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Reputation Today n° 27 - dicembre 2020


EDITORIALE - "In viaggio verso il domani" - Giuseppe de Paoli

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Il virus che ha squassato il mondo, passando dagli animali agli esseri umani, ci ha brutalmente ricordato quanto sia fondamentale ristabilire una sana connessione tra la natura e la specie umana, tra tecnologia e biologia, tra cultura scientifica e cultura umanista.
La contrapposizione tra umanesimo e scienza, d’altronde, è sempre stata fuorviante: non serve separare sempre più le varie discipline, occorre invece cogliere la realtà (per sua natura sfuggente) nella sua complessità, senza facili semplificazioni.

Un atteggiamento “olistico” che sarebbe particolarmente utile oggi: se si perde la visione globale, infatti, la lotta al virus non funziona, si depotenzia la solidarietà, ognuno pensa solo a sé stesso. Ma senza responsabilità collettiva, senza collaborazione, senza solidarietà, non ne usciamo!

La Pandemia, tra i tanti effetti creati, ha colpito il nostro bisogno di socializzare, costringendoci a trattenerci nella fisicità e negli incontri e creando vincoli pesanti.
Noi abbiamo reagito ai divieti con pazienza, inizialmente, poi con tensione, nervosismo e rabbia: sentimenti che probabilmente ci accompagneranno a lungo anche in futuro, con conseguenze psicologiche che restano da valutare.
Il comprensibile bisogno di controllare una situazione sfuggente, poco prevedibile, inquietante e pericolosa, ha prodotto un sostanziale cambiamento della nostra comunicazione, una semplificazione-banalizzazione del linguaggio che è in netta antitesi con la complessità della fase attuale.
Abbiamo dimenticato il monito del filosofo secondo cui “Tutto ciò che suona semplice è falso”.

Ripensare la nostra comunicazione è necessario ma non sarà semplice: occorrerà superare la pigrizia mentale, gli schemi prefissati, l’attitudine a parlare di numeri senza che siano stati sufficientemente contestualizzati.
Sarà necessario soprattutto abbandonare la visione manichea che non lascia alternative tra bianco e nero, mentre la realtà ha molte altre sfumature.
Una comunicazione più profonda, aperta, onesta, nonché un maggiore confronto tra il sapere umanistico e quello tecnico-scientifico, saranno sempre più importanti.

C’è un altro elemento di cui s’è sentita la mancanza in questo periodo, il “vecchio” e sano “buonsenso”.
Abbiamo assistito spesso a scelte politiche incoerenti, contraddittorie, confuse, che non sono state in grado di contrastare efficacemente la pandemia, soprattutto la seconda volta quando s’è ripresenta con più irruenza di quanto avessimo immaginato.
Abbiamo visto, anche tra i cittadini, atteggiamenti superficiali nel considerare il pericolo, la cui percezione s’è imposta nei fatti creando smarrimento e incertezza e alimentando atteggiamenti negazionisti.

Si tratta perlopiù di atteggiamenti nati dalla paura che creano un terreno fertile per chi invoca l’uomo “forte”: un percorso già sperimentato in passato con risultati deleteri.
Quello che manca oggi è una visione strategica, un cambiamento forte, di sostanza, che parta da azioni responsabili e condivise sui temi Salute, Lavoro, Istruzione,
Ma anche digitalizzazione, green economy, valorizzazione del patrimonio artistico culturale e ambientale, vanno considerate tra le linee guida che il Paese dovrebbe seguire.

Qualche buona proposta viene dagli articoli ospitati in questo numero di RT, a partire dall’intervista al presidente di Informatics Europe Enrico Nardelli che ci prospetta un rilancio del Paese a partire dalla digitalizzazione basata sull’insegnamento dell’informatica già dai primi anni di scuola.

Marco Mozzoni scrittore e direttore di Brain Factor ci espone il suo punto di vista sulla “banalità del cambiare” e lancia una provocatoria proposta che evoca, più bonariamente però, quella famosa di Jonathan Swift, poeta e scrittore irlandese attivo alla fine del 600 e decano della Chiesa di Dublino.

Isabella Corradini, direttore del centro ricerche Themis affronta il tema della consapevolezza digitale: se è vero, come è vero, che il cambiamento passa attraverso la digitalizzazione, un uso consapevole delle tecnologie digitali è elemento imprescindibile della strategia.

Come media partner della campagna dell’agenzia europea sulla salute e sicurezza sul lavoro (EU-OSHA), Reputation Today dedica uno speciale alla nuova campagna sui disturbi muscolo scheletrici, invitando a parlarne autorevoli relatori di varie discipline: l’ex pubblico ministero e ora presidente della Commissione Amianto Raffaele Guariniello, il medico del lavoro e già direttore SpreSal Annalisa Lantermo e l’avvocato giuslavorista Luciana Delfini.

Sempre sul tema, una proposta di metodo preventivo ci viene dal mondo aziendale, descritto dall’ingegnere Giusi Vignola che punta all’importanza della consapevolezza posturale.

Buona lettura e buone feste!
(per quanto possibile).

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NEWS

NASCE LA CARTA PER LE PARI OPPORTUNITÀ E L’UGUAGLIANZA SUL LAVORO
La Fondazione Sodalitas ha lanciato la Carta per le Pari Opportunità e l’Uguaglianza sul Lavoro (Italian Diversity Charter), una dichiarazione di intenti mirata alla sensibilizzazione e allo sviluppo di una cultura aziendale più inclusiva e maggiormente orientata alla valorizzazione della diversità, in ogni sua forma, e all’eliminazione dei pregiudizi e delle discriminazioni, affinché siano valorizzate al meglio le competenze di tutti i lavoratori e siano promossi ambienti di lavoro più sani e coesi. La Carta arriva in seguito alle esperienze di successo già realizzate in Francia e Germania, ed è aperta ad accogliere la firma di ogni impresa, che si andrà ad aggiungere alle oltre 500 aziende attuali e alle organizzazioni non profit e PA (Regioni, Enti locali, ecc.), che oggi costituiscono un panorama di 800 realtà aderenti. Aderire alla Carta è un segnale importante per le aziende, in quanto significa condividere il decalogo delineato, che si traduce in azioni concrete e di accompagnamento verso l’attuazione di un quadro di riferimento programmatico che guidi le aziende firmatarie a realizzare politiche inclusive di valorizzazione delle differenze, tramite lo scambio e la condivisione di strumenti e buone pratiche volte anche a sviluppare sinergie tra imprese.
Fonte: https://www.cartapariopportunita.it/

