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Reputation Today n° 31 - dicembre 2021


EDITORIALE - "Digitale e democrazia, un rapporto difficile" - Giuseppe de Paoli

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Le big tech? ‘governi paralleli’

Quando nacque la rete l’auspicio era che avrebbe migliorato la nostra esistenza e creato trasparenza sociale e politica e così è stato. Oggi la ‘fotografia’ del settore mostra aspetti inquietanti: la rete è diventata dominio di un gruppo ristretto di big company, che hanno raggiunto un potere abnorme usando efficacemente un mix d’ informatica, telecomunicazioni, contenuti.

Queste aziende, nello specifico, quelle del ‘GAFA’, Google, Apple, Facebook ed Amazon, detengono un potere enorme, non solo economico ed esercitano un controllo sulla nostra comunicazione, sulla nostra socializzazione, sui nostri dati.
Grazie al loro strabordante ricchezza e alla loro velocità d’azione Influiscono sull’andamento dei mercati creando distorsioni della libera concorrenza. E sfruttano la loro posizione di monopolio per concorrere ai servizi di nuova generazione come il 5G, l’Internet delle cose, il cloud computing.
Ma soprattutto oggi controllano aspetti fondamentali come la sicurezza, che una volta erano appannaggio esclusivo degli Stati e si configurano sempre più come governi paralleli.
Una situazione che rende centrale il tema della cybersecurity settore in cui, osserva nel suo articolo Isabella Corradini, “manca ancora un approccio olistico adeguato alle sfide presenti e future”.

Parla di nuovi scenari possibili anche Francesco de Leo executive Chairman di Kaufmann & Partners e Presidente di ‘’Innovazione e Trasparenza’’, l’associazione che ha fondato, insieme ad esponenti del mondo imprenditoriale, culturale e sociale, per sviluppare iniziative volte a ‘ridare fiducia’ al Paese. L’idea base è la valorizzazione delle competenze e del merito, l’impegno sulla digitalizzazione, la difesa delle imprese italiane.

Lo scrittore Marco Mozzoni affronta invece, da una visuale insolita, il tema della trasparenza che viene spesso evocata, ambita, vezzeggiata. Ma cos’è davvero la trasparenza? ‘’Più la esaminiamo in modo critico, più si manifesta come concetto opaco e occlusivo’’ osserva Mozzoni citando la filosofa Giovanna Borradori, ordinario di Filosofia al Vassar College in USA.

E ancora in questo numero sono affrontati i temi dellla sostenibilità, con il pezzo di Gabriele Rizzoli, e dell’educazione digitale con gli aggiornamenti sul Progetto ‘Programma il futuro’ curati da Francesco Lacchia.

Infine uno sguardo alla Campagna Europea sui disturbi muscolo-scheletrici realizzata dall’Agenzia Europea per la sicurezza e la salute sui luoghi di lavoro (EU-OSHA) che vede la nostra rivista tra i partner dell’iniziativa.

Buona lettura e buone feste!

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NEWS

UNA NUOVA PROPOSTA PER MISURARE LA SOSTENIBILITÀ DELLE METE TURISTICHE
Si chiama Destination Sustainability Index (DSI) il nuovo indice per misurare la sostenibilità delle mete turistiche, basato sui 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Agenda 2030 e sulle proposte del World Trade Organization, oltre che sui dati indicati del Sistema Europeo di Indicatori del Turismo. L’indice DSI nasce con lo scopo di sensibilizzare città, regioni e intere nazioni verso il proprio livello di sostenibilità, così da incoraggiare l’adozione e lo sviluppo di buone pratiche sul tema.
La misurazione include 4 aree: ambientale, come la riduzione dell’impatto umano sull’ambiente, la conservazione della biodiversità, il risparmio energetico, l’utilizzo di prodotti non inquinanti e il riciclo; economica, ovvero il rapporto tra il turismo e il suo impatto sull’economia della meta turistica, la conciliazione tra produttività e sostenibilità, l’impatto sulla crescita del sistema economico locale, l’adozione di salari equo e non discriminatori; sociale, cioè l’integrazione culturale tra turisti e autoctoni, ma anche l’impatto in termini di sostegno alle imprese e alle manovalanze locali; la governance, ovvero le politiche adottate per rispettare sostenibilità culturale e ambientale e le relative iniziative e buone pratiche.
https://www.datappeal.io/it/sustainability-index/.

I VINCITORI DEL FUTURE FILM FESTIVAL
Tra Modena e Bologna a dicembre si è svolta la XXI edizione del Future Film Fest. Il tema di quest’anno è stato lo split screen, declinato nelle sue diverse sfaccettature durante i 7 giorni di festival. Molto spazio è stato dedicato alla gamification e alla realtà virtuale, ma anche ai videogames e al cinema d’animazione, protagonista di diverse proposte in concorso, come di focus tematici dedicati alla crisi ambientale. Al termine della manifestazione si sono svolte due premiazioni, una dedicata a cortometraggi e l’altra ai lungometraggi, che hanno visto la partecipazione di artisti internazionali provenienti da paesi, oltre all’Italia, come Francia, Giappone, Brasile, Germania, Austria, Taiwan, Iran, Estonia e molti altri.
I due film vincitori sono stati rispettivamente “My sunny maad” di Michela Plavatova (Repubblica Ceca, Francia, Slovacchia) per la categoria lungometraggi e “What resonates in silence” di Marine Blin (Francia) per la categoria cortometraggi.
https://www.futurefilmfestival.it/it/

LA CITTÀ DI LUSSEMBURGO PREMIATA PER LA MIGLIORE ACCESSIBILITÀ
La città di Lussemburgo si aggiudica il Premio Access City 2022 – su 40 candidature ricevute dalla Commissione europea – grazie alle molteplici soluzioni innovative per migliorare l’accessibilità per le persone con disabilità. Alla base l’approccio “Design for All”, con l’intento di facilitare l’accesso a tutti, comprese le persone con disabilità. Alcuni esempi di buone pratiche: gli autobus a pianale ribassato dotati di rampe, annunci visivi e sonori sugli autobus e alle fermate degli autobus, il rendere accessibili a tutti le informazioni sulle decisioni politiche utilizzando la lingua dei segni, oltre alla lingua parlata e alla trascrizione accessibile. Dopo la città di Lussemburgo, si collocano rispettivamente al secondo e terzo posto Helsinki in Finlandia e Barcellona in Spagna. Da evidenziare inoltre alcune menzioni speciali, quali la città di Lovanio in Belgio, premiata per il mainstreaming dell’accessibilità, anche nell’area digitale e Palma in Spagna, che ha vinto una menzione speciale per aver migliorato l’accesso all’ambiente fisico, comprese spiagge e parchi.
Fonte: https://www.panoramasanita.it/

IL SUD ITALIA “STELLATO”
L’edizione 2022 della Guida Michelin ha incluso molti ristoranti nel Sud Italia e evidenziato alcune interessanti novità che interessano l’Italia intera. Undici i ristoranti con il massimo riconoscimento possibile, importanti novità per la regione Campania, che vede due nuovi bistellati inseriti nella Guida, mentre la Sardegna passa da due indirizzi stellati a cinque. L’entusiasmo dei giovani per il mestiere di chef, nonostante sia un lavoro faticoso e stressante, trova positive risposte nel fatto che 35 nuovi chef sono riusciti ad ottenere l'ambita Stella e quasi la metà sono under 35. Un unicum nel panorama italiano e internazionale, un risultato davvero importante che testimonia quanto l’Italia sia un riferimento a livello globale per tutto ciò che attiene la ristorazione.
Fonte: https://www.cookist.it/

