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Reputation Today n° 25 - giugno 2020


EDITORIALE - "Il lavoro da casa? Non è il rimedio per tutti i mali" - Giuseppe de Paoli

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E può essere molto complicato.

Sono passati oltre tre mesi dall’uscita, nei primi giorni di Marzo, della circolare del ministro della Funzione pubblica Fabiana Dadone che rendeva l’adozione del lavoro agile obbligatoria per “almeno il 10% dei dipendenti pubblici” semplificando la procedura in tal senso prevista dalla legge n 81 del 2017.
Una svolta dettata dalla necessità di contenere l’epidemia da corona-virus con l’obiettivo, più a lungo termine, di arrivare almeno al 40% dei lavoratori in smart-working: una mossa condivisa -ed in alcuni casi anticipata- da molte aziende, in primo luogo quelle hi-tech come Vodafone Skype, IBM.

“Slegare” i dipendenti dall’ufficio e farli lavorare con flessibilità da casa, o comunque in modalità “remoto” – fuori dall’ufficio – è stata una risposta importante per contenere l’epidemia e ha permesso di sperimentare in larga scala una modalità lavorativa, sempre più richiesta.
I vantaggi, già noti, del lavoro agile sono stati confermati anche dalla sperimentazione di questi mesi: può ridurre drasticamente i costi degli spostamenti e l’inquinamento, migliorare la possibilità di conciliare lavoro e famiglia, aumentare la produttività.
Dall’altro lato però può creare sensazioni di isolamento e inadeguatezza e può diventare fonte di stress, come osserva in questo numero la psicologa sociale Isabella Corradini.
In particolare l’assottigliarsi dei confini spaziali e temporali tra lavoro e vita privata, può generare ricadute negative sulla salute del lavoratore e sulla sua vita sociale.

Anche il forzato isolamento in reazione al corona virus ha lasciato il segno; lo rileva lo studio di Brainfactor Research secondo cui il 22% della popolazione censita avrebbe in corso un disordine specifico di natura ansiosa collegato alla pandemia

In questo contesto il dibattito sullo smart-working s’è ampliato, anche con aspetti surreali come l’abitudine di alcuni media di usare la definizione per parlare di modi lavorativi diversi, come il telelavoro; una abitudine che ha contribuito a creare confusione e alimentare l’idea che il lavoro a casa sia la panacea.

Non è così. Lo smart-working-richiede flessibilità di orari e di luoghi, fiducia del datore di lavoro nei confronti del lavoratore e responsabilità da parte dello stesso ma anche notevole capacità di organizzarsi e creare nuovi modi di interazione con colleghi e superiori oltre ad un uso accorto delle tecnologie.
E, soprattutto, per essere davvero SMART (Specific, Measurable, Achievable, Realistic, Time-based) il lavoro deve avere obiettivi ben definiti, nuovi modelli di leadership, assoluta trasparenza.

È un percorso di cambiamento che rimette in discussione l’idea “classica”, finora dominante, di lavoro.
Lavorare a casa non è per tutti: è un privilegio – sia per chi lo pratica che per i datori di lavoro – ma può rivelarsi una trappola, se non gestito bene.

Lo evidenzia anche lo studio della Università di Oxford, uscito appena prima della pandemia e molto citato.
I ricercatori confermano ciò che era già intuibile: la diminuzione dei contatti sociali può influire negativamente sulle prestazioni e sui risultati che invece quando sono ottenuti in team sono, spesso, più efficaci.

Sull’adozione del nuovo modello lavorativo pesano inoltre i timori per la privacy e la sicurezza dei lavoratori e la necessità che sia sempre garantito il diritto alla disconnessione, un tema affrontato in questo numero dall’avvocato Luciana Delfini.

Il punto centrale però è un altro: al netto di anni di dibattiti sul tema e nonostante l’accelerazione indotta dal corona virus, quante persone possono realmente fare smart-working oggi, quanti hanno le competenze necessarie, quali imprese sono pronte davvero a favorirne l’utilizzo?

Tra le grandi imprese del web le posizioni sono diversificate: Facebook e Google spingono con decisione verso la nuova tipologia lavorativa e hanno deciso di lasciare ai dipendenti la scelta se lavorare da casa, almeno a fine anno, oppure no.
Apple, al contrario, ha presentato un piano per far rientrare i propri dipendenti al lavoro nel giro di pochi mesi.

La transizione verso il nuovo non è lineare, ma comunque è iniziata.

Buona lettura!

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NEWS

MOSTRA DEL CINEMA A VENEZIA LIDO
È stata confermata la 77esima Mostra Internazionale del Cinema che si terrà dal 2 al 12 settembre. La Giuria verrà presieduta da Cate Blanchett e nelle prossime settimane verranno resi noti i film in concorso. Per la quinta volta è stata dedicata una sezione alla Biennale College Cinema – Virtual Reality, un percorso attraverso cui verranno realizzati progetti cinematografici in realtà virtuale da artisti provenienti da ogni parte di Italia. Il progetto selezionato dalla precedente edizione dell’iniziativa è “Vajont” e sarà in gara nella sezione Venice Virtual Reality di quest’anno. Sarà invece aperta fino al 1° luglio la call per partecipare alla nona edizione (2020-2021) della Biennale College Cinema sezione International per la realizzazione di lungometraggi con microbudget.
Fonte: https://www.labiennale.org/it/agenda/biennale-cinema

PER UNA CULTURA DELLA SOSTENIBILITÀ
Dal 22 settembre all'8 ottobre a Torino si svolgerà la quarta edizione del Festival dello Sviluppo Sostenibile, organizzato dall’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS) insieme a numerosi partner e organismi aderenti. La manifestazione è nata per sensibilizzare i giovani, cittadini, istituzioni e imprese sui temi della sostenibilità ambientale, economica e sociale. Fin dalla prima edizione, l’iniziativa si è posta l'obiettivo di diffondere una cultura della sostenibilità e realizzare un cambiamento culturale e politico che permetta all’Italia di attuare l’Agenda 2030 dell’Onu ed il raggiungimento dei 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs).
La novità di questa edizione sarà la collaborazione con il Ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale (Maeci), che coinvolgerà anche le sedi diplomatiche italiane e gli istituti di cultura all'estero, così da diffondere il messaggio in modo più capillare e sistemico.
Fonte: https://festivalsvilupposostenibile.it/2020

