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Reputation Today n° 32 - marzo 2022


EDITORIALE - "Donne e scienza: oltre gli stereotipi" - Giuseppe de Paoli

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Le donne che attualmente lavorano nell’ambito scientifico e tecnologico sono ancora poche, seppure il loro apporto alla Scienza sia stato importante e spesso determinante: basti pensare ai premi Nobel ricevuti da Marie Curie per la Fisica e per la Chimica; Maria Mayer per la Fisica; Dorothy Hodkin per la Chimica.

Dobbiamo inoltre ricordare il contributo di Ada Augusta Byron – figlia del poeta Lord Byron e della matematica Annabella Milbanke – che coniugando fantasia e passione per i numeri ha inventato, a fine 800, la prima macchina da calcolo, oggi considerata come precorritrice del moderno PC.

La storia di Gianna Martinengo, umanista e tecnologa – che intervistiamo in questo numero – è una ulteriore testimonianza della capacità femminile di cogliere importanti opportunità, anche quando il contesto non è particolarmente favorevole. Un percorso, il suo, di innovazione e coraggio con grande attenzione alla valorizzazione del talento femminile, attraverso Women & Technologies® l’associazione da lei fondata.

Parla di talento femminile (e cybersecurity) anche Isabella Corradini che conferma come il superamento di ogni forma di discriminazione, la promozione della parità di genere, la piena ed effettiva partecipazione femminile, previste dall’Obiettivo 5 dell’agenda 2030, siano un traguardo ancora molto lontano. “Tuttavia – osserva Isabella Corradini – i dati sulla rappresentanza femminile nella cybersecurity sono cresciuti, rispetto a qualche anno fa, grazie alla spinta di laureati in scienze, tecnologia, ingegneria, matematica, nonché alle molte iniziative volte a favorire una maggiore partecipazione femminile”.

Mirella Carraro, Responsabile della Protezione dei Dati Engineering, ci riporta al tema dei Big Data e dell’Intelligenza Artificiale, la quale sta sempre più diffondendosi in vari contesti, dall’industria ai servizi, dalla Sanità alla Pubblica Amministrazione, dalle banche alle assicurazioni.

Grazie alla IA abbiamo oggi macchine in grado di prendere decisioni automatiche in pochi secondi, ma l’uso sempre più massiccio e ambizioso della stessa, in assenza di un quadro normativo completo (che ne garantisca l’utilizzo etico e inclusivo) comporta grandi interrogativi.

Chi veglierà sulle decisioni prese dagli algoritmi? Che conseguenze avranno sulle nostre abitudini? E sulle nostre relazioni? A quali compromessi occorrerà addivenire per godere delle grandi promesse offerte da queste tecnologie?

Ed ancora: “Chi garantisce che quelle individuate dagli algoritmi siano le scelte che avrebbe preso il singolo? Non c’è il rischio che siano indirizzate e perciò eterodirette? Dunque, quanto “nostre” saranno le decisioni nel prossimo futuro?”

“È evidente – sottolinea Mirella Carraro – che le risposte a questi quesiti non possono venire dalla sola legislazione, ovvero le norme e le regole da rispettare e le sanzioni per chi non le rispetta; serve invece una trasformazione culturale all’altezza della nuova era che ci attende, dove tutti gli attori coinvolti in questo cambiamento devono aver ben chiaro il proprio ruolo, innanzitutto etico e poi conseguentemente strategico”.

Ci parla di privacy l’avvocato Anna Capoluongo – DPO, membro del GdL sull’intelligenza artificiale (ANORC) e di D&L Network – che sottolinea il legame profondo tra libertà, dignità e privacy e ci invita a guardare a quest’ultima in senso estensivo, non solo come tutela dei dati personali.

“Senza una forte tutela delle informazioni che le riguardano, le persone rischiano sempre di più d’essere discriminate per le loro opinioni, credenze religiose, condizioni di salute: la privacy si presenta quindi come un elemento fondamentale della società dell’eguaglianza.
Ma Privacy è anche la protezione della persona in ogni suo aspetto, è il diritto alla piena realizzazione di sé stessi, il diritto a essere io, a riconoscersi parte attiva e non passiva di un sistema in evoluzione.
Questo – sottolinea Anna Capoluongo – deve portare necessariamente ad un diverso rapporto con le istituzioni, declinato attraverso una presenza reale, un bisogno dell’esserci, l’imperativo del dover contare, nel rispetto reciproco delle proprie libertà”. Un percorso che non prevede disparità di genere o altro tipo.

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NEWS

A MAGGIO LA NUOVA EDIZIONE DEL SALONE INTERNAZIONALE DEL LIBRO DI TORINO
Il tema della XXXIV edizione 2022 del Salone del Libro è “Cuori selvaggi”. La scelta è stata fatta per rispecchiare l’inquietudine, la turbolenza e l’incertezza che caratterizza il nostro presente e il fitto calendario di appuntamenti declinerà il tema, tra luci e ombre. La manifestazione si svolgerà al Lingotto Fiere dal 19 al 23 maggio ed è stata lanciata dalla conferenza stampa che si è tenuta lo scorso 8 marzo. Ad aprile verrà diffuso il programma completo, ma dalle anticipazioni l’interesse del pubblico è assicurato: gli ospiti internazionali già svelati sono Jokha al-Harthi vincitore del Man Booker International Prize nel 2019, gli scrittori Joël Dicker e Jennifer Egan, il regista, autore e produttore Werner Herzog, il campione olimpico Marcell Jacobs, l’autore cileno Benjamín Labatut, l’autrice andalusa Cristina Morales, la vincitrice della 48° edizione del Premio Letterario Internazionale Mondello - Sezione Autore Straniero Annie Ernaux e molti altri.
https://www.salonelibro.it