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L’INTERVISTA - "Innovazione e Trasparenza" - Intervista a Francesco De Leo - A cura di Giuseppe de Paoli

Francesco De Leo

Un’associazione composta da noti esponenti del mondo imprenditoriale, culturale, sociale, con l’obiettivo di dar spazio alle persone di valore, interpretare il bisogno di partecipazione dei cittadini, sostenere politiche innovative ma fattibili. È Innovazione e Trasparenza (www.innovazionetrasparenza.eu) la neo-associazione presieduta da Francesco De Leo manager internazionale di lungo corso e Esecutive Chairman di Kaufmann & Partners (Madrid, Londra)
Con lui parliamo di Innovazione e Trasparenza (appunto) e delle prospettive del nostro Paese in vista di una difficile ripresa.

In media res. Ci racconti dell’associazione che ha fondato, con altre personalità di grande spessore e competenza. Quali sono gli scopi?

L’associazione “Innovazione e Trasparenza” nasce dal confronto e dal dialogo tra persone di diversa provenienza, che hanno deciso di essere presenti e fornire il proprio contributo per ridare fiducia e speranza ad un Paese che - con spazi sempre più ridotti di democrazia - sembra averla persa.
Le sfide che abbiamo davanti a noi non si superano da soli, occorre ricreare un senso di comunità che il nostro Paese sembra avere smarrito.
È cresciuto invece un senso collettivo di fragilità diffusa, una mancanza di prospettiva sul ruolo del nostro Paese nel mondo, la voglia di ritirarsi, di rinchiudersi nelle poche certezze di un’epoca segnata dalla pandemia a cui non eravamo preparati
Ora è come se ci mancassero le forze ma dobbiamo scrollarci di dosso la rassegnazione che ha segnato questi anni.
Ho ascoltato molte persone, normalmente molto attive, che oggi sono sfiduciate, tante che mi dicono di fare fatica a leggere i giornali, o che non vogliono più seguire i tg…

Un forte campanello d’allarme…

Certamente, e risalta nell’assordante silenzio che ha segnato gli ultimi anni. Va anche detto però che facendo la spola fra Madrid e Roma e essendo spesso all’estero per lavoro, ogni volta che tornavo in Italia mi rendevo conto che il nostro Paese è molto meglio di come lo raccontiamo, e lo è nonostante il diffuso pessimismo collettivo.
Ci sentiamo inferiori ai Paesi del Nord Europa per la questione della moralità, del buon governo e via dicendo. Ma in realtà non è così.
In Italia, infatti, c’è un serbatoio di competenze e know-how, una prospettiva, una ‘mirada’ come direbbero a Madrid, che sono uniche: gli italiani non fanno pesare ciò che sanno fare bene, anzi fanno piuttosto un passo indietro.

Oggi però dobbiamo guardare avanti…

Abbiamo una occasione storica davanti a noi e abbiamo sfide difficili da affrontare: colpisce quindi che, in questa situazione, l’attenzione della politica sia ora assorbita quasi in modo totalizzante sulla scelta di chi andrà al Quirinale.
È indubbiamente un passaggio importante, ma le sfide che abbiamo davanti sono tante e rilevanti e ci richiedono uno sforzo collettivo, un’azione coordinata e tempestiva.
Oggi ci troviamo in una fase di transizione molto simile a quella che ha contraddistinto gli inizi del secolo scorso, negli anni tra il 1900 e il 1929, quando improvvisamente anche allora, c’erano tre settori chiave dell’economia che hanno avuto un’accelerazione del cambiamento senza precedenti: l’elettrificazione, l’automobile – che ha cambiato completamente il modo di muoversi – e le telecomunicazioni.

E nuovamente oggi sono passaggi fondamentali da affrontare…

Sì, abbiamo davanti tre piattaforme di innovazione che hanno ripreso a correre come non succedeva da anni: l’automobile, l’Energia e le Tlc. Il futuro, che è alle porte, passa da qui.
Succede però che invece di parlare di software, energia e reti intelligenti, siamo ancorati su una visione datata del cambiamento
Il nostro è un Paese ripiegato su sé stesso, timoroso di guardare avanti, paralizzato da conflitti irrisolti e restio ad affrontare il cambiamento ma il ritorno al “piccolo mondo antico” non è più possibile, rischiamo di relegare il nostro Paese a posizioni marginali, dimenticando che, senza scelte di politica industriale all’altezza delle sfide dei nostri giorni, il conto lo pagheranno soprattutto gli addetti del settore con la perdita strutturale di posti di lavoro.
È chiaro, infatti, che la trasformazione in atto non è a costo zero.
Servono quindi scelte strategiche diverse: occorre avere più senso della Stato, e maggiore attenzione a creare un nuovo modello di crescita economica, che deve puntare ad una “prosperità condivisa”.
Occorre porsi una sola domanda: quale Paese vogliamo fra 10-15 anni? Le scelte di oggi, anche in merito al PNRR ricadranno sulle spalle delle nuove generazioni. Non possiamo condannare il Paese ad un futuro che non sia all’altezza del proprio passato. È una promessa che dobbiamo impegnarci a mantenere con chi verrà dopo di noi.
Un esempio per tutti: non passa giorno che la stampa nazionale non magnifichi le possibilità legate all’eco-bonus, per restaurare le facciate di palazzi e condomini. Ma davvero pensiamo che il futuro si giochi mettendo a terra buona parte delle risorse del PNRR puntando al mattone? Non dovremmo forse investire di più nelle reti intelligenti, nel cloud di nuova generazione, nelle nuove infrastrutture legate al sistema dei trasporti, nell’ education?

In questa fase quindi è fondamentale individuare le sfide chiave, le priorità, anche per evitare stanziamenti economici a pioggia riservati soprattutto a aziende già vecchie, decotte se non addirittura morte! E cosi?

Si certo: quello di finanziamenti a pioggia, o come direbbero gli americani “helicopter money”, è un rischio molto presente, anche per l’assenza di una guida dei partiti e in qualche modo delle forze sindacali, che sono state messe a margine del dibattito sul modello di Paese che vogliamo, e non hanno saputo reinventare il ruolo propulsivo che hanno avuto in passato nel promuovere lo sviluppo sostenibile.
Torno su un punto chiave: non dobbiamo rinunciare a chiederci come vogliamo che sia il nostro Paese tra dieci-quindici anni. Cosa ci aspetta in quel mondo, quali saranno le competenze, le infrastrutture necessarie?
Sicuramente le ricette economiche che ci hanno portato a questa situazione di stallo non possono rivelarsi di grande utilità per progettare il futuro. Occorre guardare avanti, occorre un cambio di passo.
Lo ha fatto Pedro Sanchez, primo ministro spagnolo, che mentre tutti erano presi a parlare di PNRR, è volato in California dove ha incontrato Tim Cook, Ad di Apple, e s’è fatto garantire che a Madrid Apple metterà la sede del proprio centro di sviluppo sul tema dell’Intelligenza Artificiale. A Madrid, dove fra gli altri, ci sono già investimenti importanti di Google, di Amazon, e di Netflix.
Innovazione e trasparenza sono obiettivi importanti, possono essere una via d’uscita: non sono un semplice slogan, ma un metodo di lavoro.
E come associazione ci impegniamo ad incalzare il Governo affinché si valorizzino le competenze, si premi il merito, si difendano le imprese italiane e la spesa virtuosa.
Ricordandoci che quando Roosevelt affrontò il New Deal si circondò di persone competenti provenienti dalla società civile, a cui venne garantita indipendenza e autonomia come mai si era registrato prima di allora anche nei confronti della Casa Bianca.