IL SALONE DEL LIBRO DI TORINO RADDOPPIA
LDopo l’ultima edizione del Salone Internazionale del Libro di Torino, che si è svolta interamente online lo scorso maggio, arriva una nuova proposta culturale dal Comitato del SalTo. “Vita Nova” è un appuntamento che coinvolgerà la comunità letteraria e più in generale culturale con un calendario di appuntamenti molto ricco, organizzato tra il 4 dicembre 2020 e il 7 gennaio 2021. La manifestazione intende aprire una nuova strada condivisa con editori, lettori, librerie, biblioteche, scuole, che abbia come focus la promozione del libro e della lettura, puntando sull’incontro e sul confronto online ma anche su incontri in presenza a Torino. Questi ultimi saranno ospitati da 34 librerie torinesi, indipendenti e di catena, e si svolgeranno per tutto il periodo delle festività fino al 7 gennaio 2021, dando spazio a 180 editori e oltre 700 titoli.
Gli incontri online, disponibili anche successivamente on demand, si focalizzeranno sul tema scelto per la manifestazione, precursore di “Vita Supernova”, titolo della prossima edizione del Salone del Libro di Torino 2021. “Vita Nova”, si pone come invito alla riflessione su presente e futuro, un invito ad affrontare insieme le sfide attuali, attraverso la riconciliazione degli opposti. Le 22 lezioni previste, tenute da autori e autrici nazionali e internazionali, si focalizzeranno su coppie di concetti apparentemente contrapposti, per condurre la riflessione verso un’integrazione e un pensiero sfaccettato, che possa portare alla comprensione del presente, avvicinando le persone, e alla progettazione di un nuovo futuro.
Fonte: https://www.salonelibro.it/

PREMIATE 21 PROPOSTE PER VIVERE A #SPRECOZERO 2020
Anche quest’anno sono stati assegnati i premi per la sostenibilità della campagna Spreco Zero, giunta nel 2020 all’ottava edizione e patrocinata da Ministero dell’Ambiente e dal Ministero per gli Affari Esteri e la Cooperazione Internazionale, dall’ANCI e da WFO (World Food Programme) Italia. Il premio è rivolto a enti pubblici, privati e cittadini per individuare, promuovere e sostenere buone pratiche per il contrasto allo spreco alimentare, sviluppando anche azioni educative relativamente al buon uso delle risorse. Nel corso degli anni le categorie di buone pratiche a cui assegnare i premi si è via via ampliata, dando vita a una vera e propria assegnazione di “piccoli Oscar” della sostenibilità. Quest’anno, nella categoria enti pubblici vince la Regione Toscana per il progetto Urban Waste riguardante il turismo ecologico, realizzato in collaborazione con il Comune di Firenze. Nella categoria Imprese il premio va a Ibrida Birra, un progetto circolare nato dall’idea di alcuni studenti del Politecnico di Milano per dare una seconda vita al pane e ridurne lo spreco. Nel 2020 sono state introdotte due nuove categorie: per quella relativa alla Biodiversità è stata premiata Casa Surace (factory e casa di produzione) per l’alto potenziale di sensibilizzazione sui temi del Premio, mentre per la categoria Pagine di sostenibilità dedicata alla saggistica si aggiudica il premio il libro “La rivolta della natura” scritto da Eliana Liotta insieme al virologo Massimo Clementi ed edito da La nave di Teseo. Altri premi sono stati assegnati a scuole ed enti di Cittadinanza Attiva, per valorizzare e divulgare il loro impegno nell’innovazione al servizio della riduzione degli sprechi e della valorizzazione delle risorse.
Fonte: https://www.sprecozero.it/

UNA SCUOLA PER START UP IN TEMA DI SOSTENIBILITÀ
Nasce la prima edizione della Innovability School, Scuola per l’innovazione e la sostenibilità, dedicata alle start up che intendono operare nel campo della sostenibilità, ed in particolare nell’economia circolare e nell’innovazione digitale. La scuola prende l’avvio dalla collaborazione tra l’ASviS (Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile) e la Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia attraverso Uniser, Fondazione Enel, Fondazione Lars Magnus Ericsson e la RUS (Rete delle Università per lo Sviluppo sostenibile). Il periodo di formazione si svolgerà da gennaio a giugno 2021 e potranno partecipare 15 start-up selezionate, che usufruiranno di una formazione pratica e orientata all'analisi di buone pratiche e casi reali in un’ottica di sistema e strategica. C’è tempo per candidarsi fino al 20 dicembre.
Fonte: https://asvis.it/alta-formazione/1265-8306/innovability-school

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L’INTERVISTA - "Il cambiamento: l’informatica prima del digitale" - Intervista ad Enrico Nardelli, Presidente di Informatics Europe - A cura di Giuseppe de Paoli

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La Commissione Europea ha lanciato il Piano d’azione per l’istruzione digitale 2021-2027. Quali sono le priorità di questa strategia?

Intanto diciamo che si tratta di un’importante iniziativa volta ad aumentare la sensibilizzazione e la formazione sui temi del digitale, ormai generalmente riconosciuto come un indispensabile motore di sviluppo per qualsiasi paese.
L’Unione Europea riconosce l’importanza di favorire un’istruzione ed una formazione digitale di qualità e ha indicato due importanti priorità, tra loro correlate.
La prima è fornire abilità e competenze digitali di base, sin dai primi anni di scuola, attraverso l’alfabetizzazione digitale, l’informatica e una buona conoscenza e comprensione di tecnologie “data-intensive” come l’intelligenza artificiale.
La seconda è quella di potenziare le abilità e le competenze digi-tali avanzate, per aumentare il numero di specialisti e di ragazze e donne che scelgono studi e carriere nel digitale (https://ec.europa.eu/education/sites/education/files/document-library-docs/deap-factsheet-sept2020_en.pdf).

Quello della Formazione è anche uno degli obiettivi di Informatics Europe, l’associazione europea, da lei presieduta, che raggruppa dipartimenti universitari e centri di ricerca in informatica.

Certamente. La formazione, non solo scolastica, è un elemento prioritario per noi, tanto che abbiamo fatto nascere una coalizione con altre associazioni europee nell’ambito digitale, denominata ”Informatica per Tutti” (Informatics for All https://informaticsforall.org).

La tecnologia digitale, se ‘’impiegata in modo capace, equo ed efficace’’ come chiede l’Ue, può dare vita ad una formazione inclusiva e di elevata qualità Cosa occorre fare per arrivare a questo obiettivo?

Bisogna lavorare alacremente verso quelle figure, insegnanti, educatori e formatori, che sono gli interlocutori diretti degli studenti nelle scuole e prepararle per l’insegnamento dell’informatica, ricordandoci che questa è la disciplina scientifica attraverso la quale è possibile comprendere il mondo digitale.
Quindi, così come nel secolo passato, per la comprensione e lo sviluppo della società industriale, abbiamo introdotto nelle scuole l’insegnamento di fisica, chimica e biologia, oggi dobbiamo procedere, allo stesso modo, con l’informatica formando cittadini in grado di agire in modo consapevole nella società digitale
L’Informatica, disciplina di interesse trasversale, offre un punto di vista aggiuntivo a quello di altre discipline ed è utilissima per analizzare e affrontare situazioni e fenomeni. Per questo diciamo che tutti gli studenti dovrebbero avere accesso ai suoi principi base già a partire dalla scuola primaria.

Il Parlamento Ue ha approvato il Recovery Fund che potrebbe essere una grande opportunità anche per la digitalizzazione del Paese visto che il 20% dei fondi sarebbero dedicati allo sviluppo della cultura digitale. Cosa ne pensa?