LE AZIENDE SI SFIDANO SULL’EQUITÀ DI GENERE
Nella classifica Equileap 2022 Gender Equality Global Report figurano diverse società italiane.
L’indagine ha preso in esame 3895 aziende quotate in borsa, valutandole su 19 criteri, tra cui l’equilibrio di genere nei consigli di amministrazione, il divario retributivo, le politiche relative al congedo parentale e le molestie sessuali.
Mirvac occupa il primo posto, ponendosi come azienda più performante a livello globale. L’azienda è australiana e ottiene un punteggio più alto della prima classificata degli scorsi anni (79% contro il 74% del 2021 e 2020). Al secondo e terzo posto troviamo rispettivamente DNB (Norvegia) e National Grid (Regno Unito), con il 74%.
Tra le società italiane troviamo Enel al 16esimo posto, Hera al 46esimo, ENI all’84esimo, Poste Italiane al 90esimo e Unicredit al 95esimo.
https://equileap.com

VALORIZZARE IL TALENTO FEMMINILE NELLE PICCOLE E MEDIE IMPRESE
Aperto il bando per la VI edizione del premio “Women Value Company – Intesa Sanpaolo”, dedicato alle piccole e medie imprese, che hanno promosso al loro interno politiche di sviluppo innovative e inclusive, valorizzato il talento femminile ed implementato soluzioni efficaci di welfare aziendale.
Il bando sarà aperto fino al 24 aprile ed è rivolto a tutte le PMI, pubbliche e private, a prevalente capitale italiano, non appartenenti a gruppi, ed escluse le ditte individuali, che abbiano promosso almeno un’azione su una delle aree seguenti: conciliazione lavoro/famiglia, welfare aziendale innovativo, flessibilità nell’organizzazione del lavoro, politiche retributive di merito non discriminatorie, piani di sviluppo di carriera femminile e di valorizzazione delle competenze femminili, presenza di donne in posizioni manageriali, promozione della cultura della diversità di genere.
https://www.fondazionebellisario.org/attivita/women-value-company/vi-edizione/

UN PALCOSCENICO PER LE START UP
Al via la decima edizione di “Startup Competition”, la competizione internazionale più grande d’Italia, nel contesto del Web Marketing Festival 2022. L’iniziativa ha l’obiettivo di creare occasioni di confronto e di promozione per il mondo delle startup, creando un palcoscenico in cui le migliori abbiano la possibilità di mostrarsi ai diversi stakeholder.
La scadenza per le candidature è il 12 maggio, ed in questa fase ogni start up è chiamata ad indicare la sfida del futuro del proprio progetto di business (tra 12 elencate). Alla finale accedono 6 start up, mentre 36 avranno la possibiità di partecipare allo Startup Stage per presentare il proprio pitch al pubblico e ai rappresentanti dei maggiori incubatori e acceleratori. Per gli altri concorrenti ci sarà comunque la possibilità di promuovere il proprio lavoro, nel corso di incontri privati con investitori provenienti dai paesi del G20 e nell’ambito dello Startup District, l'area espositiva dedicata.
La finale si disputerà il 17 giugno 2022 sul Mainstage e sarà trasmessa in streaming in tutto il mondo.
https://www.webmarketingfestival.it/startup-competition/

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L’INTERVISTA - "Anticipare l’innovazione e integrare le competenze" - Conversazione con Gianna Martinengo - A cura di Giuseppe de Paoli

Francesco De Leo

La storia di Gianna Martinengo, umanista e tecnologa, testimonia come sia possibile cogliere notevoli opportunità dalla rivoluzione tecnologica. Proattiva rispetto alle trasformazioni della società, l’imprenditrice ha intuito e anticipato, già negli anni ‘80, la crescente necessità di fare ricerca sull’apprendimento e di sperimentare nuove e più efficaci modalità di formazione.
Un obiettivo che ha portato avanti con determinazione e coraggio, proponendo una miriade di progetti avveniristici e dando vita a numerose start up, sia in Italia che all’estero. Gianna Martinengo è presidente di Didael KTS, la prima “Web knowledge company” italiana, e ideatrice di Women&Technologies® associazione per la valorizzazione del talento femminile.

Lei è stata tra le prime a proporre l’e-learning nella formazione aziendale. Cosa pensa dell’applicazione di questa metodologia nello scenario attuale?

Penso che sia fondamentale, indispensabile e necessaria, a tutti i livelli, oltre che attualissima.
Vogliamo parlare di numeri? Le stime ci dicono che entro il 2025 il valore globale dell’e-learning, l’accesso diretto alla conoscenza tramite la tecnologia, raggiungerà circa 331 miliardi di dollari.
A farla da padrone, a livello di modalità di fruizione, saranno i video e tutti gli strumenti multimediali che ingaggiano l’utente per una comprensione efficace dei contenuti.
Parlo suffragata dalle stime e con cognizione di causa, visto che la mia azienda Didael KTS, fondata nel 1983, è stata pioniera dell’e-learning nel nostro Paese. E ancora oggi in qualità di Digital Knowledge Tranformer siamo punto di riferimento per le imprese che intendono fare della formazione online uno degli asset societari.

Didael è stata, nei fatti, la prima web knowledge company italiana: cosa ha significato per voi? Come avete impostato la vostra attività?

La nostra azienda, sin dall’inizio si è caratterizzata per due elementi: la risposta al crescente interesse per l’allora Computer Assisted Instruction e la creazione e valorizzazione dei Laboratori di Ricerca.
Al mercato che mostrava interesse verso i sistemi “multimediali” noi abbiamo sempre risposto con soluzioni innovative, basate su Contenuti, Tecnologie e Servizi.
Abbiamo affrontato il tema della conoscenza in tutti i suoi aspetti: informazione, formazione e comunicazione utilizzando tutte le potenzialità offerte dalle Tecnologie dell’Information Communication Technology.
Tutti i mercati sono stati coinvolti, dalle piccole aziende alle università, dal terzo settore alle istituzioni.
Nel nostro percorso inoltre è stata fondamentale la profonda attenzione all’integrazione di professionalità con profili molto diversi (umanistici, tecnico- scientifici, artistici), sempre con la missione di costruire e diffondere conoscenza e facilitare il dialogo tra le persone.
Io stessa, con il passare degli anni e l’evolvere dei sistemi informativi, ho maturato la consapevolezza che grazie alle tecnologie diventava difficile distinguere o creare barriere tra Formazione, Informazione e Comunicazione, visto che tutto può essere ricondotto a una semplificazione della missione: il dialogo persona-persona mediato da tecnologie.