L’associazione è propedeutica a una nuova forza politica?

No, non è questo il momento. Si vedrà più avanti. Ma vogliamo intervenire, dicendo la nostra, sui principali dossier su cui si confronteranno forze politiche ed opinione pubblica. Oggi la missione più importante è avviare i cantieri, rilanciare la ripresa economica, rapportarsi all’Ue, che dovrà divenire più inclusiva e più collegiale nelle scelte altrimenti perderà la sua identità e sarà schiacciata tra Usa e Cina.
È il momento non solo di ricostruire l’Italia, ma soprattutto di costruire una Nuova Europa.
Quando avremo fatto questi passaggi, nei prossimi mesi, ci saranno spazi per valutare nuove azioni e per valutare se c’è modo di immaginare un passo in più: ora l’obiettivo è, come dicevo all’inizio, ridare fiducia al Paese, soprattutto ai giovani ed alle donne che per troppo tempo sono state lasciate ai margini del cambiamento.

Come giudica l’operato del nostro Governo in questa fase?

Il prestigio internazionale dell’Italia è oggi fuori discussione ed è in grande misura legato al primo ministro, Mario Draghi. L’attenzione e il rispetto che l’Italia s’è guadagnata sono dovuti, in larga misura, alla sua autorevolezza. Tutto questo ci attira anche qualche invidia di troppo: ma è naturale che sia così, perché per troppo tempo ci avevano considerato marginali, se non addirittura fuori dai giochi. Al contrario, con grande sorpresa di molti, l’Italia è tornata centrale nel riassetto verso cui procede l’Europa nel suo complesso.
Mi sembra peraltro che questa sia una fase difficile per il Governo. Si percepiscono delle fibrillazioni all’interno della maggioranza ed un arretramento, diciamo così, della capacità di discutere collegialmente di alcuni temi. Tutto questo avviene in una fase critica, in cui alcune lobby che hanno affossato il nostro Paese sono forse più attive che in passato.

Il Paese sconta un forte ritardo in alcuni settori, per esempio nel digitale, sia per la limitate competenze in tal campo, sia per la bassa adozione di tecnologie avanzate come il cloud. Come uscirne?

La prima decisione del governo dovrebbe essere quella di definire una politica industriale coerente. Dal punto di vista della transizione energetica, l’attività di ENEL, guidata da Francesco Starace ha dato il via ad una fase di forte trasformazione, come in nessun altro Paese all’interno della Ue, e nel caso di specie siamo senza dubbio in buone mani. Qualche preoccupazione in più l’abbiamo sul discorso automotive e sulle infrastrutture legate ai trasporti e alle telecomunicazioni. Il ritardo accumulato dalle “non-scelte” di questi ultimi 20 anni stanno portando i nodi chiave al pettine.
Qui gli interventi vanno coordinati con attenzione. Siamo in una fase di selezione darwiniana fra sistemi Paese: vince chi ha la capacità di interpretare il cambiamento e sa adattarsi velocemente. Ma occorre agire e prendersi la responsabilità delle decisioni chiave: non si può tenere un intero Paese ingessato e ripiegato su posizioni di retroguardia. Si può fare di più e si deve fare meglio.

L’Italia è un paese ricco di storia, tradizioni e di opere d’arte (ha il maggior numero di siti Unesco a livello mondiale) ma fatica a trasformare questo patrimonio in opportunità lavorative per il nostro Paese. Cosa si può fare?

Abbiamo grandi potenzialità che derivano dalla nostra storia, dalle nostre tradizioni, dalla nostra agroindustria, che trovano nel nostro Made in Italy una chiave di sviluppo che in nessun altro Paese è così radicata. Al Paese manca però una visione complessiva, una “grean strategy” che riunisca gli sforzi di tanti settori nel mirare ad obiettivi condivisi di un sistema-Paese coordinato.
Sarebbe utile, ad esempio, un tavolo di confronto sulla mobilità futura, dato che abbiamo reti autostradali diffuse e capillari, ma risulta mancante il collegamento tra gli attori chiave che guideranno il cambiamento.
Il PNRR non può essere fatto di cantieri che vanno avanti in parallelo e non si incontrano. Serve un progetto complessivo, un punto di sintesi: una “grean strategy” per trasformare il Paese in un “Innovation Nation”. Quanto alle nostre bellezze, vanno valorizzate e devono diventare asset digitali: due parole, sono utili blockchain e NFT (Non fungible Tokens).
Ci sono milioni di persone nel sud-est asiatico che vorrebbero visitare Venezia, Firenze, Roma, Milano, ma per gran parte di loro sarà difficile.
Possiamo però creare la possibilità di visitare in modalità digitale gli Uffizi o i Musei Vaticani, anche per chi vive a Pechino o New Delhi. E possiamo farlo coinvolgendo i giovani che hanno maggiore capacità di declinare tecnologia e fantasia.

Per lei che ha maturato in questi trent’anni un’esperienza internazionale, quanto è importante il concetto di reputazione per i mercati? Fino a che punto una buona reputazione è importante per il valore delle imprese?

La reputazione è tutto. È l’elemento chiave per muoversi in un mondo sempre più globalizzato ed interconnesso, che non lascia margini a chi pensa di nascondersi. È anche per questo che a Davos da ormai più di 10 anni si tiene nel corso del World Economic Forum il Reputation LAB, che oggi è sempre più focalizzato sul tema degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, fissati dalle Nazioni Unite.
Penso che la reputazione sia sempre più importante, è una moneta di scambio che non può essere falsificata: è destinata a diventare sempre più determinante nel definire gli assetti economici e geopolitici nel prossimo futuro.
Un futuro che è già arrivato: noi possiamo cercare di fuggire o nasconderci, ripiegando sul passato, o scegliere, finalmente di affrontarlo in campo aperto, in competizione con i migliori, con la consapevolezza che le società che si sanno adattare meglio si avvalgono del contributo di tutti e rigettano il pensiero unico.
Troppi di noi e troppo a lungo si sono sentiti invisibili e quasi senza diritto di cittadinanza. È arrivata l’ora di cambiare pagina. Oggi molte persone sono pronte a rimettersi in gioco e disponibili a affrontare il futuro che è alle porte: sono convinto che possano dare un loro contributo importante e noi, con Innovazione e Trasparenza, ci mettiamo a disposizione per dare loro voce.