IL TREND “RESILIENZA” PRIMARIO PER LE AZIENDE ITALIANE
Presentato a Milano lo scorso maggio il Deloitte Global Human Capital Trends 2020, un report sulle prospettive di cambiamento nelle aziende italiane e quelle che operano nel panorama internazionale. Le aziende italiane hanno indicato come fattore primario su cui porre attenzione il Beyond Reskilling, ovvero una visione che punta alla resilienza, facendo crescere le competenze dei propri dipendenti in modo da affrontare scenari sempre più incerti e imprevedibili. Questo trend a livello global riveste il sesto posto in ordine di importanza. Al secondo posto per le organizzazioni italiane, così come per le aziende mondiali, si colloca il Belonging, vale a dire il senso di appartenenza all'organizzazione e la percezione che il proprio contributo sia realmente di impatto sulla crescita aziendale. A seguire per entrambe il Well-being: il benessere viene percepito come fattore chiave integrato nell'esperienza di lavoro, rappresentando una grande area di miglioramento per le imprese, soprattutto in un momento come quello attuale in cui il lavoro a distanza è entrato in modo dirompente nelle organizzazioni.
Fonte: https://www2.deloitte.com/it/it/pages/human-capital/articles/deloitte-global-human-capital-trends-2020---deloitte-italy---hum.html

IL CINEMA PER I DIRITTI DI CHI LAVORA
Dal 21 al 23 settembre 2020 a Torino si svolgerà la rassegna Job Film Days (JFD), dedicata alle tematiche del lavoro e dei diritti ed organizzata dall’associazione Sicurezza e Lavoro di Massimiliano Quirico in collaborazione con il Museo Nazionale del Cinema, Cgil, Cisl e Uil di Torino, Inail Piemonte, Università degli Studi di Torino, Politecnico di Torino, ed altri enti. L’iniziativa, diretta da Annalisa Lantermo, già direttrice dello Spresal di Torino, vuole festeggiare i primi 50 anni della Legge 300/1970, lo Statuto dei Lavoratori. L’evento rientra nel progetto “Torino Città del Cinema 2020” promosso dalla Città di Torino, dal Museo Nazionale del Cinema e da Film Commission Torino Piemonte, che vede il sostegno e la collaborazione di moltissimi enti istituzionali e non.
Per informazioni: https://www.jobfilmdays.org/festival

PREMIO CINEMATOGRAFICO JFD – INAIL “LAVORO 2020”
Previsto anche un concorso indetto in collaborazione con l'Inail Piemonte per cortometraggi realizzati a partire dal 2018 sulle tematiche del lavoro. Possono partecipare opere, sia edite che inedite, anche in animazione, in lingua italiana oppure sottotitolate in italiano, della durata massima di 30 minuti.
I filmati dovranno essere inviati entro il 31 agosto 2020 compilando l’apposito form sulla piattaforma FilmFreeway.
Per informazioni: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

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L’INTERVISTA - "Riconnettersi con la bellezza per ricominciare" - Intervista a Andrea Carandini, presidente Fai - A cura di Giuseppe de Paoli

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Dopo la lunga quarantena Il Paese lentamente riparte, le persone tornano ad incontrarsi, i luoghi tornano ad essere visitabili e il Fai (Fondo Ambiente Italia) torna a riaccompagnare il pubblico alla scoperta del nostro immenso patrimonio culturale, poco conosciuto quando non addirittura abbandonato.
Ville, palazzi storici, musei, stazioni, casali, borghi nascosti, tornano all’attenzione generale, grazie anche a iniziative come “I Luoghi del Cuore” – alla decima edizione – che permette a chiunque di votare i luoghi che ama e contribuire al fatto che siano conosciuti, tutelati, valorizzati.
Riconnetterci con le nostre bellezze ambientali e culturali ci sembra un ottimo modo per rimetterci in cammino e andare oltre questo difficile periodo, consapevoli del fatto che ogni cammino inizia con un passo, che la bellezza (forse) non “salverà il mondo” ma certamente aiuta a viverlo meglio.

Ne parliamo con il professor Andrea Carandini, persona intensa, ricca di cultura umanista, archeologo di fama internazionale e presidente del Fai.

La grande sfida del FAI è proteggere l’ambiente e un patrimonio unico al mondo. Siamo un Paese ricco, culturalmente, artisticamente e a livello di tradizioni, ma non sempre questo patrimonio si trasforma in opportunità lavorative. Perché secondo lei? Dov’è l’anello debole?

Che la Cultura non conti niente, non porti opportunità di lavoro non è esatto: la parte di PIL che attiene alla cultura è cospicua, il rischio casomai è che il nostro patrimonio artistico e culturale, invece che crescere, possa avere problemi anche seri; questo lo posso dire anch’io dalla mia prospettiva al FAI.
Il FAI svolge quella che la nostra Costituzione, all’articolo 118, definisce “Azione sussidiaria”: siamo un ente privato non profit e agiamo per interesse pubblico, a fianco del Ministero per i Beni Culturali, con la convinzione che una pubblica opinione ben informata e partecipe sia essenziale al Paese e alle sue Istituzioni.
Le difficoltà sono tante: il FAI stesso s’è trovato in un momento molto difficile e solo nel mese di marzo abbiamo perso oltre 3 milioni di euro per il mancato svolgimento delle Giornate FAI di Primavera - a causa del Coronavirus -: non sono cifre piccole. Anche ora viviamo un momento difficile, creativo per molti versi, ma difficile.
Il problema è aumentare la consapevolezza delle grandi potenzialità del nostro Paese. Con l’iniziativa “I Luoghi del Cuore” (che invita i cittadini a segnalare i luoghi da tutelare e valorizzare) nella scorsa edizione, quella del 2018, abbiamo raccolto 2 milioni e 200 mila voti, quest’anno potremmo raccoglierne 2,5 o magari 3 milioni! Sono cifre importanti, che confermano il bisogno d’Italia e di bellezza, entrambi in considerevole crescita.
È sempre più evidente il desiderio di “riconnettersi” con l’Ambiente e le sue bellezze; certo le istituzioni potrebbero essere ancora più attive - lo sono ma ancora non abbastanza - e chiaramente oggi ci sono molti problemi da affrontare, quelli di salute, quelli economici però... una volta affrontati i bisogni primari è giusto considerare anche i bisogni della nostra mente.
La nostra mente ha bisogno di storia, narrazioni, racconti; le bellezze ci sono ma non le promuoviamo abbastanza, occorre più impegno.
Non credo tanto alle azioni turistiche di massa, enormi e a volte sconsiderate che abbiamo visto, per esempio, a Venezia; servirebbe invece un turismo più evoluto, continuativo, capillare.
Servono visitatori che frequentano i borghi poco conosciuti, per esempio i paesi al di sopra dei 600 metri, praticamente abbandonati, più che turisti che si muovono in gruppo, vedono tre cose, Piazza San Marco, il David di Michelangelo, il Colosseo, e poi tornano a casa.