Succede, con il progredire del sapere tecnologico, di assistere a una sorta di scollamento tra persone e tecnologie: molte persone usano gli strumenti forniti dalla tecnologia senza capire a pieno cosa vi sta dietro. Come porsi di fronte a questo atteggiamento?

Condivisione, dialogo, interazione… sono questi i nostri verbi-guida che ci devono condurre a far sì che le persone presidino la tecnologia con consapevolezza.
Il tempo in cui la formazione veniva erogata senza una verifica, e senza che vi fosse un reale apprendimento, certificato e verificato, sono finiti. E chi propone ancora sistemi del genere non rende un servizio alle imprese e alla società.
Per semplificare: tutti sono capaci di costruire applicazioni digitali. Ma questo non è utile, se non è integrato, come processo, alla conoscenza reale delle persone.
Sfruttando Ingegneria della conoscenza, Ingegneria formativa e Ingegneria dei media, siamo arrivati proprio a colmare il gap tra formazione, comprensione e conoscenza condivisa.

Quali i prossimi passi?

Il nostro compito è continuare, attraverso la ricerca, a sperimentare soluzioni innovative, sempre con l’obiettivo di far dialogare le persone. Non esiste un prodotto realizzato in questi anni per un qualunque cliente che non abbia un elemento di innovazione, all’avanguardia con le tecnologie.
In quest’ultimo periodo, per esempio, per far fronte alle esigenze provenienti dalle aziende in termini di formazione dedicata alle competenze digitali e a quelle trasversali, abbiamo creato una proposta specifica, peraltro adatta ai tanti bandi di finanziamento che stanno uscendo in questi mesi (https://www.didaelkts.it/news/fondi-formazione-competenze-digitali-trasversali-perche-dkts/).

Come valuta l’impegno del nostro governo rispetto al digitale?

Positivamente; confido che il PNRR possa essere incanalato anche verso due importanti obiettivi: l’inclusione digitale e la creazione di nuovi posti di lavoro basati sempre sulle competenze digitali.
Questi progetti di ampio respiro dovranno essere rivolti a tutti i cittadini e in special modo alle donne, per le quali auspico un miglioramento della posizione lavorativa. Sono le donne, infatti, con la loro visione olistica, a poter contribuire alla crescita positiva dei mercati, ICT compreso.

Lei è stata pioniera anche nel valorizzare il talento femminile in ambiti maschili tradizionalmente refrattari, se non ostili, al riconoscimento del contributo delle donne.

Ho dedicato al genere femminile un primo progetto alla fine degli anni ‘90, da cui è poi scaturita l’attuale Women&Tech, l’Associazione Donne e Tecnologie (https://www.womentech.eu/)
L’obiettivo era ed è promuovere la condivisione e lo scambio di esperienze e competenze negli ambiti tecnologia, innovazione sociale, sostenibilità, inclusione, capitale umano, competenze, life science, arte, cultura, creatività, gender gap, diversità, etica.
Ho inoltre ideato il Premio Internazionale Tecnovisionarie® che viene attribuito, ogni anno, a donne che nella loro attività professionale hanno testimoniato di possedere una forte “vision” privilegiando l’impatto sociale, la trasparenza nei comportamenti, l’etica.

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CULTURA E SOCIETÀ - "Privacy, il diritto alla realizzazione di sé" - Anna Capoluongo

Videosorveglianza

In un mondo in cui si discute sempre di più di gender equality, un esempio cui guardare con cura dovrebbe essere quello che ci offre l’ambito della protezione dei dati personali.
Se di primo acchito tale affermazione potrebbe sembrare un controsenso, a ben vedere nasconde, invece, una grande verità.

Premesso doverosamente che “privacy” non equivale a “tutela del dato personale”, bensì sta ad individuare il diritto di ciascuno di noi di essere lasciato in pace nel godimento sereno di tutto ciò che rientra nella propria sfera personale-privata, è proprio lì che si può scoprire il reale significato della portata di questo termine.

La privacy va vista, difatti, nell’ottica di un diritto di protezione dell’individuo, dell’Uomo in quanto tale, senza distinzioni alcune, né di razza, né di sesso, né di religione o altro.
È il diritto alla tutela della persona umana.
È il diritto del sé. All’autodeterminazione e sovranità su di sé1.
“Il diritto a essere io (avvocato Giuseppe Fortunato), riconoscersi parte attiva e non passiva di un sistema in evoluzione, che deve portare necessariamente ad un diverso rapporto con le istituzioni, declinato attraverso una presenza reale, un bisogno dell’esserci, l’imperativo del dover contare, nel rispetto reciproco delle proprie libertà”.

Un diritto indisponibile, fondamentale, inviolabile e imprescrittibile.
E attraversa trasversalmente distinti Paesi, differenti periodi storici e svariate normative e provvedimenti, a partire – ad esempio – dalla Carta dei diritti dell’Unione Europea2 – con gli articoli 7 e 8 –, passando per la Convenzione 108 e 108+, la Direttiva e-privacy, e il Regolamento europeo 679/2016, per arrivare – last but not least – al riconoscimento del pieno sviluppo della persona umana nell’articolo 3 della nostra Costituzione.
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
Un’eguaglianza che è parità formale e tutela senza discriminazioni.
“Emerge un legame profondo tra libertà, dignità e privacy, che ci impone di guardare a quest’ultima al di là della sua storica definizione come diritto ad essere lasciato solo. Senza una forte tutela delle informazioni che le riguardano, le persone rischiano sempre di più d’essere discriminate per le loro opinioni, credenze religiose, condizioni di salute: la privacy si presenta così come un elemento fondamentale della società dell’eguaglianza3.