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CULTURA E SOCIETÀ - "Considerazioni sulla trasparenza" - Marco Mozzoni

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È più o meno, lo stesso principio dell’Open Access e dell’Open Source: accesso libero a tutti, nessuno escluso; a quel che la “cosa-in-sé” è per davvero, nella sua autenticità, nelle sue infinite sfaccettature; su cui poter intervenire all’occorrenza. Banalmente, verrebbe da dire, la trasparenza rappresenta l’opposto del mettere in ombra, del nascondersi, dell’alzare un muro spesso e impenetrabile, come quelli che dividono ancor oggi i popoli. L’idea piace, senza mediazioni. È un concetto dato per certo. Non occorre rifletterci sopra. Di fronte a una persona, un amico, un collega d’ufficio non completamente trasparente chi si sente a suo agio? Scatta subito il sospetto che qualcosa non va, che il rapporto è poco chiaro. Essere trasparenti vuol dire essere onesti, in fondo, non avere nulla da nascondere, mantenere una posizione etica.
In generale siamo tutti convinti che la trasparenza, in special modo nell’era digitale, possa “accelerare la condivisione di informazioni, aiutare a coordinare gli sforzi, responsabilizzare chi comanda, migliorare la qualità e la velocità dei processi decisionali”1. Purtroppo, non sempre è vero. Se ne è accorta – tra gli altri – McKinsey, che ha recentemente pubblicato un rapporto sul “lato oscuro della trasparenza”2. Perché anche la trasparenza può generare problemi. Un eccessivo scambio di dati, ad esempio, può portare le aziende a sovraccarichi informativi (cosiddetti “overload”), legittimando infinite discussioni e ripensamenti sulle decisioni già prese. Allo stesso modo, aprire alla trasparenza i processi creativi può bloccare chi crea, per la sensazione fastidiosa di essere “sotto l’occhio del padrone”, di terzi che osservano l’opera nel momento del suo farsi senza avere però la capacità di immaginarne la realizzazione. E la trasparenza delle performance individuali e delle relative retribuzioni, adottata da molte aziende oltre Oceano per stimolare “fiducia e responsabilità collettiva”, può avere pericolosi ritorni di fiamma.

In Zappos (una sussidiaria di Amazon) l’introduzione di un modello “olocratico”, basato cioè su team autogestiti, privi di ruoli formali assegnati, ma con il “dovere della trasparenza”, ha portato in breve tempo alle dimissioni del 14% del personale. Motivo? “L’olocrazia ha generato confusione, ingenti perdite di tempo e risorse a causa di riunioni ripetitive senza fine” che hanno letteralmente sfibrato i dipendenti3. Idem per la trasparenza sui bonus aziendali, che ha portato in soli due anni il personale di una società di progettazione canadese a una calo di fiducia del 7% nei confronti del datore di lavoro e dell’8% della percezione di equità della ricompensa elargita. Il caso – spiega il rapporto McKinsey – illustra bene il fenomeno psicologico della comparazione sociale: “quando valutiamo il nostro rapporto riconoscimenti / prestazioni peggiore di quello dei colleghi, incappiamo in una dissonanza mentale che sfocia in invidia, distrazioni, lassismo, rancori, voglia di mandare tutto all’aria”. Gli effetti collaterali di una eccessiva trasparenza nei contesti creativi li ha toccati con mano l’agenzia londinese di comunicazione Euology. La brillante idea dei manager di far partecipare ai brainstorming i clienti ha avuto come risultato il blocco sul nascere delle migliori idee, che i “non creativi” avevano difficoltà a comprendere perché non ancora confezionate a dovere in un progetto formale.

Da noi la trasparenza è diventato il mantra della Pubblica Amministrazione, principalmente come contraltare alla corruzione. Pur non avendo una esplicita previsione in Costituzione (in nessuno dei 139 articoli compare il termine), secondo i giuristi il vuoto sarebbe “solo formale e non sostanziale”, il concetto rappresentando “una delle declinazioni del principio costituzionale dell’imparzialità della PA” sancito dall’articolo 974. Dobbiamo aspettare però la L.241/1990 per avere una disciplina generale in materia di “accesso documentale” a favore del cittadino. Ed è solo con il volgere di millennio che entra in vigore un vero e proprio “Codice della trasparenza” (D.Lgs.33/2013), adottato in attuazione di quanto previsto dalla legge anticorruzione appunto (L.190/2012)5. Il codice intende la trasparenza quale “accessibilità totale delle informazioni concernenti l’organizzazione e l’attività delle pubbliche amministrazioni, allo scopo di favorire forme diffuse di controllo”; in pratica, “chiunque ha diritto di conoscere, fruire gratuitamente ed utilizzare tutti i documenti e le informazioni”. Del resto, che la PA dovesse essere trasparente al massimo grado lo aveva già espresso Filippo Turati nel 1908 alla Camera dei Deputati con la celebre metafora della “casa di vetro”6. La stessa Unione Europea “persegue l’integrazione, lo sviluppo economico e la partecipazione attraverso la trasparenza come criterio informatore dell’azione delle istituzioni”7. E non può essere diverso per gli stati membri. Come è noto, anche questa declinazione della trasparenza ha i suoi limiti e non può non averli. Tra quelli “tassativi”, ai fini della salvaguardia di interessi pubblici fondamentali e prioritari, vi sono ad esempio i documenti coperti da segreto di Stato, i procedimenti tributari, le informazioni psico-attitudinali dei procedimenti selettivi. Altri limiti cercano di bilanciare l’accesso alle informazioni con la riservatezza di persone fisiche (dati attinenti la “sfera intima” di ciascuno) e giuridiche (come ad es. i segreti di impresa), la cui diffusione non risponde ad alcun interesse pubblico prevalente. Materia quanto mai complessa e delicata, disciplinata nel 2016 dal regolamento europeo GDPR per quanto attiene ai dati personali genetici, biometrici, relativi a salute fisica e mentale, orientamento sessuale, etnia, convinzioni religiose, politiche ecc.

“Invocata incessantemente come una condizione necessaria di tutti gli aspetti della vita democratica, la trasparenza è stata salutata come la massima priorità nella gestione pubblica, nell’impresa privata, nelle relazioni internazionali. Ma più la esaminiamo in modo critico, più si manifesta come concetto opaco e occlusivo”. Così dice la nostra Giovanna Borradori8, oggi ordinario di Filosofia al Vassar College in USA, in apertura di un libro molto interessante prodotto dal network multidisciplinare che si occupa di Critical Transparency Studies9. “Che cos’è la trasparenza? Una qualità? Uno stato? Un processo? Cosa intendiamo con questo termine? Considerata la sua onnipresenza, è significativo il fatto che nessuno abbia mai fatto ricerca sulle sue radici storiche, sugli usi attuali, sulle sue ampie implicazioni. Sembra che la ricerca accademica, questa volta, sia molti passi indietro rispetto al fenomeno in atto”, aggiunge il curatore Emmanuel Alloa, docente in San Gallo e fellow dell’Accademia Italiana in America presso la Columbia10, che prova a tirare le fila per punti. Seguiamolo per un momento. Di fatto, la trasparenza può essere intesa come:
• accessibilità (“diritto di conoscere”)
• correttezza procedurale
• responsabilità
• riduzione dell’asimmetria (per bilanciare pratiche di segretezza)
• bene comune
• razionalizzazione
• costruzione della “verità” (deprecazione del “falso”)
• moralizzazione
• autocoscienza
• autenticità
• translucidità
• generatività