Quindi quali provvedimenti sarebbero utili per raccontare al meglio il nostro patrimonio storico e artistico?

Credo che in questo momento ci voglia una politica assennata che governi le orde turistiche trasformandole in individui che vengono in Italia standoci un po’ di più, con voglia di scoprire e valorizzare posti poco noti, insoliti, e portando anche un po’ di ricchezza, che in questo momento al paese serve! Un turismo intelligente che poi naturalmente va governato.
Valorizzare le aree interne deserte, sconosciute ma bellissime, è molto importante: dobbiamo riportarle in vita e dobbiamo invece “scaricare”, togliere peso, a certi luoghi presi d’assalto. Oggi è come se l’umanità fosse precipitata dalle alture approdando tutta sulle coste, sulle pianure abbandonando completamente altre zone, che sono bellissime.
C’è un’Italia interna dimenticata, abbandonata, ma intatta (che però se si abbandona nuovamente non sarà più recuperabile) che va promossa, a partire dalle comunità locali che devono essere incoraggiate, protette, valorizzate, in accordo con le istituzioni.

Lei s’è rivolto al Ministro Dario Franceschini confermando la disponibilità del FAI a collaborare e sottolineando che il Dicastero dei Beni Culturali potrebbe svolgere un ruolo più rilevante nella politica nazionale. Cosa chiedete ai decisori politici?

Il Ministero dei Beni Culturali dovrebbe essere un po’ più presente nelle aree interne, che hanno bisogno di servizi certo ma anche di cultura: c’è bisogno che questi luoghi vengano conosciuti e venga conosciuta la loro storia, magari raccontata in modo innovativo, ad esempio con un video multimediale, semplice ma efficace.
Noi l’abbiamo fatto recentemente nel nostro Bene a Matera – Casa Noha – e possiamo dire che l’iniziativa è stata davvero molto apprezzata dai visitatori.
Il turista ha bisogno di qualcuno che gli racconti i luoghi prima che li vada a vedere, anche perché sono pochi i visitatori che leggono e si informano autonomamente.
Un paesino che sa raccontare la propria storia diventa molto più attraente. Diventa immediatamente una meta.

Questo spiega anche l’importanza del censimento de “I Luoghi del Cuore”.

HERO LDCCerto. È una iniziativa per educare ai beni culturali e all’ambiente e favorire la nascita di una nuova classe dirigente esperta, colta e preparata che curi l’interesse generale.
La scuola non fa abbastanza, serve quindi l’impegno della società civile.
Ci sono luoghi che il potere pubblico non conosce, nemmeno sa che esistono! Questi luoghi hanno bisogno di aiuto.

Le iniziative del FAI hanno coinvolto moltissime persone: lei ha notato un cambiamento nella percezione dell’Ambiente, del Paesaggio, delle bellezze nostrane?

Sì, ma rimane molto da fare; non ci rendiamo conto che non siamo figli di una civiltà sola, ma di una stratificazione di civiltà: gli etruschi, i greci, i bizantini, gli arabi, che hanno determinato il nostro presente.
Il sistema industriale non ha una visione generale, umanista che la scuola non dà più. Manca una visione globale degli eventi, manca la percezione del fatto che certe conquiste derivano da altre epoche (l’idea che la legge è uguale per tutti, per esempio, risale alla Repubblica Romana), che solo conoscendo il passato si può immaginare un futuro.
Le conquiste di una civiltà non sono mai isolate.
La cultura italiana è un crogiolo di culture incredibili; tutto ciò che c’è in Italia riporta ad altre culture. Se andiamo a visitare una chiesa del sud Italia incontriamo un pezzo di Grecia, di Asia, d’arte bizantina,
Perché in certi luoghi della Puglia i Santi hanno il nome in greco? Perché sono santi bizantini!
Questa realtà, questa commistione di culture, deve continuare anche oggi: gli stranieri che lavorano in Italia devono assolutamente essere integrati e dobbiamo essere noi ad allargare lo sguardo verso civiltà diverse.
C’è chi dice “tuteliamo l’identità...” ma cosa vuol dire identità?
A me viene in mente una matrioska, le bamboline russe che stanno una dentro l’altra... Io stesso sono cittadino onorario di Parella, a 7 km da Ivrea in Piemonte, sono nato a Roma, lavoro a Milano, mi sento europeo, magari mi sento un po’ più francese, inglese, spagnolo che tedesco, eppure la cultura tedesca mi ha determinato: Goethe, Thomas Mann sono pilastri della cultura occidentale.
Se poi uno allarga lo sguardo e guarda le stelle – ieri guardavo la luna nuova e la sentivo come una parte del mio essere – capisce che noi siamo tante identità ben distinte ma siamo nello stesso cosmo, seguiamo le regole generali dell’Universo.
La pluralità non esclude l’identità, la stempera magari...
Come i greci che se il vino era troppo forte lo diluivano con l’acqua, cercavano la giusta gradazione, quella per cui il vino è gradevole ma non troppo forte. Quindi: Patria ma non patriottismo, Nazione ma non nazionalismo, Campanile ma non campanilismo.

La pandemia ha cambiato molte cose tra le quali il modo dei cittadini di rapportarsi all’Arte: Come vede il futuro dei Beni Culturali dopo l’emergenza corona virus?

