stata focalizzata sui disturbi muscolo-scheletrici (DMS) sul luogo di lavoro, un tema tanto sottovalutato quanto ad alto potere di impatto sulla vita dei lavoratori europei.

La campagna si concluderà a novembre, con il Summit a Bilbao previsto per il 14 e 15 novembre 2022, e nei prossimi mesi continuerà a sensibilizzare l’attenzione delle organizzazioni, delle istituzioni e dei lavoratori sui DSM a lavoro, in continuità con quanto finora effettuato. L’EU-OSHA, infatti, per questo biennio ha prodotto un eccezionale quantità di materiali sul tema, toccando 8 ambiti prioritari, approfonditi di volta in volta tramite una roadmap. Attualmente, e fino ad agosto, i riflettori sono accessi su “Generazioni future”, ovvero sull’importanza di prevenire l’insorgenza di disturbi muscolo-scheletrici in età avanzata a partire dalla cura dei giovani lavoratori di oggi (https://healthy-workplaces.eu/it/about-topic/priority-area/generazioni-future).

Ma nei mesi scorsi c’è stato un altro evento, diventato ormai un appuntamento fisso delle campagne EU-OSHA, ovvero l’assegnazione del premio buone pratiche “Ambienti di lavoro sani e sicuri”.
Per questa 15esima edizione, sono state 39 le organizzazioni a presentare il proprio progetto per contrastare l’impatto dei disturbi muscolo-scheletrici sui lavoratori (https://osha.europa.eu/it/highlights/39-companies-compete-healthy-workplaces-good-practice-awards). Di queste 39, provenienti da 22 paesi anche extra-UE (UE, EFTA-SEE, Balcani occidentali, Turchia), ne sono state premiate 8 e altrettante 8 hanno ricevuto un encomio per il valore delle iniziative presentate. Tra le 8 aziende premiate troviamo anche la Servizi Italia Spa, che si occupa di pulizia e sterilizzazione nel settore sanitario. L’organizzazione ha presentato la sua buona pratica in termini di prevenzione dei DMS, volta a rendere maggiormente consapevoli i lavoratori dei rischi ad essi connessi e a divulgarne la conoscenza.
Accanto alla Servizi Italia Spa, è stata premiata un’organizzazione del settore sanitario, l’Universitätsklinikum AKH Wien, il più grande ospedale austriaco, che si è distinto per il coinvolgimento dei lavoratori nell’identificare attuare misure preventive per i DMS. La Swissport Cyprus Ltd è stata invece premiata per aver testato, perfezionato e acquistato un dispositivo di sicurezza innovativo, ovvero un esoscheletro da indossare, volto a migliorare la gestione della movimentazione manuale dei carichi negli aeroporti internazionali di Larnaca e Pafo. Nel settore dei servizi si sono distinte due aziende: la prima è la tedesca SAP SE, relativa all’ambito informatico, ha sviluppato una banca dati di conoscenze completa per promuovere l’ergonomia e prevenire i DMS; la seconda, la slovena Zavarovalnica Triglav attiva nel settore assicurativo, ha messo a punto una nuova strategia per la gestione della salute e sicurezza sul lavoro che ha avuto un impatto considerevole sulla salute fisica e mentale dei suoi lavoratori.
In ambito produttivo, sono state premiate tre aziende. La prima, l’ungherese F&F Ltd, operante nel settore dei dolciumi, ha avuto il merito di applicare con successo i principi ergonomici nella catena produttiva, apportando significativi cambiamenti per migliorare la salute e sicurezza sul lavoro e ridurre l’impatto dei DMS a lavoro. La seconda, la lettone SIA Silkeborg Spaantagning Baltic, attiva nel settore metallurgico, ha migliorato la gestione e il sollevamento dei carichi pesanti grazie al coinvolgimento diretto dei propri lavoratori, migliorando così l’ambiente di lavoro in termini di sicurezza. La terza, infine, la UAB Vonin Lithuania, impegnata nel settore delle attrezzature per la pesca professionale, ha incrementato il proprio impegno nella formazione ergonomica dei dipendenti, compreso il management, con il risultato di ridurre le distorsioni della spalla della propria forza lavoro (https://osha.europa.eu/it/about-eu-osha/press-room/good-practice-awards-showcase-strong-commitment-preventing-and-managing-musculoskeletal-disorders).

Anche tra le 8 organizzazioni che hanno ricevuto un encomio per le iniziative implementate figura un’azienda italiana: la Zegna Baruffa Lane Borgosesia SpA attiva nel settore tessile. Accanto ad essa, troviamo l’austriaca Rohrdorfer Transportbeton GmbH, che produce di materiali per l’edilizia; gli ospedali belgi GZA Ziekenhuizen; la finlandese Suomen Nestlé Oy, impegnata nella produzione di alimenti per l’infanzia; l’ente di servizi sanitari e sociali della Carelia settentrionale in Finlandia, la Siun sote-Municipal; l’ Hago Next, azienda olandese di servizi di pulizia; la Verdonk Broccoli, azienda dei Paesi Bassi impegnata nella coltivazione di verdure e l’azienda spagnola di carne Elaborados Julián Mairal sl (https://osha.europa.eu/it/about-eu-osha/press-room/good-practice-awards-showcase-strong-commitment-preventing-and-managing-musculoskeletal-disorders).

A determinare l’assegnazione dei premi e degli encomi è stata l’attenzione delle organizzazioni verso un approccio globale alla gestione della salute e sicurezza sul lavoro, basato sulla partecipazione e sul coinvolgimento effettivo dell’azienda a tutti i livelli, dai datori di lavoro ai lavoratori, in un’ottica di collaborazione. La giuria è stata particolarmente attenta a valutare che le buone pratiche introdotte portassero a benefici basati sulle evidenze, tangibili e sostenibili, così da essere mantenute stabili nel tempo e trasferibili, per essere di esempio anche alle altre organizzazioni europee. Per approfondire: https://healthy-workplaces.eu/it/get-involved/good-practice-awards

L’ultima delle 8 tappe dedicata agli ambiti prioritari per la prevenzione dei disturbi muscolo-scheletrici nei luoghi di lavoro si svolgerà tra settembre e novembre 2022 e sarà dedicata ai rischi psicosociali connessi con i DMS nei luoghi di lavoro
(https://healthy-workplaces.eu/it/about-topic/priority-areas).

Come sempre, in quanto media partner della campagna, seguiremo da vicino il tema, che ci sta particolarmente a cuore.

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REPUTATION today - anno VIII, numero 33, giugno 2022

Direttore Responsabile: Giuseppe De Paoli
Responsabile Scientifico: Isabella Corradini
Responsabile area Sistemi e Tecnologie: Enrico Nardelli
Redazione: Ileana Moriconi
Grafica: Paolo Alberti

Pubblicazione trimestrale registrata presso il Tribunale di Roma il 13/02/2014 n. 14

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Il sommario dovrà chiarire lo scopo e le conclusioni del lavoro e non dovrà superare le 300 battute (spazi inclusi).
Didascalie e illustrazioni devono avere un chiaro richiamo nel testo.
La bibliografia sarà riportata in ordine alfabetico rispettando le abbreviazioni internazionali.
La Direzione, ove necessario, si riserva di apportare modifiche formali che verranno sottoposte all’Autore prima della pubblicazione del lavoro.

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