Parlare di cultura digitale implica necessariamente il partire dalla scuola e questo significa che, considerato quanto detto prima, le competenze informatiche devono essere messe al centro della nostra strategia nazionale, se vogliamo davvero migliorare la digitalizzazione del paese.
In questi anni abbiamo sviluppato tante iniziative, dagli animatori digitali ai laboratori di making, ma ad oggi i risultati raggiunti, pur importanti, non bastano.
Lo abbiamo visto durante la pandemia di marzo, quando molti docenti, genitori e lavoratori si sono trovati nelle difficoltà di utilizzare piattaforme digitali con le quali non avevano alcuna dimestichezza.

Resta molto da fare...

Si. Molti stentano ancora a comprendere che informatica e digitale non sono la stessa cosa: “digitale” si riferisce alla rappresentazione di un dato mediante un simbolo numerico, mentre “informatico” si riferisce alla capacità di elaborazione automatica dei dati ed è una disciplina scientifica.

La Commissione Ue sta per varare apposita certificazione che garantisca il rispetto delle norme e delle leggi anche da parte dei sistemi di intelligenza artificiale che devono essere ‘’trasparenti e controllabili”. Qual è lo stato dei lavori dal suo punto di vista?

L’Europa, giustamente, ha su questi temi un atteggiamento di grande prudenza. riguardo all’impatto sociale e etico della Intelligenza Artificiale. Però ritengo che ci sia un’enfasi eccessiva, a volte, su questi temi.
Soprattutto è necessario capire che queste problematiche, che possiamo chiamare genericamente di “impatto sociale”, non sono relative solo all’IA ma in generale a qualunque sistema digitale.
“La tecnologia non è neutrale. Trasmette sempre una visione del mondo.’’ Di conseguenza può essere usata per promuovere libertà e vero sviluppo oppure il suo esatto contrario.
Il Manifesto per l’Umanesimo Digitale (DigHum https://dighum.ec.tuwien.ac.at/), ribadisce un sano principio: che si tratti di Intelligenza Artificiale o altro, le tecnologie vanno comunque riportate al servizio degli esseri umani, e non il contrario.
Ne abbiamo discusso ad ottobre con un meeting internazionale, presso il Politecnico di Milano a cui hanno partecipato anche esperti di aspetti sociali e di comunicazione, proprio per arrivare ad una visione ‘olistica’ dell’Informatica.

Chiudiamo con la discussa questione dei dati, decisamente rilevante per la nostra esistenza, come ci ha bruscamente ricordato l’emergenza CoVid. I nostri dati possono servire alla medicina, alla sicurezza, alla lotta contro le epidemie ma possono essere utilizzati anche con modalità non trasparenti mettendo in discussione la nostra privacy. Alla luce degli ultimi sviluppi possiamo considerare la nostra privacy sufficientemente protetta?

È soprattutto un problema culturale: la crescente ed ormai ubiqua digitalizzazione della società, che per certi versi è una benedizione, ha come contropartita quella di averci trasportato in un mondo immateriale rispetto al quale i nostri organi di senso non sono sempre sufficienti.
Mentre nel mondo fisico siamo in grado di accorgerci “naturalmente” di situazioni di pericolo o scenari che possono evolvere in tale direzione, nel mondo digitale non abbiamo ancora avuto modo di sviluppare tali capacità.
Anche per questo serve investire molto nell’istruzione e nella formazione a tutti i livelli. E questo è uno dei punti chiave dell’azione di Informatics Europe.

Enrico Nardelli professore ordinario di Informatica al Dipartimento di Matematica di “Tor Vergata” e presidente di Informatics Europe. Coordina il progetto Programma il Futuro attuato dal CINI, Consorzio Interuniversitario Nazionale di Informatica, in collaborazione con il Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca, volto a sperimentare l’introduzione strutturale nelle scuole dei concetti di base dell’informatica (pensiero computazionale).
È membro del Consiglio Direttivo del CINI, e membro del Comitato Direttivo di ACM Europe, la branca europea dell’Association for Computing Machinery, la più grande associazione internazionale di professionisti e studiosi di Informatica.

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PROGRAMMA IL FUTURO - "Noi, i social network e i dispositivi digitali" - Isabella Corradini

unnamedPercorsi di consapevolezza digitale

È ormai un fatto acclarato che le tecnologie digitali fanno parte della nostra vita, impattando (sia in positivo che in negativo) anche sul modo in cui ci relazioniamo. Nella loro intrinseca natura le tecnologie digitali non sono né buone né cattive, piuttosto è l’esperienza psicosociale che ne deriva a fare la differenza. Oltre agli innegabili vantaggi, l’uso delle tecnologie, quando avvenga in modo non consapevole, apre a diversi rischi – dalla cyber molestia al furto di dati – che bisogna saper fronteggiare.
La migliore risposta da mettere in campo è di tipo culturale, dal momento che privarsi delle tecnologie o demonizzarle non risolve il problema. Anzi, una simile risposta rischierebbe di allontanare le giovani generazioni dalle tante opportunità offerte dal mondo digitale. Nettamente in controtendenza, considerato che a livello europeo viene sempre più sottolineata la necessità di sviluppare conoscenze e competenze digitali per poter più facilmente accedere al mercato del lavoro.

La sfida, quindi, è lavorare su percorsi educativi fin dalla scuola primaria al fine di promuovere una cittadinanza digitale consapevole (https://programmailfuturo.it/come/cittadinanza-digitale).
Questo implica acquisire non solo le conoscenze basi dell’informatica, ma anche le competenze per muoversi in modo responsabile in Internet. Il messaggio da trasmettere ai ragazzi, infatti, è che le tecnologie digitali portano benefici effettivi se si è in grado di utilizzarle in modo attivo e consapevole, assicurandosi così di esercitare su di esse il controllo umano. Di conseguenza, lo smartphone non deve essere visto solo come uno strumento di gioco, ma anche come mezzo che, attraverso la conoscenza dei meccanismi di funzionamento, permette di apprendere basilari principi di programmazione. Interagire con i dispositivi digitali diventa così un’esperienza di arricchimento, che permette di comprenderne meglio caratteristiche e funzionamento.

Sulla base di questo approccio, Programma il Futuro, il progetto del Ministero dell’Istruzione realizzato dal Laboratorio Informatica e Scuola del CINI (Consorzio Interuniversitario Nazionale per l’Informatica) e per il quale nel novembre 2020 è stato rinnovato l’accordo di collaborazione, ha avviato da qualche anno un percorso specifico sull’uso consapevole delle tecnologie digitali. Allo scopo il team di progetto ha messo a disposizione degli insegnanti delle scuole primarie e secondarie diverse guide sui temi della cittadinanza digitale consapevole, riguardanti ad esempio la protezione dei dati, la prevenzione delle molestie in rete. I materiali didattici sono stati tradotti e adattati sulla base dei materiali di Common Sense, l’associazione no-profit americana specializzata nell’implementare l’educazione di ragazzi e ragazze rispetto ai media e alle tecnologie.
Ad ottobre 2020 è stata pubblicata La guida “Le mie attività digitali” che mira a far riflettere gli studenti – in particolare della scuola secondaria di primo grado – sulle loro abitudini digitali e sul ruolo che le tecnologie hanno nella loro vita.
La guida risponde a domande, quali ad esempio: Quanto tempo si trascorre sui social network? Quali strumenti digitali vengono più frequentemente utilizzati durante il quotidiano? Dopo una breve introduzione, viene chiesto agli studenti di compilare una tabella facendo riferimento ad una giornata tipo, tenendo traccia del tempo trascorso usando diverse forme di intrattenimento multimediale. Gli studenti creano così un istogramma che evidenzia il tempo trascorso sui vari dispositivi digitali e che viene discusso in classe, in modo da farli ragionare sul tema.