La pandemia è stata una vera rivoluzione; in questi mesi, come Fai, abbiamo riflettuto molto anche sulle sue conseguenze e ci siamo ben presto resi conto che dobbiamo continuare ad avvicinare le persone al nostro patrimonio meraviglioso, che non tutti conoscono, ma non potremo più farlo prendendo qualcuno per mano.
Dobbiamo costruire un ponte tra grandi centri urbani e le varie realtà meravigliose sparse nel tessuto italiano, anche usando la rete informatica che diverrà sempre più importante.
L’informatica non è lo scopo ma sarà sempre più il mezzo attraverso cui le persone potranno fruire dell’offerta artistica e ambientale: sarà la mano che una volta il padre dava al figlio per portarlo a vedere il mondo.
Il virus dovrebbe averci fatto capire quanto danno abbiamo fatto finora al Pianeta intaccandolo, avvelenandolo, rovinandolo; sono bastati due mesi di fermo e l’acqua è tornata limpida, l’aria più pulita, la natura è rifiorita e ha fatto un grande sospiro di sollievo.
Non possiamo più continuare a fare come prima, insistendo su un approccio di così intenso sfruttamento, non possiamo più spremere la terra fino all’ultima goccia come un limone, altrimenti ci resterà solo la buccia.

Speriamo che questo pensiero diventi patrimonio comune, al momento ancora tanti segnali indicano che c’è ancora molta disattenzione verso alcune tematiche.

Io penso che la coscienza ambientale e culturale stia ampliandosi, non dico che si sia ampliata a sufficienza, ma si sta ampliando e dobbiamo favorire la presa di coscienza che nei giovani è oramai maggioritaria; anche perché i giovani temono per il loro futuro e sono più attenti di noi.

Oggi il Papa ha detto che degrado dell’ambiente e degrado morale sono strettamente legati e che il degrado ambientale non può essere adeguatamente affrontato se non comprendiamo le cause sociali. Lei che ne pensa?

Sono considerazioni di ampia veduta, largamente condivisibili, è giusto che le faccia il Papa; naturalmente spetta al Pontefice dire e spetta a noi agire e tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare.
Però questo richiamo è giusto, perché in fondo la Morale cos’è, se non evitare che la nostra anima si macchi?
Se una parte dell’anima è macchiata, corrotta, se abbiamo fatto qualcosa di male lo sappiamo, e quel sapere, quel sentire ci tormenterà sempre, ci rovinerà la vita.
Si ricorda le mani che Lady Macbeth non riusciva a lavare?
Se la coscienza si è macchiata c’è solo un modo per ripulirla: il pentimento profondo e un programma di vita diverso, questa è l’unica via di redenzione.
Così deve avvenire anche per l’Ambiente: lo abbiamo sfruttato, maltrattato, violentato e se continuiamo così avremo a che fare con sempre più malattie, sempre più alluvioni, sempre più disastri, con un caldo che diventerà insopportabile e provocherà migrazioni e l’abbandono di molte terre; succederanno cose per cui il virus sembrerà una sciocchezza.
Bisogna fermarsi e ricominciare da capo. Riprendere le attività che fanno bene mentre quelle che fanno male vanno fermate.
L’uomo ha intelligenza e capacità ed è in grado di creare energia in modo, non dico esemplare, ma decente, senza fare male alla propria anima, alla morale e alla terra ove viviamo.

La posso definire moderatamente ottimista sul futuro?

Senta, ho una mia ricetta, banale forse, ma utile: noi non siamo sicuri che ci sia un Dio, non siamo sicuri che la nostra vita abbia un significato chiaro, ma se vogliamo vivere felici dobbiamo agire come se Dio esistesse, come se la vita avesse un significato; perché se Dio non c’è lo creiamo noi, in noi stessi, e se il senso della vita dovesse mancare lo mettiamo noi, con la nostra intelligenza.
Non possiamo vivere solo di pessimismo. E se non abbiamo fede – è un po’ il mio caso – dobbiamo fare come se l’avessimo. Agiremo comunque meglio che non in preda allo sconforto o al nichilismo, mentre se non facciamo nulla facciamo del male a noi stessi.

O facciamo del male agli altri...

Infatti... anche Leopardi, in un famoso discorso, diceva che bisogna vivere civilmente, come se la vita avesse un senso: secondo lui la vita non l’aveva ma, diceva, bisogna fare come se ci fosse. Se agiamo così alla fine il senso diventa realtà, è come se l’avessimo generato noi.
Quindi si può essere pessimisti ma bisogna agire con coraggio e speranza in ogni situazione, anche la peggiore. Questo i grandi l’hanno sempre insegnato.

Seneca per esempio...

Certo; ma ce l’ha insegnato soprattutto chi è sopravvissuto ad Auschwitz ed è riuscito a rigenerarsi, chi è sopravvissuto ai campi staliniani e poi ha creato cose straordinarie.
Le nostre difficoltà di oggi, per fortuna, non sono così estreme.
Ma vede... la vita perfetta è un’illusione: ogni tanto bisogna fare qualche passo indietro, 3-4, anche 7-8 e poi occorre ripartire.
L’afflato ad andare avanti, cercando non il male - che pure è parte della vita - ma il male minore, forse addirittura il bene, è l’unica cosa che dà un senso alla vita!

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DIRITTI E TECNOLOGIE - "Lavoro agile e diritto alla disconnessione" - Luciana Delfini

L’unica combinazione possibile per considerare il lavoro smart

L’evoluzione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione ha determinato nel mondo del lavoro la trasformazione dei paradigmi organizzativi esistenti, facendo emergere nuovi modelli di lavoro.

Con legge n. 81 del 22 maggio 2017, nota come disposizione sul lavoro agile o smart working, il legislatore ha introdotto una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato caratterizzata da flessibilità, volontarietà, limitazione nella tempistica, migliore conciliazione privato/lavoro.
Detta modalità prevede che, per una specifica porzione di tempo sicuramente minoritaria rispetto al classico assetto lavorativo previsto dalla normativa e dai CCNL, il lavoratore può eseguire la prestazione lavorativa “in parte all’interno di locali aziendali e in parte all’esterno senza una postazione fissa, entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva” (art. 18 cit. legge). Per ciò che attiene “i tempi di riposo del lavoratore nonché le misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro”, si è ritenuto di prevedere una regolamentazione mediante accordi tra le parti, al fine di adeguare le modalità di esercizio della disgiunzione sui tempi e sulle caratteristiche specifiche delle imprese.