Trasparenza rimanda però anche al famigerato “panopticon”, una cifra distintiva del carcere di San Vittore a Milano. Non tutti hanno la possibilità di visitarlo (per fortuna). Chi l’ha fatto, come il sottoscritto per ragioni professionali, molti anni fa, ha avuto un senso di claustrofobico soffocamento. In questo contesto, la “trasparenza” è legata alla relazione tra un osservatore invisibile e “oggetti” pienamente visibili, 24 ore al giorno. Proprio come succede nel mondo digitale. Le tecnologie di tracciamento e monitoraggio incardinate nei browser che usiamo per navigare in rete, le piattaforme “social”, le videocamere di sorveglianza installate nei luoghi pubblici, ci rendono un “libro aperto” ad altri che nemmeno conosciamo. Anche questa è “trasparenza”. Ci va bene il “panopticon 2.0?” Chi ci ha mai riflettuto sopra? Si fa presto a dire è come 1984, è come Modern Times. Le aziende macinano dati per ragioni commerciali, gli Stati per “ragioni di sicurezza nazionale”. Dov’è il confine? Dove è opportuno mettere uno stop? Quali i limiti?
La trasparenza alla fine è una forma di manipolazione, un Grande Fratello di orwelliana memoria, se non mettiamo (ci diamo dei) limiti, concludono i nostri autori. L’incubo nazistalinista riattualizzato e ritualizzato in una “visibilità” ricercata e temuta al contempo. Un grande paradosso di narcisismo patologico, un fenomeno di “post-verità”. Una illusione, una “falsa soluzione a un problema reale”, come dicono Finn Janning e colleghi della Duke University in un volume stimolante pubblicato lo scorso anno, in piena pandemia11. Allora – come sempre – che fare? Alla McKinsey danno un consiglio molto pratico, del tipo la saggezza sta nel mezzo: “i dirigenti devono farsi più intelligenti in merito a quando rilasciare e quando trattenere le informazioni, in modo da beneficiare di una certa dose di trasparenza organizzativa mitigando allo stesso tempo gli effetti collaterali di una sua applicazione esagerata”. D’altro canto, un messaggio speculare mandano i ricercatori Viola e Lider nel volume in via di pubblicazione sul tema “Fiducia e trasparenza nell’era della sorveglianza” (Rutledge, 2022)12.

Note
1 Jeff Sutherland, “Scrum: The Art of Doing Twice the Work in Half the Time”, first edition, New York, NY: Crown, 2014.
2 Julian Birkinshaw and Dan Cable, “The dark side of transparency”, McKinsey Quarterly, February 2017
3 Rachel Emma Silverman, “At Zappos, banishing the bosses brings confusion,” Wall Street Journal, May 20, 2015, wsj.com
4 Franco Scaramella, “Trasparenza: l’evoluzione continua di un principio generale dell’attività amministrativa”, Diritto & Diritti, 2017
5 Parlamento Italiano, “Diritto di accesso e trasparenza della pubblica amministrazione”, https://temi.camera.
it/leg17/temi/trasparenza_pa ; accesso 03/12/2021
6 “Dove un superiore, pubblico interesse non imponga un segreto momentaneo, la casa dell’Amministrazione dovrebb’esser di vetro” (Filippo Turati, 17 giugno 1908)
7 Giordano Locchi, “Il principio di trasparenza in Europa nei suoi risvolti in termini di Governance amministrativa e di comunicazione istituzionale dell’Unione”, Amministrazione in Cammino, Rivista di diritto pubblico, di diritto dell’economia e di scienza dell’amministrazione, Centro di Ricerca “Vittorio Bachelet”.
8 https://www.vassar.edu/faculty/giborradori
9 Emmanuel Alloa and Dieter Thomä (Editors), “Transparency, society and subjectivity. Critical perspectives”, Palgrave MacMillan, 2018
10 https://italianacademy.columbia.edu/fellow/emma
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11 Finn Janning, Wafa Khlif, Coral Ingley, “The Illusion of Transparency in Corporate Governance. Does Transparency Help or Hinder True Ethical Conduct?”, Palgrave MacMillan, 2020
12 Lora Anne Viola and Pawel Laidler, “Trust and ransparency in an Age of Surveillance”, Routledge, 2022 in press

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SOCIETÀ DIGITALE - "La sfida della cybersecurity" - Isabella Corradini

Themis

Visione strategica e competenze multidisciplinari

È ormai innegabile che il nostro futuro diventerà sempre più digitalizzato e che tra le nostre principali preoccupazioni ci sarà certamente quella di proteggere i nostri dati e la nostra sicurezza in Rete.
Il 2020, a causa della pandemia, ha segnato senza dubbio l’anno dell’accelerazione della trasformazione digitale e del lavoro da remoto; ma questo non significa che sia stato caratterizzato da una maggiore consapevolezza dei rischi. Anzi, il maggior ricorso a strumenti digitali ha incrementato le opportunità per i cybercriminali, che hanno sfruttato il periodo della pandemia e le preoccupazioni delle persone per sferrare, ad esempio, massivi attacchi di phishing puntando su contenuti inerenti il virus ed il possibile contagio.

La cybersecurity costituisce oggi una priorità per tutti i paesi. C’è il timore e al tempo stesso la consapevolezza che la sottrazione del patrimonio informativo di aziende strategiche– così come la compromissione delle sue infrastrutture critiche – possa comportare conseguenze pesantissime per organizzazioni e cittadini.
È necessaria una visione strategica a lungo termine, perché se da un lato l’evoluzione tecnologica è inarrestabile, dall’altro essa pone la questione di minacce sempre più sfidanti e di difficile gestione. Si pensi alla manipolazione di immagini e video (deepfakes) attraverso l’impiego di Intelligenza Artificiale e alle conseguenze che possono coinvolgere chiunque, dall’utente sconosciuto a personaggi famosi e amministratori delegati di società.