Il progetto realizzerà altre guide per l’anno 2021, rispondendo così ai bisogni educativi sempre più influenzati da un contesto digitale in continua evoluzione. 

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SALUTE E SICUREZZA - "Disturbi muscolo scheletrici nell’era del lavoro agile" - A cura di Reputation Agency

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Il punto di vista degli esperti

“Alleggeriamo il Carico” è Il tema della nuova campagna dell’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro (EU-OSHA), lanciata ad ottobre 2020, che si focalizza sulla prevenzione dei disturbi muscolo-scheletrici (DMS) (https://healthy-workplaces.eu/it)
Un argomento di grande interesse, dal momento che, nonostante gli sforzi per prevenirli, i DMS rappresentano il principale problema di salute in ambito lavorativo, andando ad impattare sia sulla qualità di vita delle persone, sia sulle imprese e l’economia in generale (https://osha.europa.eu/it/themes/musculoskeletal-disorders).

Da qui l’importanza e la necessità di lavorare sulla prevenzione.
Reputation Today, tra i media partner della campagna, ha organizzato un evento online di sensibilizzazione sul tema, che è possibile rivedere sul nostro canale YouTube.
Nei prossimi mesi sono programmati focus di approfondimento sul tema, sia mediante eventi online di sensibilizzazione sia attraverso articoli pubblicati sui numeri della nostra rivista. Di seguito i principali punti affrontati dai relatori.

Premessa – Isabella Corradini, presidente Centro Ricerche Themis, responsabile scientifico Reputation Today.
L’attenzione al tema dei disturbi muscolo-scheletrici si inserisce in un momento importante per il Paese. Non va infatti dimenticato che, a causa di quanto avvenuto in questo sventurato anno, si è assistito ad una rapida crescita dell’uso di strumenti e piattaforme digitali.
Questi strumenti, che da un lato hanno permesso la continuità lavorativa, dall’altro hanno aperto la strada a nuove riflessioni, riguardanti alcune criticità che vanno via via emergendo e che dovranno essere affrontate.
Il lavoro agile, quello che comunemente in Italia viene definito come smart working, si configura come un approccio organizzativo che punta sulla flessibilità e sull’impiego di tecnologie “da remoto” (lontano dall’ufficio) per lo svolgimento delle attività lavorative.
Per rispondere agli obiettivi di un maggior equilibrio tra tempo trascorso sul lavoro e nel privato, è però necessario che il lavoro agile si doti di regole organizzative chiare tenendo presente che lavorare per tante ore con dispositivi e piattaforme digitali, senza adeguate pause e con posture inadatte, può produrre effetti negativi sulla salute delle persone.
Pertanto, anche alla luce della nuova campagna lanciata dall’EU-OSHA, appare quanto mai necessario ragionare su metodi e strumenti di prevenzione al fine di garantire la necessaria salute e sicurezza sul lavoro.

Il punto di vista medico – Annalisa Lantermo, medico del lavoro, già direttore SPreSAL ASL Città di Torino.
I Disturbi muscoloscheletrici (DMS) sono un gruppo di disturbi che colpiscono l’apparato muscoloscheletrico, quindi: muscoli, articolazioni, tendini, legamenti, nervi, ossa e il sistema circolatorio locale. Alcuni sono disturbi aspecifici, come dolore, formicolio, difficoltà a fare i movimenti, altri sono disturbi specifici, caratterizzati da un corredo di segni e sintomi ben definiti.
I disturbi possono anche evolvere in patologie vere e proprie, anche invalidanti, con forti limitazioni delle attività di vita e di lavoro. Si pensi, quali esempi, alla sindrome del tunnel carpale e alla periartrite scapolo-omerale per il polso e la spalla, all’artrosi e all’ernia del disco per la schiena, alla tendinopatia del menisco e alla tendinite di Achille per ginocchio e piede.
I DMS, che costituiscono un problema rilevante e diffuso per la salute e la sicurezza dei lavoratori in Italia e nel resto dell’Europa e interessano numerosi e diversi settori lavorativi, sono correlati ad un’esposizione ripetuta e prolungata nel tempo a fattori di rischio di tipo fisico e biomeccanico, organizzativo e psicosociale, nonché individuale.
Fra i fattori di rischio fisici e biomeccanici rientrano, quali esempi: movimenti ripetitivi che richiedono uno sforzo, ritmi intensi di lavoro, posture scomode e statiche, rimanere seduti o in piedi a lungo nella stessa posizione, vibrazioni, illuminazione scarsa, ambienti di lavoro freddi.
Fra i fattori di rischio organizzativi e psicosociali: assenza di pause o pause non adeguate, elevata intensità lavorativa e bassa autonomia, molestie e discriminazioni sul luogo di lavoro, condizioni di stress lavoro-correlato.
Vi sono poi fattori individuali che entrano in gioco, quali: storia clinica della persona, età, stile di vita e abitudini (mancanza di esercizio fisico, fumo).
Alcuni di questi fattori di rischio entrano in gioco anche nel lavoro svolto a distanza dal luogo di lavoro fisico dell’azienda, mediante collegamento informatico e telematico, oggi molto diffuso a seguito dell’epidemia del virus SARS-CoV-2 tuttora in corso: telelavoro, lavoro agile, smart working, a seconda di come lo si vuol chiamare.
Dato che questa tipologia di organizzazione del lavoro continuerà nel futuro e per alcuni settori si incrementerà, la problematica dei DMS è molto attuale anche per questo aspetto.
Per affrontare il problema anzitutto è necessario e doveroso, anche in relazione agli obblighi stabiliti dal D. Lgs. 81/08, che il datore di lavoro analizzi il rischio specifico nel Documento di valutazione del rischio, mettendo insieme tutte le competenze che necessitano (medico competente, RSPP, ergonomo, eventualmente psicologo del lavoro), coinvolgendo appieno i Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza e i lavoratori.
Dall’analisi effettuata deriveranno le misure da adottare nello specifico contesto aziendale, volte alla prevenzione primaria – per eliminare/ridurre i fattori di rischio – alle misure per ridurre al minimo la gravità delle lesioni e al mantenimento, riabilitazione e reintegro dei lavoratori che già soffrono di DMS.
Per affrontare il problema dei Disturbi muscoloscheletrici è quindi necessario un approccio gestionale integrato, che tenga conto dei diversi fattori che entrano in gioco.
Non si parte da zero, da anni in Italia questa problematica è affrontata e sicuramente passi in avanti se ne sono fatti. È necessario fare il punto della situazione e continuare il lavoro di prevenzione tenendo conto dei cambiamenti e della fase nuova che ci attende.