Può, però, il lavoro agile, codificato con tale modalità, essere considerato una nuova frontiera per l’equilibrio della vita lavorativa?

Alcuni dubbi sono stati avanzati sin da subito, ma la sua intensificazione si è resa necessaria durante la pandemia Covid-19 per poter permettere di lavorare anche in fase di lockdown (dpcm del 1 marzo 2020, in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da coronavirus Covid-19). Tuttavia, è emersa con chiarezza la difficoltà di poter gestire lo smart working in assenza di bilanciamenti, anche perché, data la situazione di emergenza, la modalità di lavoro individuata è stata prevista anche l’assenza degli accordi individuali secondo la fattispecie normativa esistente.
In termini di sostenibilità sul lavoro, la criticità legata alle nuove tecnologie mobili è proprio quella di aver reso complicato prendere le distanze dal lavoro. I confini tra il lavoro e la sfera personale sono sfumati, gli orari si sono “espansi” a seguito delle sollecitazioni di dover rispondere alle richieste del management in qualsiasi momento e ovunque, anche al di fuori dei periodi di lavoro.
Dunque è essenziale il ricorso ad interventi legislativi e ai contratti collettivi per prevedere un’adeguata regolamentazione dei tempi di riposo e, soprattutto, la possibilità di disconnettersi.
In assenza di un codificato diritto alla disconnessione, rimesso alla negoziazione tra le parti e di fatto assente, la possibilità di essere connessi everywhere e everytime comporta rischi evidenti sulla salute fisica e mentale dei dipendenti a causa dall’iperconnessione.
Ad oggi non sono stati messi in atto meccanismi specifici per impedire il collegamento continuo dei lavoratori, il diritto al distacco è solo formalmente dichiarato in assenza anche di una previsione di controllo sull’attuazione di strumenti specifici.

Se realmente l’intenzione dei policymaker è quella di sviluppare un lavoro smart occorre ripartire da quella che era la filosofia alla base della previsione normativa vigente per poi attuarla realmente, considerando la diversa natura alla dimensione fisico-spazio-temporale.
Il lavoro agile funziona se vengono valutati i risultati e non il quantitativo di ore svolte, se viene lasciata autonomia di gestione dell’orario nell’ambito di quanto previsto. Non può funzionare se si procede con richieste di illimitata disponibilità temporale, senza la possibilità di disconnettersi (non subendone le conseguenze) e, soprattutto, senza prevedere periodi di non connessione per facilitare la concentrazione sul lavoro.

Si rende, dunque, necessaria una norma che chiarisca le modalità di esercizio del diritto di disconnessione, che preveda tempi e orari dettagliati in cui non è possibile contattare il lavoratore, che preveda il diritto dei dipendenti di non rispondere alle e-mail, ai messaggi e alle telefonate al di fuori dell’orario di lavoro, che consideri e supporti la formazione della dirigenza e dei lavoratori sull’uso appropriato delle tecnologie.
La qualificazione del diritto alla disconnessione come diritto che mira a combattere il sovraccarico dovuto alla connettività permanente, pur se ancora controversa, potrebbe essere considerata anche come una specificazione del diritto al tempo di riposo del lavoratore.

In assenza, per ora, di una definizione normativa per garantire il rispetto dei tempi e dunque il bilanciamento tra vita personale e familiare, si potrebbero prevedere specifiche nei contratti collettivi o, ancor prima, forme di buone pratiche da parte datoriale. La messaggistica di assenza o di differimento, le impostazioni di avvisi “pop-up”, quando viene rilevata una connessione eccessiva, la previsione di momenti “white time” senza connessione al computer durante l’orario di lavoro oppure modalità di standby fuori dall’orario lavorativo, sono solo alcuni esempi.
Ciò permetterebbe di garantire i tempi di recupero e di riposo, una gestione equilibrata nel carico del lavoro (e dunque una riduzione di situazioni di stress), in sintesi una virtuosa visione della tanto ricercata nuova cultura della qualità della vita sul lavoro.

Per concludere, il rispetto del diritto alla disconnessione rappresenta un fattore chiave nella valutazione dei rischi per la salute dei lavoratori dipendenti, l’opzione “più sicura” preservare la loro salute fisica e mentale.

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TECNOLOGIE E BENESSERE - "Tecnostress e benessere dei lavoratori: le nuove sfide in un contesto che cambia" - Isabella Corradini

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Sembra già un lontano ricordo l’annuncio fatto l’11 marzo 2020 dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) in cui veniva dichiarata l’infezione da coronavirus SARS-CoV-2/Covid19 una pandemia, invitando i Paesi ad adottare opportune strategie di intervento per far fronte all’emergenza sanitaria. Tanti i documenti elaborati a livello nazionale ed internazionale volti a fornire le indicazioni più opportune per gestire la pandemia: dalle regole igienico-sanitarie a quelle sul distanziamento, a quelle più orientate alla gestione dell’equilibrio psicofisico di tutti coloro che, da un giorno all’altro, si sono trovati a rivedere attività e abitudini.

Raccomandazioni specifiche sono state date per la gestione dello stress derivato dalle nuove condizioni di vita e di lavoro, per esempio dall’American Psychological Association (APA): a fronte di una limitazione delle libertà individuali, ci si è dovuti reinventare una propria quotidianità rimanendo produttivi e socialmente attivi.
Ora che l’emergenza sembra essere passata, occorre però preoccuparsi di andare avanti sfruttando ciò che si è appreso da questa esperienza. Individui e imprese sono chiamati a mettere in pratica la propria “resilienza”, vale a dire quella capacità di far fronte ad eventi sfavorevoli in modo efficace, potenziando così il proprio atteggiamento mentale nell'adattarsi alle diverse situazioni.

In questa sede, nei limiti dello spazio a disposizione, ci concentriamo sugli aspetti di salute e sicurezza sul lavoro, partendo dal fatto che la situazione emergenziale ha costituito la rottura di un equilibrio, anche psicologico, che ha richiesto un nuovo adattamento. Senza contare che l’incertezza su un futuro riapparire del virus – ancora centrale nel dibattito tra virologi - si accompagna inevitabilmente ad una generale incertezza su come il lavoro si evolverà, oltre che sulla sopravvivenza di molte piccole e medie imprese.