È la protezione della persona in ogni suo aspetto, è il diritto alla piena realizzazione di sé stessi, e ci insegna che in questa materia – come in molte altre – possono esistere solo la corretta applicazione, la dedizione e la passione, ma non la disparità di trattamento o il divario di genere (gender gap).
È anche la tutela dello spazio fisico in cui si vive e con cui si interagisce.

Ci è stato ricordato anche da ultimo dal Garante privacy francese (CNIL) con un provvedimento in materia di telecamere intelligenti applicate nel contesto dell’emergenza pandemica, laddove ha ritenuto opportuno sottolineare come lo spazio pubblico in cui di norma vengono installate è un luogo in cui si esercitano numerose libertà individuali: dal diritto alla vita privata e alla protezione dei dati personali, alla libertà di muoversi, al diritto di espressione, di riunione, di manifestare, alla libertà di coscienza e di esercizio dei culti.
In tal senso per la CNIL “la conservazione dell’anonimato nello spazio pubblico è una dimensione essenziale per l’esercizio di tali libertà e la captazione dell’immagine delle persone in tali spazi è incontestabilmente portatrice di rischi per i diritti e le libertà fondamentali di queste ultime”4.
Ciò significa, inoltre, che la protezione del dato e della persona deve iniziare a guardare oltre i sistemi che “conosciamo” e cominciare a (pre)occuparsi anche “di algoritmi, decisioni automatizzate, intelligenza artificiale (AI), umanità aumentata (o perfino sostituita)”5. E questa, se si nota, è esattamente la direzione intrapresa dalla strategia europea (ma non solo) nei confronti dei sistemi di Intelligenza Artificiale negli ultimi anni, di cui si ricordano – ex multis – il Codice Etico Deontologico per l’Intelligenza Artificiale, la Strategia EU per un Approccio Etico all’A.I., le Linee Guida Etiche per una Intelligenza Artificiale, il Libro Bianco sull’Intelligenza Artificiale, la Strategia nazionale per l’Intelligenza Artificiale (del nostro MISE) e la Proposta di Regolamento europeo sull’Applicazione dell’Intelligenza Artificiale.

Ecco perché forse in quest’ambito (di eguaglianza e non disparità) più che in altri può aver senso un richiamo al gender gap, ben contestualizzandosi qui il Piano Operativo per la Strategia Nazionale per le Competenze Digitali (https://repubblicadigitale.innovazione.gov.it/assets/docs/Piano-Operativo-Strategia-Nazionale-per-le-competenze-digitali.pdf), presentato nel 2020 dall’Italia, che tra gli obiettivi si prefigge, per l’appunto, di azzerare il divario di genere e triplicare il numero dei laureati in ICT e quadruplicare quelli di sesso femminile.

Nella stessa direzione anche la Conferenza del G20, nel cui documento conclusivo è stato inquadrato come fondamentale il riconoscimento ed il contrasto delle barriere che minano il pieno empowerment femminile6 e alimentano la persistenza di stereotipi che ne ostacolano l’affermazione e l’autonomia.

Se uno dei pilastri richiesti dal Regolamento Europeo 679/2016 (GDPR) per una compliance normativa in tema di protezione dei dati è la formazione di chi si trova a trattarli, a ben vedere forse è proprio questa la chiave verso la scomparsa delle disparità nei trattamenti e del divario di genere.
Formazione come generatore di cultura verso il digitale, sia in ottica di sicurezza (dei dati e delle informazioni) che di abilitazione verso il mercato del lavoro del futuro, purché sempre accompagnata da un approccio concreto, improntato anche alla digital awareness e ai profili di rischio e responsabilità7.
Questo, unitamente allo sdoganamento di concetti, pre-concetti e bias non più al passo con l’attuale realtà (e società) data driven.

Ecco che così, nel più ampio quadro di una privacy come diritto naturale8 dell’Uomo, vi può rientrare la protezione del dato dell’interessato persona fisica quale – citando l’avvocato Luca Bolognini – meta-protezione funzionale e strumentale alla protezione dell’individuo9.
Privacy e cybersecurity non conoscono genere né provenienza.
Insomma, come disse Rodotà nel già citato Discorso conclusivo del 2004, “Noi pensiamo di discutere soltanto di protezione dei dati, ma in realtà ci occupiamo del destino delle nostre società, del loro presente e soprattutto del loro futuro”.

Note
1. S. Rodotà, Intervista su privacy e libertà, Laterza, 2005.
2. Si noti che nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea il diritto alla protezione dei dati è collocato nel Capo II, “Libertà”.
3. S. Rodotà, Privacy, libertà, dignità, Discorso conclusivo della 26sima Conferenza internazionale sulla protezione dei dati, Polonia, settembre 2004.
4. Commission Nationale de l’Informatique et des Libertés, Caméras dites « intelligentes » et caméras thermiques : les points de vigilance de la CNIL et les règles à respecter, 2020, https://www.cnil.fr/fr/cameras-dites-intelligentes-et-cameras-thermiques-les-points-de-vigilance-de-la-cnil-et-les-regles.
5. “Intelligenza artificiale. Bolognini (IIP): “Tra privacy e algoritmi. Equilibrio difficile ma necessario”, https://www.agensir.it/italia/2019/02/13/intelligenza-artificiale-bolognini-iip-tra-privacy-e-algoritmi-equilibrio-difficile-ma-necessario/. Per approfondimenti, L. Bolognini, “Follia artificiale – Riflessioni per la resistenza dell’intelligenza umana”, Rubettino, 2018.
6. Per approfondimenti, si veda anche P. Capoferro, Gender gap: timidi segnali positivi, ma c’è ancora molto da fare, https://www.digital4.biz/hr/gender-gap-a-che-punto-siamo/.
7. Per approfondimenti sul tema, M. d’Agostino Panebianco, Digital identity: between human rights and cybercrimes, Ambiente e Diritto, 2021.
8. A differenza del diritto positivo - elaborato ed emanato dal legittimo organo legislativo dello Stato -, questo comprende le norme proprie della natura umana, come il diritto alla vita e alla libertà.
9. Che possiamo ritrovare, ancora una volta, nella nostra Costituzione all’articolo 2: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”.