Il punto di vista del legale (La responsabilità sociale delle imprese) – Luciana Delfini, avvocato giuslavorista, delegata presso ILO (International Labour Organization).
L’evoluzione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione ha determinato, nel mondo del lavoro, la trasformazione dei paradigmi organizzativi esistenti facendo emergere nuovi modelli di lavoro, di grande interesse, e tra questi, di ultima generazione, il lavoro agile.
Occorre precisare che, fin dalle sue prime applicazioni, è emersa la difficoltà di poterlo gestire in assenza di bilanciamenti quali la previsione del diritto alla disconnessione e di nuovi approcci su salute e sicurezza da integrare nei processi aziendali.
La possibilità di essere connessi – dovunque e in ogni momento – comporta, infatti, rischi evidenti sulla salute fisica e mentale dei dipendenti.
Condizioni di lavoro sicure e sane sono essenziali non solo per il raggiungimento di una efficace politica aziendale, ma per rinforzare le responsabilità delle aziende in materia di sicurezza e benessere in modo da sostenere politiche di salute pubblica.
Le aziende, infatti, sono protagoniste centrali nelle nostre società; esse influenzano, con le loro attività e le loro decisioni di policy, non solo le esistenze dei dipendenti, ma del contesto ambientale in cui operano creando, inevitabilmente, uno “spazio condiviso” che deve essere “amministrato” con strategie responsabili.
In tale quadro, la responsabilità sociale dell’azienda può essere decisiva per integrare lo sviluppo della gestione della sicurezza e della salute sul lavoro nel governo della impresa.
Le aziende virtuose, in merito, valicano i confini dettati dalla conformità alle normative vigenti per migliorare, anche anticipando policy legate all’attenzione e alla cura dei lavoratori, condizioni di sicurezza e salubrità che si traducono in una forza lavoro “serena, in salute e attiva”.
Adottare azioni positive per promuovere un ambiente di lavoro sano significa rafforzare la motivazione dei dipendenti e aumentarne la produttività. Mettere in atto iniziative per contrastare le malattie legate ad esempio ai disturbi da postura e/o a condizioni di lavoro dettate da un eccesso di ore spese per l’utilizzo di strumenti di nuova generazione, trova non solo l’apprezzamento dei dipendenti e delle proprie famiglie ma, a cascata, produce risultati essenziale per il successo delle imprese anche in termini di benefici aggiuntivi sia economici che reputazionali.

Conclusioni di Raffaele Guariniello, già Magistrato Procura della Repubblica di Torino, Presidente della Commissione Amianto.
Perché oggi i disturbi muscolo-scheletrici sono al centro dell’attenzione? Ce lo spiega l’ILO in un Documento del luglio 2020: il Covid-19 ha accentuato attività come il telelavoro che possono comportare rischi per la salute quali appunto i disturbi muscolo-scheletrici.
In Italia, mai si era tanto parlato di smart working. Certo è che non pochi vorrebbero far credere che lo smart working sfugga agli obblighi di sicurezza. Sotto sotto s’immagina lo smart working come una sorta di scudo penale.
In effetti, tra le misure anti-coronavirus nei luoghi di lavoro, sin dal marzo 2020 ha assunto un eccezionale risalto il lavoro agile. Ma occorre coglierne le implicazioni sul terreno della sicurezza.
Quel che soprattutto non può passare sotto silenzio è che le norme emergenziali impongono esplicitamente il rispetto dei principi stabiliti dalla legge che tutela il lavoro agile, la legge 81 del 2017.
Con due uniche deroghe. La prima è che non occorre un accordo scritto tra datore di lavoro e lavoratore circa la modalità di lavoro agile. La seconda è che l’informativa scritta sui rischi può essere consegnata dal datore di lavoro al lavoratore in via telematica anche ricorrendo alla documentazione resa disponibile dall’Inail.
A parte queste due deroghe, i datori di lavoro dovrebbero oggi (e senza più deroghe dovranno domani) individuare i rischi specifici incombenti sui lavoratori agili anche all’esterno dei locali aziendali, e attuare tutte le misure tecniche, procedurali, organizzative necessarie per fronteggiare questi rischi, ivi inclusi quei rischi per l’apparato muscolo-scheletrico di cui parla, ad esempio, l’art. 176, comma 1, lettera b), TUSL.
Né si pensi – come pure qualcuno ha tentato – di liberarsi dagli obblighi di sicurezza ricorrendo al telelavoro, e, cioè, al lavoro subordinato svolto continuativamente a distanza mediante collegamento informatico e telematico. Per la semplice ragione che in questo caso sono obbligatorie le garanzie stabilite da un’altra norma di legge, l’art. 3, comma 10, del Testo Unico della Sicurezza sul Lavoro: dalla sicurezza delle apparecchiature alla sicurezza dei videoterminali.
È troppo pretendere che le leggi vigenti a tutela della salute dei lavoratori – sino a che non siano modificate – non rimangano scritte sulla carta?

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SALUTE E SICUREZZA DALLE AZIENDE - "Back School at Work®: prevenire e curare il mal di schiena" - Giusi Vignola

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Buone pratiche sul lavoro, a casa e in azienda

Il “mal di schiena” è un disturbo comune, che ha grande impatto sulla salute pubblica. Ne è ben conscia l’Agenzia Europea per la salute e sicurezza sul lavoro (EU-OSHA) che ha lanciato la campagna 2020-2022 proprio sui disturbi muscolo scheletrici.
Parlare di questo disturbo, però, significa entrare in un universo estremamente variegato e complesso. Quali sono le problematiche più comuni legate al mal di schiena? Come prevenirle? Quanto è importante la consapevolezza posturale?
Back School at Work® prende spunto dei vari approcci metodologici sviluppati nel corso degli anni dalle Scuole della schiena e si arricchisce della “contaminazione” con altre teorie dando vita a un protocollo originale ed efficace.

Back School at Work® è focalizzato specificatamente sugli aspetti di correlazione tra postura e lavoro ed ha carattere preventivo, più che terapeutico come per le Back School tradizionali.
Proprio per il suo scopo formativo e non terapeutico il protocollo è stato costruito sfruttando le basi teoriche dell’auto-apprendimento, al fine di coinvolgere direttamente le persone in modo attivo e motivandole ad essere responsabili del proprio apprendimento.
Il protocollo si sviluppa su solide basi scientifiche (si veda bibliografia in fondo all’articolo), partendo dalla riscoperta delle afferenze propriocettive e dall’ipotesi che un progressivo deficit propriocettivo dovuto alla progressiva riduzione delle esperienze motorie (ipocinesi) che caratterizzano la popolazione occidentale possa portare a ridotta capacità di equilibrio e conseguente insicurezza posturale e motoria.