Prendere in considerazione tutti i rischi, anche la “salute mentale”
Un tema prioritario per le imprese è quello relativo alla salute dei lavoratori derivante dalla loro esposizione al Covid-19, richiamando così l’attenzione sulle misure di prevenzione e protezione in materia di salute e sicurezza sul lavoro: dalla fornitura di dispositivi di protezione individuali, come le mascherine, all’individuazione di strumenti atti a garantire la distanza fisica necessaria ad evitare il contagio.

In proposito vale la pena citare la guida fornita dall’Agenzia europea per la salute e sicurezza sul lavoro (EU-OSHA), dove vengono fornite tutte le indicazioni necessarie allo scopo. Il punto di partenza per le organizzazioni è l’identificazione e la valutazione dei rischi sia fisici che psicosociali per un’adeguata gestione della sicurezza e della salute sul lavoro (SSL) nell’ambito delle misure COVID-19. I datori di lavoro sono tenuti a rivedere la propria valutazione dei rischi in caso di modifica del processo di lavoro e a prendere in considerazione tutti i rischi, compresi quelli che incidono sulla salute mentale. Sarà necessario prestare attenzione a qualsiasi anomalia o situazione in grado di causare problemi e far sì che questi portino l’organizzazione a diventare più resiliente a lungo termine.

L’attenzione alla salute mentale dei lavoratori è un elementi di particolare rilievo, considerate le diverse implicazioni psicologiche derivate dal forzato isolamento domestico, dalla paura di essere infettati, dall’incertezza per il futuro (si veda ad esempio quanto riportato su La Stampa).
Il tema del benessere sul lavoro acquisisce un ruolo ancora più rilevante. Esso va poi correlato all'attuale sviluppo di approcci organizzativi sempre più orientati al lavoro a distanza (telelavoro, smart working), senza contare poi problematiche già note, come ad esempio l’invecchiamento della forza lavoro.

Nonostante il dibattito in corso sulle modalità più vantaggiose di lavoro, se in presenza o in smart working, è bene ricordare che la questione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (le cosiddette ICT) - e la loro cresciuta applicazione nel mondo del lavoro - non è certo un tema nuovo.

Stress lavoro correlato e tecnostress
Parlando di benessere, il richiamo al rischio stress lavoro-correlato - e a quello più ampio dei rischi psicosociali – è doveroso, dal momento che la sua valutazione e gestione, così come richiesto dalla normativa in materia di salute e sicurezza sul lavoro (D. Lgs. 81/2008 e norme correlate, paragrafo 4.1), costituisce il punto di partenza (e non di arrivo) per la promozione del benessere organizzativo (Corradini, a cura di, Franco Angeli, 2020).

Il tema dello stress lavoro-correlato richiede una visione più aderente agli scenari attuali, partendo dall’analisi di un contesto che cambia e che rafforza la componente digitale in tutte le organizzazioni. Così, se da un lato lo smart-working produce vantaggi riguardo in termini di flessibilità e ottimizzazione di spazi e costi, non va dimenticato che l’uso esteso delle tecnologie digitali per lo svolgimento del lavoro in remoto, associato ad una mancanza di rispetto dei tempi lavorativi, può causare effetti negativi sul lavoratore. Da questo punto di vista, l’impatto determinato dall’impiego di tecnologie digitali per lo svolgimento del lavoro dovrebbe essere annoverato tra i fattori da valutare nell’ottica di una più puntuale e aggiornata valutazione del rischio stress nelle organizzazioni. Esse, infatti, possono tramutarsi in fattori di stress se percepite come invasive o oppressive. Già negli anni Ottanta si cominciava a parlare di tecnostress: fu lo psicologo americano Brod (1984) ad indicare con tale termine un disturbo prodotto dall’incapacità di gestire in modo efficace le nuove (per l’epoca) tecnologie, in particolare quelle informatiche.
Oggi, il concetto si è evoluto verso un approccio più di tipo psicosociale, dal momento che non è lo strumento tecnologico in sé a produrre stress, quanto le modalità con cui l’individuo vi interagisce, l’esperienza psicosociale appunto, che può determinare ansia, fatica mentale e percezione di inefficienza (Salanova et al. 2007). Per la valutazione del rischio stress lavoro-correlato è quindi necessario considerare il ruolo delle tecnologie informatiche e della comunicazione: basti pensare all’aumento delle quantità di informazioni da gestire, il cui sovraccarico (information overload) può produrre nell’individuo una intensa pressione psicologica e cognitiva (Corradini, Lambertucci, 2018).

Ripartire in salute e sicurezza significa dunque prima di tutto rimettere al centro le persone e il loro benessere attraverso l’impiego di strumenti e di metodologie adeguate, sviluppando modelli di intervento pertinenti alle attuali realtà organizzative: un approccio ecologico (Corradini, Nardelli, 2014) basato sull’interazione tra variabili organizzative e tecnologiche e sulla centralità dell’essere umano in tutte le attività ed i processi. Una visione non più derogabile e che costituirà la sfida per le organizzazioni nel prossimo futuro.

 

Per approfondire:
Isabella Corradini (2018). Lo stress nei luoghi di lavoro. Profili psicologici, giuridici e metodologie di valutazione, Edizioni Themis.
Isabella Corradini (a cura di, 2020). Diritti umani, tecnologie e responsabilità sociale. Fondamenti per la reputazione aziendale, Franco Angeli.


CULTURA E SOCIETÀ - "Un giovane su due 'patologico' alla Coronavirus Anxiety Scale - Marco Mozzoni

manifesto piccolo

 

In queste condizioni parlare di rilancio risulta velleitario

Cinque semplici domande su come ci si è sentiti nelle due ultime settimane. In pratica, una fotografia delle condizioni psicofisiologiche degli Italiani all’uscita dall’emergenza. Ne esce un quadro alquanto preoccupante. Perché è proprio in questa “fase” che stanno venendo a galla i disordini sedimentati nel periodo protratto di privazione delle libertà fondamentali, nonostante i surrogati “agili” e virtuali che ci sono stati messi a disposizione.