La sfida più ardua della cybersecurity resta comunque quella culturale, perché è evidente che un’efficace gestione della sicurezza informatica passa prima di tutto attraverso la consapevolezza da parte delle persone rispetto agli scenari digitali e ai rischi connessi.
D’altro canto, sono anni che viene sostenuta l’importanza di considerare persone, tecnologie e processi all’interno di un approccio olistico alla sicurezza informatica. Ma ad oggi poco è cambiato e gli attacchi informatici sono un problema serio da gestire. Oltre ad una visione strategica per il futuro, è fondamentale valutare l’importanza di integrare diverse competenze. Considerata, infatti, la natura dei rischi e l’impatto sociale delle tecnologie digitali, è indispensabile il ricorso alle scienze sociali e comportamentali per comprendere gli effetti dell’innovazione digitale. Per un’evoluzione dell’information security e del risk management è quindi doveroso il coinvolgimento di figure professionali con bagagli di competenze non solo tecniche.
Ancora oggi purtroppo si persevera su una visione esclusivamente tecnologica, basata su soluzioni che possono certamente essere utili all’occorrenza, ma che non sono risolutive, per almeno due motivi. Il primo è che le soluzioni tecnologiche, per quanto necessarie, sono adatte per problematiche di natura tecnica e non possono, quindi, risolvere problemi specificatamente legati al comportamento umano. Il secondo motivo è che le minacce evolvono rapidamente e le soluzioni tecnologiche diventano rapidamente obsolete.
L’azione culturale è indispensabile se istituzioni e imprese vogliono difendere il loro know-how e le loro informazioni. Tuttavia, creare una consapevolezza diffusa ed efficace richiede di pensare in termini di processo e di investire adeguatamente sulla preparazione delle persone.
Sviluppare una cultura della cybersecurity, infatti, richiede un diverso “atteggiamento mentale” (mindset) nei confronti della sicurezza, dal momento che occorre far riferimento agli elementi di conoscenza, di percezione, attitudini, di valori delle persone rispetto alla sicurezza delle informazioni al loro comportamento nei confronti delle tecnologie digitali.
Un elemento di riflessione merita il discorso formazione, in relazione al quale vanno individuate metodologie e competenze adatte allo scopo, soprattutto ora che la formazione digitale ha acquisito un ruolo rilevante anche negli ambiti educativi. Nonostante i pro e i contro della formazione a distanza, in futuro bisognerà sempre più confrontarsi con questa metodologia didattica.
La premessa di tutto, però, resta il superamento dello stereotipo che vede il fattore umano come punto debole della cybersecurity, anziché come parte integrante della soluzione (Zimmermann e Renaud, 2019)1. Nonostante la convergenza di molti studiosi sull’importanza del fattore umano nella sicurezza, le strategie di contrasto in materia di cybersecurity continuano a trascurare questo aspetto. La componente umana, ritenuta importante a livello teorico, non trova adeguata collocazione nella pratica. Gli interventi rimangono limitati a sporadici corsi formativi, che spesso si traducono in liste di cose da fare e non fare o ad una mera informazione sulle policy di sicurezza, senza però produrre un effettivo cambiamento dell’atteggiamento verso il tema della sicurezza dei dati.

Infine, è indispensabile adoperarsi per il superamento del gap tra essere umani e tecnologie digitali e promuovere conoscenza e consapevolezza a partire dalla scuola.
Considerando infatti che la digitalizzazione è irrefrenabile e che l’accesso alle tecnologie digitali è sempre più precoce, diventa fondamentale promuovere un uso responsabile delle tecnologie digitali già a partire dalle scuole primarie, favorendo così una sensibilizzazione ai rischi della Rete (Corradini e Nardelli, 2020)2. Promuovere nei giovani un pensiero critico rispetto all’uso delle tecnologie digitali è prioritario se si vuole costruire una società di persone capaci di affrontare le sfide future della società digitale.

Dunque, che fare per il prossimo futuro? Se si vuole affrontare il problema producendo dei risultati a lungo termine, occorre intraprendere un percorso diverso, superando stereotipi e chiarire la visione che si vuole avere per gestire la cybersecurity. Ma soprattutto va recuperata la parola prevenzione, spesso sacrificata a vantaggio di una resilienza che ad oggi non c’è.

Note
1 Zimmermann V., Renaud K. (2019): Moving from a “Human-as-Problem” to a “Human-as-Solution” cybersecurity mindset. Int. J. Hum. Comput. Stud. 131, 169–187.
2 Corradini I., Nardelli E.: Developing Digital Awareness at School: A Fundamental Step for Cybersecurity Education (2020). In: Corradini I., Nardelli E., Ahram T. (eds) Advances in Human Factors in Cybersecurity. AHFE 2020. Advances in Intelligent Systems and Computing, vol 1219, Springer.

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PROGRAMMA IL FUTURO - "Sempre più informatica... I buoni propositi per il 2022" - Francesco Lacchia

scopri informatica

Programma il Futuro – l’iniziativa promossa nel 2014 dal Ministero dell’Istruzione e realizzata dal Laboratorio Informatica e Scuola del CINI (Consorzio Interuniversitario Nazionale per l’Informatica) ha da poco celebrato la Settimana di Educazione all’Informatica (CSEdWeek), conosciuta come l’Ora del Codice.

Si tratta di un’iniziativa internazionale, attivata fin dal 2013 dall’organizzazione no-profit americana Code.org (https://code.org) per sensibilizzare i cittadini, a partire dagli studenti, sull’importanza di diffondere conoscenze informatiche di base per la comprensione della moderna società digitale. Durante la settimana del Codice che si tiene a dicembre, quest’anno nei giorni dal 6 al 12, tutti gli studenti sono stati invitati a svolgere almeno un’ora di programmazione.
Il motto che si è voluto diffondere quest’anno è stato #informaticaovunque (#cseverywhere), nell’ottica di evidenziare che qualunque situazione ci si trovi ad affrontare, dalla lotta alle malattie all’esplorazione dello spazio, l’informatica è ormai indispensabile. Studenti ed insegnanti sono stati così invitati a celebrare l’impatto dell’informatica in ogni aspetto della nostra vita, soprattutto nei più inattesi.

Per la preparazione all’Ora del Codice, come lo scorso anno, Programma il Futuro ha organizzato un corso di introduzione alla programmazione di uno degli ambienti di sviluppo di Code.org. Se nel 2020 ci si era concentrati sulla programmazione di giochi interattivi nell’ambiente “Sviluppo giochi”, nel 2021 è stato proposto un corso sull’ambiente “Sviluppo app”, focalizzato sulla realizzazione di applicazioni web. Le quattro lezioni online tenute dal professor Enrico Nardelli, coordinatore del progetto, hanno coinvolto sia docenti che studenti ed hanno avuto un enorme successo, con una presenza media di circa 230 partecipanti a lezione. Durante questo corso, il professor Nardelli ha realizzato un’applicazione per la creazione di quiz. Non si è trattato di un semplice esempio di quiz, ma della struttura modulare di un’applicazione che docenti e studenti possono poi personalizzare ed utilizzare per creare i propri quiz. Tale approccio ha anche consentito di mostrare uno dei concetti fondamentali dell’informatica che sta a monte del codice: l’astrazione. Maggiori dettagli nella seguente pagina del sito di Programma il Futuro:
https://programmailfuturo.it/progetto/ora-del-codice/programmazione-di-app

Le novità dell’Ora del Codice 2021

La Simulazione di epidemia permette agli studenti di comprendere come creare un programma che realizza un modello della realtà, al fine di simularla, studiare l’evoluzione di diversi scenari e quindi ipotizzare e valutare possibili soluzioni ai problemi evidenziati dalla simulazione stessa. In questa esercitazione si scrive il programma a blocchi, che realizza il modello di una popolazione di mostri, alcuni dei quali sono affetti da un virus. Grazie al concetto di evento, si fa in modo che quando un mostro sano entra in contatto con uno malato, si ammali a sua volta. Si aggiunge poi al modello la possibilità di dotare i mostri di mascherine per non diffondere il contagio. Infine, per passare da un’artificiosa visione deterministica ad una più realistica situazione in cui diversi eventi accadono con diversi gradi di probabilità, si raffina il modello introducendo un blocco condizionale che implementa, appunto, il concetto di probabilità. Come spesso accade nelle attività di Code.org, l’esercitazione si conclude con l’invito a condividere con amici e parenti il progetto personalizzato realizzato nell’ultimo esercizio. Maggiori dettagli nella seguente pagina del sito di Programma il Futuro:
https://programmailfuturo.it/come/ora-del-codice/simulazione-di-epidemia