La Back School at Work® assume come primo obiettivo di apprendimento la (ri-)scoperta del nostro apparato sensoriale della propriocezione, un apparato sensoriale di cui in genere, a livello cognitivo, non consideriamo le funzioni e perfino la stessa esistenza, tant’è vero che, se chiediamo a qualcuno quanti sono i nostri sensi, facilmente risponderà “5” e tra questi non ci sarà la propriocezione. Eppure, questo sistema sensoriale esiste e può essere oggetto di deprivazione proprio come accade per la vista o per l’udito.
Il modo migliore per ri-scoprire la propriocezione è per via esperienziale con esercizi dedicati che aiutino a riconnettere il pensiero consapevole con le rilevazioni che questo apparato sensoriale costantemente ci fornisce. Questa ri-scoperta capacità è alla base di un processo mentale che si rivela come strategico per la prevenzione dei disturbi muscolo scheletrici, in particolare quelli prodotti dal mantenimento per lunghi periodi di tempo di posture incongrue, ovvero tali da causare sovraccarichi bio-meccanici. Il processo mentale di cui parliamo è la consapevolezza posturale.

Il metodo Back School at Work® comprende le seguenti quattro fasi:
1. rilevamento dell’atteggiamento posturale spontaneo con la tecnologia Posture-Test;
2. illustrazione dei sovraccarichi biomeccanici causati da movimenti e posture caratteristici dell’attività svolta dai partecipanti al corso di formazione;
3. svolgimento di esercizi di sviluppo della sensorialità propriocettiva, di rilassamento, di allungamento e di compensazione delle disarmonie posturali;
4. ripetizione del Posture-Test per apprezzare gli effetti dell’attività svolta sulla postura.

Immagine1Della scheda prodotta dal Posture-Test svolto all’inizio e alla fine della sessione formativa BSaW® se ne riporta un esempio. Questi rilievi non hanno uno scopo di tipo diagnostico o terapeutico. Essi servono a facilitare l’autocorrezione posturale.

In foto si percepisce la differenza tra la posizione che si crede corretta e quella che effettivamente si tiene, spesso generando nel soggetto un effetto di sorpresa (autoformazione).

Il protocollo formativo Back School at Work® è stato progettato per consentire di sviluppare questa consapevolezza posturale al fine di prevenire i Disturbi Muscolo Scheletrici.

Il problema posturale nel lavoro svolto a casa: cosa fare?
Immagine2Il sempre maggiore ricorso al lavoro agile, o smart working, rende sempre più centrale agire oltre che sulle disposizioni tecniche e strumentali, sullo sviluppo della consapevolezza posturale.
Lavorando da casa, la naturale disposizione all’adattamento della prestazione alla situazione contingente, trova una miriade di soluzioni che possono costituire una minaccia per il benessere fisiologico a livello dell’apparato muscolo scheletrico.

Molto probabilmente il lavoro da casa verrà svolto anche sul tavolo da pranzo (o su un suo ristretto spazio...), sul divano nel soggiorno, sul tavolino del telefono ecc.

Immagine3La ricerca dell’accomodamento è funzionale all’efficienza e all’efficacia della prestazione lavorativa. Ma in questo accomodamento è necessario fornire ai lavoratori strumenti cognitivi e addestrativi per governare le implicazioni al rischio di patologie muscolo scheletriche.
L’adattamento della prestazione alle condizioni domestiche verosimilmente implica importanti sovraccarichi biomeccanici per posture prolungate.

È importante che i lavoratori non siano soltanto genericamente esortati a ricostruire postazioni più possibile simili a quelle dell’ufficio, ma che
a) siano messi in grado di rilevare i segnali del sovraccarico biomeccanico prima che insorga il dolore;
b) sappiano svolgere gli esercizi di rilassamento, decontrazione, allungamento, compensazione idonei alle proprie problematiche.

I segnali da rilevare sono come dei segnali deboli che potranno essere rilevati se si coltiva la capacità di riconoscerli, dargli significato e prevedere conseguenze, ovvero se si sviluppa la consapevolezza situazionale, che nel nostro caso ha la caratteristica specifica della consapevolezza posturale. Alcuni esempi di segnali deboli, anche qui senza velleità di completezza:
● sento la gamba pesante sul ginocchio dell’altra;
● sento l’appoggio podalico sbilanciato su un lato;
● ho la percezione della parte lombare della schiena che si curva verso dietro e non verso davanti.

Le aziende che hanno adottato Back School at Work®_at Home hanno intravisto il potenziale di questo metodo del protocollo e le basi teoriche su cui è strutturato cogliendo il “plus” che trascina l’approccio, nello specifico: il personale che lavora da casa ha necessità di sentirsi supportato dall’azienda e non semplicemente “parcheggiato”; questo prendersi cura del lavoratore è una forma di tutela (sia per il lavoratore che per l’azienda) per prevenire eventuali disturbi dell’apparato muscolo scheletrico.

In prospettiva è plausibile che le aziende che hanno sperimentato “HomeWorking” continueranno con lo “SmartWorking”. Back School at Work®_at Home è un modo per porre al centro lo sviluppo della consapevolezza posturale dando in mano al lavoratore gli strumenti per esserne artefice tanto più dopo aver colto così evidente la differenza tra lavorare a casa e lavorare in ufficio. Back School at Work®_at Home tende a ridurre questa distanza perché mostra e dimostra al lavoratore quanta parte ha lui nel suo stare bene e in generale nel suo benessere. Per questo motivo Back School at Work® è diventato parte del progetto Wellness at Work®.


Gli strumenti della versione online del metodo

Il metodo Back School at Work®_ at Home è stato adattato per una attuazione anche online mantenendo le basi teoriche, ed è così strutturato:

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1. La APP (WAW – Wellness at Work) per smartphone consente la rilevazione dell’atteggiamento posturale spontaneo e fare autoformazione 

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2. Videoconferenze live per formare e addestrare allo svolgimento di esercizi di propriocezione e compensazione.

Immagine box3 3. Videolezioni on-demand per la illustrazione dei sovraccarichi biomeccanici causati da ricorrenti posture e movimenti nel lavoro svolto da casa supportano l’autoformazione.