Oltre l’80% degli Italiani soffrirebbe infatti di stati di confusione, insonnia, immobilismo tonico, perdita di appetito, stress addominale. E i giovani sono quelli che se la passano peggio, se addirittura il 40% di loro è risultato patologico alla “Coronavirus Anxiety Scale (CAS)”1. La CAS è un test clinico di screening recentemente sviluppato dalla Newport University (USA), la cui versione italiana (liberamente utilizzabile) è stata messa a punto da Marco Mozzoni ed Elena Franzot del gruppo di ricerca indipendente Brainfactor Research (www.brainfactor.it), che ha condotto l’indagine a maggio2.

Tra i sintomi più diffusi vince lo stato di confusione (sentirsi frastornati, confusi, indeboliti), sperimentato almeno una volta nelle due settimane di riferimento dal 77% dei soggetti; seguono a stretto giro l’immobilismo tonico (sentirsi “paralizzati” o “bloccati”) al 57%, i disturbi del sonno (difficoltà ad addormentarsi, insonnia) al 56%, lo stress addominale (nausea e problemi allo stomaco) al 38%; chiude la classifica la perdita di appetito, che ha toccato solo il 33% del campione censito.

Le percentuali salgono di molto nella popolazione dei giovanissimi (under-20), dove almeno una volta nel periodo lo stato di confusione ha interessato oltre il 91% dei soggetti, l’immobilismo tonico il 74%, i disturbi del sonno il 70%, lo stress addominale il 61%, la perdita di appetito il 48% di questa generazione che si sta rivelando la più fragile. Al crescere dell’età infatti le cifre scendono progressivamente, come se gli adulti, tutto sommato, avessero saputo mettere in campo maggiori risorse per affrontare in modo “resiliente” (come si usa dire oggi) la pandemia e le misure di contenimento.

Sono dati che parlano da soli. E che dovrebbero richiamare all’ordine i decisori con misure di intervento preliminari a qualsiasi progetto o programma di “rilancio”, che in queste condizioni risulterebbe puramente velleitario. Perché in questo caso non si tratta di un sondaggio di opinione, ma di una rilevazione condotta con un test clinico, il cui “indicatore patologico specifico” è stato la cartina di tornasole di oltre il 22% della popolazione interpellata, con punte del 34% nel Centro e Sud Italia, mentre il Nord – l’area più colpita da coronavirus e chiusure indiscriminate – sembra avere paradossalmente “somatizzato” meno, con un 16% di prevalenza.

Per dirla in una battuta, più di una persona su cinque che incontriamo per la strada soffre attualmente di un disturbo importante che andrebbe trattato clinicamente. Persone che stanno rientrando nei ranghi produttivi nei diversi settori del commercio, dell’industria, dei servizi. Settori strategici per il benessere – non solo economico – del Paese. E i giovani, che rappresentano il nostro futuro, sono letteralmente in ginocchio. Ma qui da noi nessuno se ne cura. Altri paesi hanno messo la salute mentale tra le priorità delle loro politiche e stanno strutturando interventi mirati3, consapevoli che una ripresa reale non può fare a meno della motivazione e delle energie di tutti quanti i cittadini. Altrimenti, come ci ricorda amaramente il critico letterario britannico Tim Parks, sarà la solita italica “illusione”4.

 

Note
1. La Coronavirus Anxiety Scale (CAS) è uno strumento veloce di screening di libero utilizzo per identificare casi di probabile “ansia disfunzionale associata alla crisi Covid-19”. È stata sviluppata dal Dipartimento di Psicologia della Christopher Newport University in Virginia (USA). La versione italiana è stata messa a punto dai clinici Marco Mozzoni e Elena Franzot. Per maggiori informazione e per scaricare copia del test http://ipnosiclinicaroma.it/coronavirus-anxiety-scale-cas-versione-italiana
2. L’indagine è stata condotta online dalle ore 18:30 di giovedì 7/5/2020 alle ore 10:00 di sabato 9/5/2020. L’obiettivo era rilevare la presenza nelle ultime due settimane (indicativamente la n.18 e la n.19 del 2020) di 5 sintomi considerati “fattori principali per diagnosi da disturbo specifico” secondo la CAS: stato di confusione, disturbi del sonno, immobilismo tonico, perdita di appetito, stress addominale. Alle risposte sono stati attribuiti punteggi in funzione della frequenza del sintomo, da 0 (mai) a 4 (quasi tutti i giorni), con cut-off diagnostico di 9 al punteggio totale.
3. Eleanor Ainge Roy, “New Zealand ‘wellbeing’ budget promises billions to care for most vulnerable”, The Guardian, 30/5/2019; Amy Nelmess Bisset, “Elimination policy, business funds, and total transparency: Jacinda Ardern is showing how to lead a country through crisis”, The Independent, 17/4/2020
4. “Nobody could have been more contemptuous of the Italian character than was Mussolini and nobody more determined to achieve the ‘conversion of the Italians’ through a powerful collective vision, for which, like Leopardi, Mussolini uses the word illusion. ‘It is faith which moves mountains, because it gives the illusion that mountains move. Illusion is perhaps the only reality in life’”; cit. Tim Parks, “Benito Mussolini. The Illusionist”, in “A Literary Tour of Italy”, Alma Books, 2016, pagg.171-188.