L’arte della poesia è un’attività che permette di affrontare in un modo nuovo l’informatica nell’ambito di discipline umanistiche, come l’arte e la poesia. Per il suo svolgimento sono già disponibili alcune poesie, ma è anche possibile inserirne altre di proprio gradimento. Lo scopo del programma è abbinare effetti visivi e sonori alla presentazione dei versi, in modo da esprimere al meglio le sensazioni che scaturiscono dalla lettura della poesia. Si possono definire degli effetti che restano attivi per tutto il tempo della presentazione della poesia; tuttavia, vi è anche la possibilità di legare l’insorgere di alcuni effetti alla presentazione di un particolare verso e per far questo si introduce il concetto informatico di evento. Tra gli effetti proposti, vi è anche la comparsa e la scomparsa di personaggi, sempre in tema con quanto ispirano i versi a cui vengono associati. Inoltre, questi personaggi possono essere programmati per eseguire più e più volte particolari comportamenti. Grazie a queste istruzioni è quindi possibile creare una vera e propria animazione, che si realizza parallelamente alla comparsa dei versi della poesia. Al termine dell’esercitazione, gli studenti sono invitati a creare da zero l’animazione di una poesia e condividere il proprio progetto personalizzato con amici e parenti. Maggiori dettagli nella seguente pagina del sito di Programma il Futuro:
https://programmailfuturo.it/come/ora-del-codice/l-arte-della-poesia

Infine, "Ciao mondo!” (Hello World), il cui nome richiama l’emblematico testo che appare quando si crea il primo programma. Questa attività consente agli studenti di sviluppare abilità di programmazione di base ed acquisire fiducia nella creazione di nuove app. La medesima serie di esercizi si può svolgere in diversi ambientazioni: cibo, animali, videogame retrò ed emoji. In ognuno di questi casi si ha l’opportunità di imparare le basi della programmazione del “Laboratorio dei personaggi”, l’ambiente di sviluppo di Code.org dedicato alla creazione di giochi e storie con personaggi interattivi. Questa attività si può svolgere a partire dal seguente indirizzo: https://code.org/helloworld

Al seguente indirizzo è possibile trovare l’elenco completo di tutte le attività dell’Ora del Codice adattate in italiano dal progetto Programma il Futuro:
https://programmailfuturo.it/come/ora-del-codice
Lo scopo di queste attività svolte durante la Settimana di Educazione all’Informatica è di costituire un avvincente punto di partenza da cui partire con l’insegnamento dei princìpi fondamentali dell’informatica tramite i corsi completi che tutti gli studenti dovrebbero avere l’opportunità di svolgere durante l’anno scolastico:
https://programmailfuturo.it/come/primaria

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AMBIENTE E TERRITORIO - "Isole minori: possibili laboratori per lo sviluppo sostenibile" - Gabriele Rizzoli

eolie

Per lo sviluppo delle economie locali sempre più si guarda all’ applicazione di approccio integrati, capaci di attivare offerte culturali e modelli di turismo sostenibile innovativi, accanto alla riqualificazione fisica del territorio.

In questo articolo viene riportato l’esempio delle isole minori, che rappresentano contesti marginali e periferici caratterizzati da evidenti peculiarità, nei quali, a fronte di un’elevata disponibilità pro-capite di risorse naturalistiche, paesaggistiche e culturali, si osservano consistenti divari territoriali, economici e sociali rispetto al resto del Paese. Le realtà isolane necessitano per questo di una riqualificazione fisica del territorio e di un approccio integrato capace di dar vita a nuove forme di sviluppo di economie locali, di offerta culturale e di modelli innovativi di turismo sostenibile.

Le isole minori del nostro Paese presentano, il più delle volte, un sistema economico eccessivamente dipendente dal settore turistico che basa la sua competitività sui fattori sole e mare dando vita ad un’offerta usufruibile unicamente in estate e per questo estremamente stagionale. Tale scenario comporta una gestione inefficiente della destinazione turistica a causa della sola attenzione rivolta al fattore quantità (e quindi al profitto) rispetto che alla qualità, ciò causa un’inevitabile inflazione della cultura locale e della sua identità e genera pressioni negative sull’ambiente circostante. La perdita dell’autenticità del territorio equivale alla scomparsa dei fattori di attrazione di una determinata destinazione, facendo entrare in crisi il settore turistico e originando conseguenze devastanti a livello sociale, economico ed ambientale.

Per far fronte a tutto questo, i territori isolani mediterranei richiedono l’attivazione di strategie di destagionalizzazione turistica e nuovi modelli di sviluppo green con interventi di adattamento ai fenomeni connessi al cambiamento climatico; una direzione di intervento che oggi rappresenta anche una grande opportunità per attrarre la crescente quota di turismo in cerca di un’offerta di qualità nelle isole minori dove al centro sono il paesaggio e la biodiversità, ma anche l’innovazione data da impianti solari, eolici, marini, sistemi di accumulo di energia e dalla mobilità elettrica.

La maggior parte delle isole minori non elettro-connesse alla rete di trasmissione nazionale (RTN) del nostro Paese, è vittima di un sistema energetico altamente inefficiente ed insostenibile dal punto di vista ambientale. In molte delle piccole isole mediterranee, la domanda energetica locale viene soddisfatta grazie a centrali termoelettriche presenti in loco e gestite da società private, ciò comporta un alto tasso di inquinamento a causa sia dello sfruttamento dei combustibili fossili per l’alimentazione delle centrali che del trasporto del gasolio dalla terraferma all’isola tramite navi cisterna. È importante evidenziare come tale sistema sia del tutto inefficiente anche dal punto di vista economico come evidenziato dal Rapporto Legambiente “Isole 100% Rinnovabili”. Infatti il costo medio di produzione elettrica nelle isole minori non interconnesse alla RTN è di circa sei volte superiore rispetto alla media nazionale. Alle società private gestrici della produzione di energia sulle isole viene garantito un conguaglio, prelevato dalle bollette dei residenti attraverso la voce UC4 degli oneri di sistema, pari a 70 milioni di euro annui per le tredici isole non gestite da Enel S.p.A.

Le isole minori godono però di ampie risorse energetiche rinnovabili quali mare, sole e vento che, se sfruttate in modo efficace ed efficiente, possono condurre questi piccoli territori verso la strada della sostenibilità energetica e dell’autosufficienza dal resto del Paese divenendo dei veri e propri laboratori per lo sviluppo sostenibile. Le isole minori possono essere trasformate in modelli di sostenibilità attraverso il miglioramento della gestione del sistema energetico locale, dell’approvvigionamento idrico, della mobilità e dello smaltimento dei rifiuti tramite strategie innovative, responsabili ed inclusive.

L’Unione Europea e l’Italia si impegnano saldamente da anni per supportare un processo di transizione ecologica rapida ed efficiente. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza mette a disposizione delle isole minori 200 milioni di euro per renderle 100% sostenibili dal punto di vista ambientale, sociale ed economico, un’opportunità di straordinaria importanza per questi piccoli territori periferici. Le isole minori rappresentano contesti estremamente vulnerabili di fronte alla minaccia sempre più pressante dei cambiamenti climatici, vige per questo il bisogno imminente di intervenire rapidamente per cercare di tutelarle e proteggerle.