Per informazioni sul metodo Back School at Work® rivolgersi all’ing. Giusi Vignola, dal 2010 a capo del gruppo di ricerca multidisciplinare che ha sviluppato il metodo usato con successo da più di 10 anni in molte aziende italiane.
Email: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

Per approfondire: www.bsaw.itwww.facebook.com/backschoolatwork

Bibliografia di G. Vignola:
Back School at Work, Hirelia Edizioni, 2013
Sviluppare le competenze propriocettive e di consapevolezza posturale per il miglioramento del benessere lavorativo, PDE n. 38, 2015
La consapevolezza situazionale e la prevenzione del lavoro cambia, Dossier Ambiente Lavoro n. 124, 2018
Guide for the development of postural awareness, wellness at work®, Hirelia Edizioni, 2020 (in pubblicazione)
Oltre l’obbligo, Dossier Ambiente Lavoro, 2020 (in pubblicazione)
Back School at Work® at Home, in L’ufficio in casa, Key Editore, 2020

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CULTURA E SOCIETÀ - "La scelta ragionevole. O della banalità del cambiare" - Marco Mozzoni

eu osha

Cambiare, cambiare! Cambiare tutto per non cambiare niente. Ma oggi c’è la pandemia. E “niente sarà più come prima”. Cioè? Qualcuno me lo spieghi per favore, mentre per tirar sera faccio anche un bel corso online. Dato che finalmente posso lavorare da casa. Tanto, basta un computer e Internet. Poi, l’importante è il risultato, no? Allora perché siamo già a sperare che tutto questo finisca presto, che “tutto torni come prima”? Certo, non proprio come prima, un po’ diverso magari. Salviamo il buono. Vediamo: dunque, lo smart working, le zoommate, il non avere da far la barba tutte le mattine, la digitalizzazione in una notte della scuola...

Ora il cambiamento sembra essere caratteristico della natura organica. Cioè, se sei vivo sei in costante cambiamento. Perché quando non cambi più “sei fritto”, come disse Petrolini di fronte all’olio santo. Ma c’è cambiamento e cambiamento. Superficiale o profondo, atteso o temuto, temporaneo o definitivo, fisico o interiore, spontaneo o forzato, si vive sempre tra il rosso e il nero, come ci fosse una scelta a monte.
Allora, facciamo un passo indietro. Siamo davvero obbligati a cambiare? È un presupposto non dichiarato ma fin troppo diffuso quello che ci vede e vuole tutti quanti smaniosi di cambiare. Siamo inondati di seminari, tecniche, suggerimenti per gestire, governare, accelerare il cambiamento. Verso dove? Posto si riesca, cosa si ambisce a diventare di diverso da quel che si è? Basta una dieta? O è meglio fare la lista delle piccole cose per assicurarsi grandi risultati che non tarderanno a venire? Oppure intendiamo una vera e propria conversione, tipo quella dell’apostolo Paolo? Ci sono! Un nuovo Sé. Basta, sono stufo di me. Voglio essere un altro.
Così, via un governo sotto un altro tutti si sentono chiamati a cambiare per forza qualcosa, chi la tassazione (che ovviamente non va mai bene a nessuno), chi la scuola, ciclico punto dolente del Paese, con buona pace di chi ha dato la vita per la Riforma dell’educazione. E che ci vuole? Non serve analizzare lo stato, basta pretendere di rimetterlo a nuovo con la prima idea che passa per la testa. Del resto, se si vota per “vedere un cambiamento”, è difficile credere che chi vada al potere sia disposto a impegnarsi in una sana amministrazione invece che in specchi per le allodole che siamo. Tant’è. Dobbiamo ammetterlo. A parte il solito lamento, morire che ci rimbocchiamo le maniche per fare qualcosa a partire da noi, assumendoci la responsabilità di un agire collettivo radicale, da generare, accudire, crescere come un figlio.

Peraltro non siamo cambiati una virgola da quando abbiamo principiato col bastone. Il guaio è che ne siamo consapevoli. Ricordiamo le tragedie, celebriamo giornate della memoria, ma andiamo avanti sempre allo stesso modo. Noi umani restiamo una delle pochissime specie sul pianeta a considerare come soluzione finale l’eliminazione fisica dell’avversario, meglio se operata da macchine, da droni in grado di sganciare bombe a distanza sociale. Il nostro cervello è rimasto tal quale quello dei nostri primitivi antenati, per strutture e funzioni. Non serve che ce lo dicano le neuroscienze. Lo sappiamo benissimo da noi nel quotidiano di fronte alla paura, riflesso che ci spinge a fare a botte o scappare a gambe levate. L’alternativa è rodersi il fegato, come succede la gran parte delle volte. Civilizzati, sì civilizzati.

Gli esperti dicono che non c’è stato sufficiente tempo evolutivo, quasi a giustificare le malefatte o il non agire, deresponsabilizzando ulteriormente una specie che ha già fatto troppi danni e che, per evitare di fare peggio, secondo alcuni dovrebbe lasciarsi estinguere. Perché, per come ci muoviamo en masse e per l’effetto deleterio del nostro operare nell’ecosistema, siamo noi il virus. Tranquilli, non servono suicidi di massa alla Jonestown o pandemie da Covid-19 per liberare il pianeta dalla nostra presenza. Basta non fare più figli. È una scelta ragionevole, se non siamo capaci di cambiare per davvero.

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CULTURA E SOCIETÀ - "Borghi connessi" - a cura della Redazione

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Tra digitale, riscoperta culturale e rigenerazione urbana

Come spesso accade in presenza di un limite imposto dall’esterno, l’attuale pandemia ancora in corso ha rappresentato una nuova opportunità di rilancio.
L’improvvisa necessità di lavorare da remoto, lontano dall’ufficio, sta profondamente incidendo sulle abitudini di lavoratori e famiglie, aprendo la strada a possibilità di riscoperta di luoghi e aree geografiche del nostro paese belle e spesso sconosciute, quando non abbandonate.

Il necessario ripensamento delle modalità lavorative ha creato la possibilità di lavorare in luoghi distanti dalla propria azienda favorendo così il recupero e la valorizzazione di luoghi spesso suggestivi ma poco conosciuti e svuotati dalla forza di attrazione lavorativa che le città hanno sempre avuto.

Una potenzialità che sta attirando l’interesse di ambientalisti, architetti, cittadini ma anche dei decisori politici e delle istituzioni che concordano, in misura diversa, sulla necessità di valorizzare il patrimonio urbano italiano non solo per quanto riguarda il turismo, ma anche per dare ai borghi italiani – parliamo soprattutto di paesi piccoli e medi – una nuova identità e una nuova connotazione attraverso la quale recuperare il grande patrimonio artistico e culturale del nostro Paese.
Una strategia che risponde al bisogno di aggregazione sociale, alla necessità di ridurre l’impatto che gli spostamenti hanno sull’ambiente e alla necessità di valorizzare le economie territoriali, attraverso reti di prossimità, recuperando il valore del legame sociale e valorizzando uno stile di vita maggiormente a contatto con il territorio, sia in senso sociale che economico e culturale.

Per raggiungere questo obiettivo è di fondamentale importanza investire prima di tutto sulle infrastrutture a supporto del recupero di paesi e borghi: una rete internet efficace è imprescindibile per permettere ai lavoratori di mantenere lo stesso grado di connessione e presenza. Altrettanto fondamentali sono i collegamenti con gli altri centri urbani; il potenziamento delle strutture scolastiche sul territorio, nonché un lavoro di recupero edilizio e un potenziamento dei servizi a sostegno della popolazione (gestione rifiuti, servizi postali, sanitari, ecc).
Accanto a tutto questo è poi necessario fare un lavoro culturale sulle comunità locali, affinché il cambiamento venga compreso e valorizzato partendo dalle amministrazioni fino ai cittadini, con le persone al centro del processo. Sarà quantomai importante che siano le istituzioni a investire, in un’ottica di riqualificazione e rigenerazione urbana, ma anche di innovazione sociale e culturale.