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SOCIETÀ DIGITALE - "Gender gap nella cybersecurity: a che punto siamo?" - Isabella Corradini

Themis

Ripensare il modo di gestire il rischio cyber

Il dibattito sulla presenza femminile nell’ ambito ICT e nelle attività lavorative ad esso correlate, come quello di esperti nella cybersecurity, è in continua crescita, ma i risultati sul campo sono ancora insoddisfacenti. Per poter comprendere motivi e implicazioni del gender gap nello specifico settore della cybersecurity occorre comunque partire dai dati relativi alla disuguaglianza di genere nel mercato del lavoro.

Come analizzato dal rapporto del World Economic Forum (WEF, 2021) (WEF, 2021) il problema sulle disuguaglianze di genere è stato amplificato dalla situazione pandemica, che ha ridotto drasticamente la partecipazione delle donne al mercato del lavoro. Questo, ovviamente, ha coinvolto non solo il nostro Paese, ma il mondo nel suo complesso.
Molti dei settori maggiormente colpiti dalla pandemia, infatti, sono quelli dove è impiegato il maggior numero di donne, come ad esempio servizi e ristorazione. Inoltre, non bisogna sottovalutare che il ricorso al lavoro da remoto, indicato spesso con il termine smart working, ha spesso penalizzato più le donne che, nel periodo pandemico, a causa anche della chiusura delle scuole, ha dovuto affrontare un sovraccarico di lavoro. Un paradosso, considerato che a motivare la diffusione dello smart working dovrebbe essere proprio una maggiore conciliazione tra vita privata e lavorativa,

Le previsioni di raggiungere l’agognata parità di genere non sono rosee: sempre secondo il rapporto WEF, il traguardo della parità di genere richiede ancora circa 135 anni, rispetto ai 99 indicati nella precedente edizione.
Un traguardo che si allontana sempre di più, purtroppo, nonostante l’obiettivo 5 dell’Agenda 2030 sia quello di raggiungere l’uguaglianza di genere ed emancipare tutte le donne e le ragazze. Tra i traguardi si legge infatti “il superamento di ogni forma di discriminazione, la promozione della parità di genere, la piena ed effettiva partecipazione femminile e pari opportunità di leadership ad ogni livello decisionale in ambito politico, economico e della vita pubblica, nonché l’utilizzo di tecnologie abilitanti, in particolare le tecnologie dell’informazione e della comunicazione, per promuovere l’emancipazione della donna”.

Andando poi a vedere cosa succede riguardo al gender gap digitale, basta analizzare il Digital Economy and Society Index (DESI), attraverso cui la Commissione europea monitora i progressi digitali degli Stati membri. Se ancora sussiste in generale un sostanziale divario di genere nelle competenze digitali specialistiche, il nostro Paese evidenzia particolari criticità dal momento che l’Italia – insieme alla Romania, Bulgaria, Polonia e Ungheria – ottiene un basso punteggio per la quanto riguarda la partecipazione femminile all’economia e alla società digitali.

È evidente che la carente partecipazione femminile in campo digitale si rifletta poi anche nel settore della cybersecurity, largamente ancora di dominio maschile. Tuttavia, il fatto che si parli del gender gap è comunque un segnale positivo. I dati sulla rappresentanza femminile nella cybersecurity sono diversi, a seconda dei parametri presi in considerazione. Un rapporto di Cybersecurity Ventures, ad esempio, afferma che le donne costituiscono il 20% della forza lavoro della sicurezza informatica, mentre uno studio condotto da (ISC)2 – The International Information System Security Certification Consortium – identifica un numero leggermente superiore, vale a dire il 24%.

Rispetto a qualche anno fa, è possibile indubbiamente rilevare una crescita del numero di donne nella sicurezza informatica, grazie anche alla spinta di laureati in scienze, tecnologia, ingegneria e matematiche, nonché iniziative varie volte a favorire una maggiore partecipazione femminile su questi temi. Ma la strada è ancora lunga ed incontra resistenze di tipo “culturale”, legate a stereotipi che, in quanto tali, sono duri a morire. Occorre superare questi pregiudizi che vedono la cybersecurity associata a figure maschili, nonché a competenze esclusivamente tecniche.

Una maggiore partecipazione femminile nella cybersecurity sarebbe davvero auspicabile, soprattutto per il fatto che si rendono necessarie nuove prospettive e diverse abilità per affrontare un problema così complesso. La “diversity” è certamente un arricchimento, e non solo di genere, perché contribuisce a leggere i fenomeni in modo innovativo e creativo, a fronte di uno scenario in continua evoluzione popolato da una pletora di attori criminali. Basti pensare, ad esempio, al fatto che uomini e donne percepiscono il rischio in modo diverso, il che rende stimolante e fruttuosa la creazione di teams misti per affrontare il rischio cyber.

Di fondo, comunque, occorre adoperarsi prima di tutto per un nuovo mindset nella cybersecurity, basato sulla centralità del fattore umano e non solo su aspetti tecnologici che, fino ad oggi, hanno dimostrato di essere insufficienti per gestire il problema della sicurezza informatica in modo efficace. Partendo da questa prospettiva, diventa indispensabile includere diversi background e profili professionali. Accanto alle hard skills, vale a dire quelle tecnico-professionali, sono necessarie le soft skills, quali ad esempio il problem solving, la comunicazione efficace, e via dicendo.

Per quanto riguarda poi le azioni da intraprendere per una maggiore partecipazione femminile, esse includono un’azione culturale di superamento degli stereotipi in ambito digitale abbinata ad un’intensa attività di comunicazione volta a fare conoscere le opportunità che si possono cogliere sul campo. L’azione culturale parte ovviamente dalla scuola, chiamata a svolgere un ruolo prezioso nel contrasto a quegli stereotipi che vedono le donne poco adatte al mondo tecnologico. Già a partire dalla primaria si può fare molto, coinvolgendo le bambine in questo ambito, come sta facendo, ad esempio, l’iniziativa Programma il Futuro. L’insegnamento dell’informatica nella scuola, infatti, permette di contrastare lo stereotipo di genere e aumentare il numero di laureate in discipline informatiche e, in definitiva, una forza lavoro IT più diversificata.