Il mondo sta prendendo finalmente coscienza della gravità dell’odierna situazione ambientale in cui la Terra si trova, per questo è indispensabile che ogni singolo individuo modifichi radicalmente il proprio attuale sistema di vita rendendolo maggiormente responsabile con l’obiettivo di garantire un futuro alle prossime generazioni e alla vita del nostro pianeta. La grave pandemia da Covid- 19 che colpisce tutti i Paesi del mondo da oramai quasi due anni, ha messo ancor più in risalto l’insostenibilità economica, sociale ed ambientale della nostra società moderna, la quale esige di lasciarsi alle spalle il passato e guardare, in modo ottimista, ad un nuovo futuro sostenibile.

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SALUTE E SICUREZZA - "I disturbi muscolo-scheletrici sul lavoro. Tutte le tappe della campagna EU-OSHA" - a cura di Reputation Agency

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La fine del 2021 rappresenta un giro di boa per la campagna EU-OSHA 2020-2022, dal titolo “Ambienti di lavoro sani e sicuri. Alleggeriamo il carico!”, dedicata i disturbi muscolo-scheletrici (DSM) sul luogo di lavoro. Il tema è molto sentito dall’EU-OSHA, in quanto coinvolge una fetta di lavoratori molto estesa, arrivando a riguardare ben 3 lavoratori su 5, stando ai dati evidenziati dalla sesta indagine europea sulle condizioni di lavoro (https://osha.europa.eu/it/publications/work-related-musculoskeletal-disorders-prevalence-costs-and-demographics-eu/view).

I DMS possono presentarsi nelle forme più disparate, da quelle lievi, ma anche potenzialmente croniche, ai disturbi più massivi e invadenti per la salute del lavoratore, costituendosi come il problema di salute maggiormente frequente per i lavoratori in Europa (https://healthy-workplaces.eu/
it/about-topic/what-issue). L’ampia varietà di manifestazioni corrisponde a una grande varietà di categorie di lavoratori, tanto da far individuare come ambito prioritario proprio quello legato alla diversità dei lavoratori. Dal sito dell’Agenzia Europea si legge infatti che “tra i gruppi di lavoratori particolarmente esposti a rischi, fisici o psicosociali, associati ai DMS, si annoverano donne, lavoratori migranti, lavoratori LGBTI (lesbiche, gay, bisessuali, transessuali e intersessuali) aventi un’età, un livello d’istruzione e disabilità che costituiscono problematiche trasversali” (https://healthy-workplaces.eu/it/about-topic/priority-area/worker-diversity).
Ma la diversità dei lavoratori è solo uno degli otto ambiti prioritari identificata dall’EU-OSHA. Dall’avvio della campagna ad oggi, infatti, l’Agenzia ha passato in rassegna un ambito dopo l’altro, focalizzandosi su uno alla volta per dargli la maggiore visibilità e carica di sensibilizzazione possibile.
Il primo ambito prioritario individuato e approfondito è stato quello della prevenzione, come tassello di base, imprescindibile per ridurre sul nascere le problematiche legate ai DSM e i loro impatti sul lavoratore e sul lavoro (https://healthy-workplaces.eu/it/about-topic/priority-area/prevention). Il secondo ambito affrontato è stato denominato fatti e cifre, proprio per permettere una presa di consapevolezza generale, da parte di aziende, organizzazioni e datori di lavoro, rispetto a quanto sia diffuso e pervasivo il fenomeno, e di quanto incida sull’organizzazione del lavoro (basti pensare all’assenteismo) e sulla qualità della vita delle risorse umane impiegate (https://healthy-workplaces.eu/it/about-topic/priority-area/facts-figures). Le affezioni croniche rappresentano il terzo ambito prioritario individuato, che rivestono particolare importanza se si pensa che l’età media della popolazione di lavoratori è in aumento, e il rapporto tra invecchiamento e DSM cronici diventa di conseguenza sempre più centrale da gestire per aziende e organizzazioni (https://healthy-workplaces.eu/it/about-topic/priority-area/chronic-conditions). Scorrendo l’agenda delle priorità si arriva poi al lavoro sedentario, fattore di rischio che conduce ai DSM, come anche a patologie vascolari e al diabete. Se si interviene con azioni preventive ben strutturate e mirate è possibile incidere notevolmente su questo fattore, diminuendone considerevolmente l’impatto: promuovere frequenti cambi di postura, incoraggiare l’esercizio fisico, organizzare il lavoro tenendo conto del contrasto alla sedentarietà sono solo alcune delle azioni concrete che il datore di lavoro può mettere in atto per arginare l’incidenza dei DSM sulla propria forza lavoro (https://healthy-workplaces.eu/it/about-topic/
priority-area/sedentary-work).

Il calendario dell’Agenzia prevede un focus di diversi mesi su ogni tematica e la quinta priorità, descritta prima come diversità dei lavoratori, ricade nel periodo attuale, che va da novembre 2021 a gennaio 2022. In questo periodo a cavallo tra i due anni, i riflettori si sono accesi sui gruppi di lavoratori che sono più facilmente esposti al rischio di sviluppare DSM, tra cui donne, migranti e lavoratori LGBTI. Rispetto a queste categorie di lavoratori, l’EU-OSHA mette a disposizione studi e casistiche, oltre a diverse infografiche che hanno lo scopo di valorizzare il fenomeno e facilitare l’accesso alla sua chiave di lettura, comprensione e possibile risoluzione (https://healthy-workplaces.eu/it/about-topic/priority-area/worker-diversity).
Dopo essersi aperto all’insegna della diversità, l’anno che verrà sarà accompagnato dall’analisi delle ultime tre categorie prioritarie: da febbraio ad aprile 2022 la campagna si focalizzerà sul telelavoro, da maggio ad agosto 2022 sarà la volta delle generazioni future per arrivare al periodo conclusivo della campagna, che va da settembre a novembre 2022, in cui ci si dedicherà ai rischi psicosociali (https://healthy-workplaces.eu/it/media-centre/news/priority-areas-follow-and-share-our-promotion-calendar).
Come di consueto, la campagna si concluderà con l’Healthy Workplacese Summit a Bilbao, previsto per il 22 e 23 novembre 2022, in cui si passeranno in rassegna gli otto ambiti prioritari e si assegneranno i premi alle aziende vincitrici del tradizionale premio buone pratiche (https://healthy-workplaces.eu/it/media-centre/events/healthy-workplaces-summit-2022).
Qui puoi trovare tutte le precedenti campagne: https://osha.europa.eu/it/healthy-workplaces-campaigns

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REPUTATION today - anno VII, numero 31, dicembre 2021

Direttore Responsabile: Giuseppe De Paoli
Responsabile Scientifico: Isabella Corradini
Responsabile area Sistemi e Tecnologie: Enrico Nardelli
Redazione: Ileana Moriconi
Grafica: Paolo Alberti

Pubblicazione trimestrale registrata presso il Tribunale di Roma il 13/02/2014 n. 14

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Il sommario dovrà chiarire lo scopo e le conclusioni del lavoro e non dovrà superare le 300 battute (spazi inclusi).
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La bibliografia sarà riportata in ordine alfabetico rispettando le abbreviazioni internazionali.
La Direzione, ove necessario, si riserva di apportare modifiche formali che verranno sottoposte all’Autore prima della pubblicazione del lavoro.

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