Accanto al settore pubblico, prezioso sarà il contributo delle aziende private, che potrebbero trovare sbocchi di grande interesse nella partecipazione a progetti di questo tipo, ricavandone un vantaggio non solo per i propri lavoratori – si pensi alle grandi aziende del settore ICT – ma anche riguardo alla responsabilità sociale di impresa.

Già da tempo in molte aree interne del nostro Paese sono stati attivati progetti specifici. Uno di questi temi riguarda Serrone, piccolo comune in provincia di Frosinone nel Lazio dove, già dal 2019 si è avviato un dialogo tra l’amministrazione e la comunità locale attraverso il progetto “Serrone 2030”.
L’amministrazione comunale, avvalendosi del contributo di tecnici, architetti e progettisti esperti in metodologie formative partecipative, ha aderito al protocollo d’intesa per la valorizzazione dell’area e usufruirà della piattaforma libera e gratuita messa a disposizione dalla Fondazione Riusiamo l’Italia (mappa.riusiamolitalia.it), che prevede una ‘mappatura’ di tutti i borghi o comuni che si trovano nelle condizioni di abbandono, dismissione o sottoutilizzo.

Il progetto, avviato con il supporto tecnico e di animazione territoriale degli Spazi Attivi di Colleferro e Ferentino appartenenti alla Rete regionale Spazi Attivi di Lazio Innova SpA, si concentra su tre aree principali – lavoro, scuola e ambiente – e si ricollega agli obiettivi dell’Agenda 2030, elaborata il 15 settembre 2015 dall’ONU.

Tra gli obiettivi quelli di “Fornire un’educazione di qualità, equa ed inclusiva, e opportunità di apprendimento per tutti” e “Incentivare una crescita economica duratura, inclusiva e sostenibile, un’occupazione piena e produttiva ed un lavoro dignitoso per tutti”.

Per quanto riguarda Serrone il principale risultato che l’amministrazione si prefigge di ottenere è restituire visibilità al centro storico del paese, avvicinare abitanti e turisti alla conoscenza e alla fruibilità del borgo e alla sua area museale, attrarre un turismo non solo stagionale.

Il progetto italiano ha individuati tre priorità (Lavoro, Ambiente, Scuola) all’interno delle quali perseguire cinque obiettivi:
1. una Winter School partecipata, in cui i cittadini possano intervenire nel corso di laboratori aperti ed esporre le proprie conoscenze, competenze e abilità;
2. laboratori esperienziali e ‘botteghe dei sapori’ per avvicinare i giovani alla riscoperta delle varietà enogastronomiche e vitivinicole della zona, a partire dalle materie prime per giungere al prodotto finito, passando attraverso le diverse fasi intermedie;
3. un percorso di orientamento professionale per i giovani volto sia alla conoscenza delle opportunità lavorative che all’acquisizione degli strumenti di ricerca di lavoro;
4. percorsi di formazione rivolti al personale educativo e scolastico, ripensando il concetto di classe tradizionale e incoraggiando l’adozione della flipped clasroom (la cosiddetta classe capovolta, dove si invertono i momenti di apprendimento rendendo più attivo e coinvolgente il tempo trascorso in classe);
5. interventi formativi di riflessione e condivisione rispetto ai temi ambientali, in particolare sensibilizzando la popolazione verso l’azione specifica legata al plastic free (http://www.comune.serrone.fr.it/s/content/80006290607/1587045990.458).

Rispetto alle tematiche ambientali, appare di particolare rilevanza il progetto Serrone Sostenibile, premiato nell’ambito dell’edizione 2019 dell’iniziativa CRESCO Solidalis per città sostenibili, promosso da ANCI in collaborazione con alcune aziende particolarmente attente alla sostenibilità.

Il principale risultato che si prefigge di ottenere Serrone 2030 è restituire visibilità al centro storico del paese, per avvicinare le persone alla conoscenza e alla fruibilità del borgo e alla sua area museale, per attrarre un turismo non solo stagionale.

Come Serrone, molti altri luoghi sarebbero meritevoli dell’interesse delle amministrazioni e di progetti specifici. Occorre una visione lungimirante delle risorse del nostro territorio, che vanno ben oltre le potenzialità finora espresse: non solo i beni materiali immobili, ma anche il sapere e i sapori dei nostri borghi costituiscono risorse di grande valore. Un cambiamento di visione per il futuro, e non solo per gestire una fase come quella attuale, in grado di promuovere una riscoperta sociale, culturale e ambientale, che può rappresentare una chiave di svolta per la ripresa del nostro Paese.

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IDEE DI VIAGGIO - "Alla riscoperta delle “Macchine Parlanti”" - a cura della Redazione

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Ripartire dal territorio e dal nostro patrimonio storico, artistico e culturale è un modo per riconnettersi con la bellezza e aprire la mente a nuove esperienze. Il cambiamento parte anche da azioni semplici ma utili a valorizzare eventi e luoghi particolari, spesso sconosciuti ma ricchi di fascino.

Una mostra d’altri tempi ma che vale la pena vedere, soprattutto per la passione con la quale Mario Valentini, collezionista da anni di macchine parlanti, spiega ai visitatori il loro funzionamento con aneddoti divertenti.

Grammofoni, fonografi, apparecchi radio che hanno accompagnato milioni di persone nel mondo dell’informazione per tutto il Novecento sono il cuore della mostra che si svolge in due luoghi d’eccezione. Il primo è il borgo fantasma di Celleno (ilborgofantasmadicelleno.it), comune italiano nella provincia di Viterbo, un insediamento medievale che oggi si configura come un suggestivo insieme di ruderi e testimonianze del passato, con un meraviglioso affaccio sul paesaggio circostante.

radio webL’altra esposizione, più ampia e articolata, delle macchine parlanti è disponibile presso il Castello Orsini, costruzione del XIII secolo situato a Soriano nel Cimino, prima struttura difensiva, poi diventato penitenziario dello stato con l’unità di Italia.

Assolutamente da vedere... ma attenzione: considerata la situazione emergenziale ancora in corso e le disposizioni dei vari Dpcm, consigliamo di verificare la disponibilità alle visite sui siti ufficiali delle rispettive pro-loco.

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REPUTATION today - anno VI, numero 27, dicembre 2020

Direttore Responsabile: Giuseppe De Paoli
Responsabile Scientifico: Isabella Corradini
Responsabile area Sistemi e Tecnologie: Enrico Nardelli
Redazione: Ileana Moriconi
Grafica: Paolo Alberti

Pubblicazione trimestrale registrata presso il Tribunale di Roma il 13/02/2014 n. 14

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Il sommario dovrà chiarire lo scopo e le conclusioni del lavoro e non dovrà superare le 300 battute (spazi inclusi).
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La bibliografia sarà riportata in ordine alfabetico rispettando le abbreviazioni internazionali.
La Direzione, ove necessario, si riserva di apportare modifiche formali che verranno sottoposte all’Autore prima della pubblicazione del lavoro.

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