Non solo la scuola, tutti però devono fare però la propria parte. La politica, ad esempio, oltre a ribadire la necessità di promuovere una parità di genere, deve poi dar seguito a quanto dichiarato, in ogni attività posta in essere. E, soprattutto, non ricordarsene solo l’8 marzo. Analogamente, l’organizzazione di convegni, dibattiti e programmi televisivi non può ridursi ad una partecipazione quasi esclusivamente maschile, come avviene per i cosiddetti manels (all-men panels). Il messaggio che ne deriva è fuorviante ed errato, perché non solo non è rappresentativo della nostra società, fatta fortunatamente da uomini e donne, ma continua ad alimentare stereotipi di genere.

Nota conclusiva
Il tema del gender gap nella cybersecurity è stato discusso al Convegno CyberSec2022 organizzato da Cybersecurity Italia con la partecipazione di Rita Forzi e Selene Giupponi, entrambe membri dell’associazione Women4Cyber Italia.
Video dell’intervento: https://we.tl/t-ure4I1qhZG

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DALLE AZIENDE - "La protezione dei dati nella trasformazione digitale" - Mirella Carraro

scopri informatica

 

La trasformazione digitale sta trainando la società nella quarta rivoluzione industriale dove l’intelligenza artificiale e il machine learning sta permettendo alle macchine di essere completamente interconnesse e di prendere decisioni automatiche in pochissimi secondi. Nello stesso tempo, la raccolta, l’elaborazione e l’interpretazione di grandi quantità di informazioni, contenute nei cosiddetti “big data”, hanno accelerato decisamente un cambio di paradigma, i cui effetti non tarderanno a manifestarsi nel modo di vivere degli individui in un futuro sempre più incipiente.

Complessi e sofisticati algoritmi sono in grado, oggi, di apprendere dalla grande messa a disposizione di dati, al fine di fornire risposte a domande ricorrenti e soprattutto per fornire previsioni di comportamenti e scelte che semplifichino la vita delle persone.
Le possibili applicazioni stanno sempre più permeando la società, diffondendosi in tutti i contesti, dall’industria ai servizi, dalla Sanità alla Pubblica Amministrazione, dalle banche alle assicurazioni, etc... È oramai una strada tracciata e dalla quale non si torna più indietro! A breve non esisterà più alcuno strumento che non contenga al suo interno un minino di intelligenza artificiale per aiutare adulti o bambini nelle piccole o grandi scelte quotidiane. Qual è il migliore tragitto casa lavoro? Cosa cucinare oggi e che ricetta usare? Fare la spesa, prenotare una visita medica, organizzare un viaggio, giocare, scegliere un film da guardare, scambiare opinioni sull’ultimo lavoro teatrale visto, monitorare il proprio stato di salute o la propria forma fisica, sentirsi sicuri o protetti nel muoversi in città, etc…

Ma quali saranno le conseguenze sugli spazi di libertà dei singoli? A quali compromessi occorrerà addivenire per godere delle grandi promesse offerte da queste tecnologie?
Non va dimenticato che le banche dati che alimenteranno e “insegneranno” a tali macchine potranno essere costituite anche da dati personali, raccolti, in modo più o meno pervasivo, sia attraverso le tracce che giornalmente ognuno di noi lascia utilizzando i nuovi sistemi di comunicazione, internet, social media, sia attraverso centraline o sensori installati, anche a scopo di sicurezza, nelle strade, presso i centri commerciali, all’interno dei nostri elettrodomestici e persino nei giocattoli destinati ai più piccoli.
Sembra tutto molto affascinante, ma chi garantisce che quelle individuate dagli algoritmi siano le scelte che avrebbe preso il singolo? Non c’è il rischio che siano indirizzate e perciò eterodirette? Dunque, quanto “nostre” saranno le decisioni nel prossimo futuro? Se lasciamo che sia un algoritmo a decidere per noi, quanto l’imprevedibilità e l’irrazionalità della vita potrà ancora essere parte di tali decisioni?

Lo scenario che ci attende, se non adeguatamente governato, rischia di minare le basi delle attuali democrazie liberali, creando uno scollamento pericoloso tra diritti enunciati e difesi dalle norme e il sentire reale della società. Il processo decisionale algoritmico, quando applicato soprattutto in particolari settori, con le sue caratteristiche di pregiudizialità, rischia difatti di compromettere i principi di equità e opportunità.
Chi ha avuto occasione di vedere alcune serie tv distopiche ha potuto intravedere come potrebbe cambiare la nostra società attraverso l’uso massiccio e incontrollato delle tecnologie. Quanta parte di ciò è semplice paura del nuovo che avanza, espressione di un connaturato conservatorismo, e quanto lucidità nell’intravedere pericoli e disarticolazioni delle basi etiche della nostra società?
È evidente che le risposte a questi quesiti non possono venire dalla sola legislazione, ovvero le norme e le regole da rispettare, così come la prevenzione delle devianze dalla scure di elevatissime sanzioni per chi non le rispetta, ma serve anche una trasformazione culturale all’altezza della nuova era che ci attende, dove tutti gli attori coinvolti in questo cambiamento devono aver ben chiaro il proprio ruolo, innanzitutto etico e, poi, conseguentemente strategico.
L’Europa, per la sensibilità da sempre mostrata verso questi temi, può rivestire un ruolo importante di guida e di esempio. Diversi sono gli interventi legislativi fin qui approvati, o in via di approvazione, che in un contesto iperconnesso si pongono l’obiettivo di accompagnare tale trasformazione, in modo da tutelare i diritti fondamentali dell’uomo.
Tra questi, il principale strumento legislativo, attualmente già in vigore, è il Regolamento Europeo sulla protezione dei dati personali, meglio conosciuto come GDPR, che nel giro di soli quattro anni è diventato fonte di ispirazione per tutte le principali normative sulla protezione dei dati personali a livello mondiale.
Ad esso si stanno affiancando anche altri regolamenti specifici, proposti sempre dalla Commissione Europea (AI Act e Data Act Digital Services Act, Digital Markets Act, Data Governance Act), e nati dalla necessità di fornire risposte adeguate e coerenti ai soggetti coinvolti, da un lato per garantire la tutela dei diritti e delle libertà fondamentali, e dall’altro per favorire la circolazione controllata e sicura dei dati, in modo da non rappresentare un ostacolo, bensì uno stimolo all’importante processo di crescita economica che abbiamo davanti.
Trattare i dati, avendo sempre ben chiaro lo scopo che vuole essere raggiunto; raccogliere solo i dati strettamente necessari a raggiungere la finalità definita; individuare la presenza della base giudica che consente lo specifico trattamento; garantire sempre agli interessati la possibilità di esercitare i propri diritti; tenere sempre in debita considerazione il rischio che lo specifico trattamento comporterebbe per i diritti e le libertà degli interessati; adottare adeguate misure di sicurezza sia tecniche sia organizzative per proteggere i dati raccolti: sono questi i principi fondamentali espressi dal GDPR. Da una lettura superficiale sembrerebbero tutti principi che poco si conciliano con la trasformazione digitale, che, invece, appare vivere della spasmodica e incontrollata raccolta di dati.
Ma proprio nel non definire prescrizioni specifiche, bensì limitandosi ad indicare la rotta per un’attenta pianificazione del trattamento, il GDPR consente alle organizzazioni di ricercare tecnologie e soluzioni anche creative, sì performanti, ma al contempo rispettose dei diritti e delle libertà degli interessati, come ad esempio le Privacy Enhancing Technologies (PETs).
Tutto ciò impone a tutti gli attori coinvolti un cambio di passo e di prospettiva: tutti i produttori di tecnologie e/o di software, che si occupano di digital transformation, in tal senso assumono un ruolo importantissimo e dovranno comprendere quanto la qualità del processo produttivo e l’accuratezza dei dati presenti nelle proprie soluzione o applicazioni, se non adeguatamente progettate, potrebbero minare le basi delle democrazie reali.
Le più lungimiranti già oggi hanno la consapevolezza dell’importanza della propria responsabilità sociale e della sfida alla quale sono chiamate e della missione che il PNRR sta richiedendo loro. Alcune di esse stanno già inserendo nell’ambito dei propri processi, soprattutto quelli produttivi, idonei presìdi atti a garantire che tutti i prodotti e servizi offerti al mercato siano rispettosi dei principi fondamentali enunciati dal GDPR.
Tutto ciò richiede una trasformazione culturale, che nelle aziende si deve concretizzare anche attraverso un’attenta formazione multidisciplinare e non più settoriale dell’intero personale, e nel pubblico mediante una sensibilizzazione, già in età scolare dei cittadini del domani.

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PROGRAMMA IL FUTURO - "La privacy come diritto umano nella società digitale" - a cura di Reputation Agency

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Prosegue con successo “Programma il Futuro”, iniziativa del Ministero dell’Istruzione e del Laboratorio Informatica e Scuola del CINI (Consorzio Interuniversitario Nazionale Informatica) volto a diffondere nelle scuole le basi scientifiche dell’informatica e l’uso consapevole delle tecnologie digitali.
Ogni anno viene lanciato un concorso a tema inerente il digitale, al quale partecipano con entusiasmo centinaia di classi delle scuole dell’infanzia, primarie e secondarie di I e II secondo grado.

Quest’anno l’obiettivo è quello di stimolare la creatività degli studenti sul tema della privacy come diritto umano nella società digitale. Nell’era digitale, in cui tutti i nostri dati sono gestiti sotto forma di bit e i dispositivi digitali tracciano ogni nostra azione in rete, il tema della privacy rappresenta una priorità per tutti i cittadini. Diversi gli aspetti da considerare: come le nostre “tracce digitali” vengono trattate, da chi e con quali finalità, quali forme di controllo il cittadino può esercitare, nonché il possibile uso improprio dei dati.
La privacy è un diritto umano da tutelare, dal momento che questi bit hanno a che fare con la vita delle persone, la loro identità personale e le relazioni sociali. Proteggere i dati in un mondo ormai quasi completamente connesso significa, dunque, permettere il buon funzionamento della società. Più si riduce la privacy, infatti, più si facilita una sorveglianza generalizzata che mette a rischio la democrazia.

Il concorso ha ricevuto il prestigioso patrocinio del Garante per la Protezione dei Dati Personali. E proprio i contenuti del sito del Garante ispireranno le scuole partecipanti per la realizzazione di elaborati, vale a dire progetti informatici, sull’uso di app e smartphone, pubblicazione di immagini online, deepfake, assistenti digitali.
A premiare le classi vincitrici, che dovranno inviare gli elaborati entro il prossimo 5 maggio, saranno i partner del progetto: Eni (filantropo), Engineering (benefattore) e SeeWeb (donatore). 

Lanciato nel dicembre del 2014 il progetto “Programma il Futuro” ha già coinvolto 3 milioni di studenti, con più di 60.000 utenti iscritti alla piattaforma del progetto. Il tema del concorso di quest’anno si inserisce nel percorso “Cittadinanza digitale consapevole” sviluppato mediante guide formative online per insegnanti e genitori che hanno già raggiunto i 120.000 download, con oltre 350.000 visualizzazioni dei relativi video.

Tra le guide, alcune sono proprio focalizzate sull’importanza dei dati e sulla necessità di fare attenzione quando si visitano siti o si ricevono messaggi che richiedono di fornire informazioni personali. Perché ciò che viene messo in rete lascia comunque delle tracce digitali che possono anche produrre conseguenze spiacevoli; è quindi necessario imparare cosa è possibile condividere in rete senza esporsi a rischi. Sono argomenti che rientrano nell’area di progetto “Cittadinanza digitale consapevole”, che propone percorsi e di lezioni per la scuola primaria e secondaria volti a promuovere un uso consapevole delle tecnologie digitali.
L’educazione al concetto di dato, di privacy e lo sviluppo della sensibilizzazione su questi aspetti, infatti, devono iniziare il prima possibile, accompagnando lo sviluppo delle competenze informatiche con la consapevolezza delle questioni etiche e sociali legate all’innovazione digitale e all’uso di strumenti tecnologici di comunicazione sempre più pervasivi.

Tutte le informazioni per poter partecipare sono consultabili a questo indirizzo https://programmailfuturo.it/progetto/concorso-2022/

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SALUTE E SICUREZZA - "Telelavoro e disturbi muscolo-scheletrici: il focus della Campagna EU-OSHA" - a cura di Reputation Agency

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“Ambienti di lavoro sani e sicuri. Alleggeriamo il carico!” è questo lo slogan con cui l’EU-OSHA, l’Agenzia dell’Unione Europea attiva per la sicurezza e la salute nei luoghi di lavoro, prosegue la sua campagna dedicata alla prevenzione dei disturbi muscolo-scheletrici (DSM).
Dopo aver approfondito gli altri ambiti individuati come prioritari prevenzione, fatti e cifre, affezioni croniche, lavoro sedentario e diversità dei lavoratori, l’Agenzia concentra la sua attenzione sul telelavoro.
Un tema anche al centro della Conferenza sul diritto alla disconnessione e sul telelavoro, ospitata dalla Commissione Europea e dal Parlamento Europeo il 15 marzo. L’evento, che può essere rivisto qui, è stato un’occasione importante per analizzare le tendenze e l’evoluzione del telelavoro, le opportunità e sfide che ne conseguono, le varie risposte politiche possibili.
Il telelavoro rappresenta comunque un argomento molto sentito dalle organizzazioni, dal momento che durante la pandemia questa modalità lavorativa ha avuto un grande impulso ed è stata adottata anche in contesti nuovi, richiedendo alle aziende un adattamento rapido, col rischio di trascurare aspetti importanti per la salute e la sicurezza dei lavoratori.
Certamente il lavoro da casa ha generato degli indiscussi vantaggi per i lavoratori, come l’abbattimento del tempo quotidiano dedicato agli spostamenti, la riduzione dei costi, il maggiore bilanciamento tra vita privata e vita lavorativa -– laddove gli spazi e l’organizzazione della giornata degli altri membri della famiglia erano compatibili – e persino una maggiore produttività.

Ma il telelavoro comporta anche dei rischi: in una casa non è detto che siano presenti le condizioni ergonomiche presenti nelle postazioni di lavoro in azienda. Senza contare che il lavoro da casa può generare isolamento sociale, dovuto alla distanza fisica dai colleghi e alla sola possibilità di interagire virtualmente.
Il lavoro da casa inoltre può avere un impatto diretto sulla salute dei lavoratori, attraverso i disturbi muscolo-scheletrici (DSM) che riguardano sia coloro che avevano già disturbi in atto sia coloro che sono stati colpiti per la prima volta. EU-OSHA rileva in particolare alcuni DSM particolarmente correlati con il telelavoro, tra cui disturbi alla zona lombare, al collo, alle spalle, alle braccia, alle mani e ai polsi e ne attribuisce la causa a una combinazione di diversi fattori ergonomici, organizzativi, ambientali e psicosociali.
E visto il grande impatto che il telelavoro può avere sulla salute dei lavoratori, la campagna ha voluto dedicargli ampio spazio, mettendo a disposizione delle organizzazioni e dei datori di lavoro molti materiali di approfondimento e prevenzione.

Tra questi, è disponibile un’utile guida per i datori di lavoro, dove sono evidenziati consigli su come diminuire l’impatto del telelavoro sui DSM e sono evidenziate le ragioni per cui il lavoro a casa è uno dei fattori da includere nella valutazione dei rischi.

Accanto a questa guida, ne è nata una seconda, dedicata nello specifico ai lavoratori, che comprende consigli e indicazioni sulle corrette abitudini da mantenere anche nell’ambiente di lavoro a distanza.

Rispetto alla valutazione dei rischi, l’EU-OSHA ha realizzato una checklist, disponibile per tutte le organizzazioni, per supportare chiunque volesse dare maggiore spazio e rilevanza al telelavoro e ai disturbi ad esso correlati nel processo di valutazione dei rischi.

Oltre a questi strumenti, nell’area del sito della Campagna dedicata al telelavoro sono contenuti molti materiali, anche in lingua italiana, per approfondire il tema e sensibilizzare le aziende; in particolare vi sono utili infografiche che rendono immediatamente visibili sia gli effetti del telelavoro sull’organismo che le buone pratiche da adottare.

Si tratta di strumenti efficaci non solo per sensibilizzare datori di lavoro e manager, ma anche per favorire nel singolo lavoratore una maggiore consapevolezza sull’importanza di adottare comportamenti sani nel corso della sua giornata lavorativa.

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REPUTATION today - anno VIII, numero 32, marzo 2022

Direttore Responsabile: Giuseppe De Paoli
Responsabile Scientifico: Isabella Corradini
Responsabile area Sistemi e Tecnologie: Enrico Nardelli
Redazione: Ileana Moriconi
Grafica: Paolo Alberti

Pubblicazione trimestrale registrata presso il Tribunale di Roma il 13/02/2014 n. 14

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Il sommario dovrà chiarire lo scopo e le conclusioni del lavoro e non dovrà superare le 300 battute (spazi inclusi).
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La bibliografia sarà riportata in ordine alfabetico rispettando le abbreviazioni internazionali.
La Direzione, ove necessario, si riserva di apportare modifiche formali che verranno sottoposte all’Autore prima della pubblicazione del lavoro.

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