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LAVORO E SALUTE - "Lo Smart working e la dipendenza dal lavoro" - Franco Amore e Gaetana Pennacchio

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L’evoluzione nel mondo del lavoro mostra sempre più il diffondersi dello Smart Work (anche detto lavoro agile) tra le possibili forme di flessibilità di impiego. In questo articolo affrontiamo un aspetto specifico che può emergere come possibile nuovo fattore di rischio in ambito psicologico e relazionale, anche in considerazione dell’ampia diffusione che questa tipologia di svolgimento dei compiti lavorativi sta avendo a seguito delle necessità post epidemia COVID-19.
Lo Smart Working è definito dall’art. 18 della legge n. 81 del 2017 che ne definisce modalità di applicazione e responsabilità. La caratteristica essenziale, che lo differenzia dal telelavoro è che pur svolto con l’ausilio di mezzi informatici, nel lavoro agile la sede della prestazione lavorativa è variabile e definita dal dipendente. Nel telelavoro, invece, comunque la sede fissa e definita e soggetta alle indicazioni aziendali nella logica “command and control“.
In Italia, sono circa 570.000 i lavoratori con tale regime contrattuale in crescita del 20% rispetto al 2018 (Osservatorio Smart Working, Politecnico di Milano), poi per far fronte all’emergenza coronavirus tali dati in Italia ad oggi si sono più che raddoppiati, diventando così il più grande esperimento di lavoro da casa nel nostro paese, anche se le particolari modalità applicative e la richiesta di svolgere l’attività “in casa” hanno teso a renderlo sovrapponibile al tele-lavoro. Molti contratti collettivi ormai lo prevedono nei settori del trasporto, delle telecomunicazioni, alimentare e bancario, non ultimo anche nell’ambito delle Pubbliche Amministrazioni questa tipologia di prestazione è in via di introduzione, ed è quindi un tema con il quale le organizzazioni produttive sempre più si devono confrontare.
È anche importante ricordare che proprio il determinante contributo fornito dallo sviluppo dell’informatica ha consentito il diffondersi di questa ulteriore flessibilità nel lavoro non solo per l’utilizzo di strumenti portatili, dal computer allo smartphone, sempre più versatili e potenti ma, sottolineiamo, ha permesso la possibilità di lavorare in luoghi diversi, connessi digitalmente tra loro nell’arco di tempi molto brevi, modificando di conseguenza oltre le modalità di comunicazione anche la gestione stessa degli luoghi di attività, del tempo e, non ultime, delle relazioni che si istaurano tra le stesse persone. Le peculiarità del lavoro agile contraggono quindi importanti legami con lo sviluppo dei supporti digitali legati a strumenti, applicazioni e procedure, certamente per gli aspetti contrattuali ed assicurativi (vedi circolare INAIL n. 48 del 2017) che devono recepire le nuove forme di lavoro.

Qui vogliamo però focalizzare l’attenzione su un fattore di rischio che potrebbe risultare presente: la dipendenza dal lavoro. Per un riferimento generale si vuole richiamare l’art. 2087 del C.C. dove “L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.”1 Inoltre si ricorda l’obbligatorietà della “valutazione di tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, …. e quelli connessi alla specifica tipologia contrattuale attraverso cui viene resa la prestazione di lavoro” ex art. 28 del D. Lgs 81/08 e s.m.i. ed anche l’indicazione di fornire “n) L’informazione e formazione adeguate per i lavoratori;” presente nell’art. 15 del medesimo D.Lgs. Venendo poi allo specifico dello Smart Working si deve considerare la previsione normativa nella L. 81/2017, dove “Art. 22. Sicurezza sul lavoro 1. Il datore di lavoro garantisce la salute e la sicurezza del lavoratore che svolge la prestazione in modalità di lavoro agile e a tal fine consegna al lavoratore e al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, con cadenza almeno annuale, un’informativa scritta nella quale sono individuati i rischi generali e i rischi specifici connessi alla particolare modalità di esecuzione del rapporto di lavoro. 2. Il lavoratore è tenuto a cooperare all’attuazione delle misure di prevenzione predisposte dal datore di lavoro per fronteggiare i rischi connessi all’esecuzione della prestazione all’esterno dei locali aziendali.” Questi riferimenti normativi chiaramente indirizzano verso una obbligatoria prevenzione e formazione sui possibili rischi che ovviamente tiene conto della peculiarità del lavoro agile e che non può essere solo antinfortunistica. In tal senso il richiamo al rischio stress lavoro correlato, ex art. 28 dianzi citato, ci sembra pertinente e suggerisce un utile approfondimento di un aspetto che ha ormai in letteratura ha un ampio rilievo e che impatta sulla salute del lavoratore oltreché influenzare negativamente la performance lavorativa, venendo quindi al punto centrale che vogliamo evidenziare.

Lo sviluppo delle nuove tecnologie, pur nell’intento di agevolare le condizioni di lavoro delle persone, hanno contribuito ad abbattere le barriere tra vita privata e vita lavorativa. Si nota però un possibile contrasto, nel superamento dei tradizionali limiti spaziali e temporali delle attività professionali, che piuttosto di permettere il raggiungimento di una maggiore discrezionalità e flessibilità gestionale nonché di un miglior bilanciamento tra vita lavorativa e vita privata, incrementano talora in maniera esponenziale la possibilità di investire ancora più tempo nella propria attività lavorativa. Cosa succede ai dipendenti quando, grazie all’utilizzo delle ICT, lavorano oltre l’orario di lavoro anche a casa, nel cuore della notte, nel fine settimana o durante le vacanze, e che questa sia considerata una condizione indispensabile per il successo e l’avanzamento di carriera o per mantenere il posto di lavoro? Che conseguenze può avere un simile approccio al lavoro sulla salute psicofisica del lavoratore, sulla sua vita sociale e sul suo rendimento professionale? La rottura dei confini spaziali e temporali, entro i quali lo Smart Working si colloca, se da un lato fa pensare a una maggiore autonomia gestionale della propria professione dall’altro aumenta i ritmi di lavoro che se spinti all’eccesso generano ricadute negative sia sulla salute psicofisica che sulla vita sociale. Non a caso sempre più spesso si sente parlare della dipendenza da lavoro come una forma di dipendenza.
Il workaholism, detto anche work addiction (letteralmente dipendenza da lavoro), è stato introdotto nel 1971 da Oates, per indicare il bisogno incontrollabile di lavorare incessantemente, tanto da rientrare nel novero delle New Addiction, assieme alla Internet Addiction, Shopping Compulsivo ed altre. Esso, tuttavia, si differenzia dalle classiche dipendenze comportamentali, poiché non si riferisce, come per l’uso di sostanze, al ricorso ad un agente esterno per l’ottenimento diretto di un appagamento istantaneo, bensì ad un’attività che richiede uno sforzo finalizzato alla produzione di un lavoro o di un servizio, per il quale si prevede una remunerazione. Nonostante si tratti di un tema dibattuto da diversi anni, il workaholism, per la sua stessa correlazione con un’attività quotidiana positiva, quella lavorativa, sembrerebbe non essere molto riconosciuta dalla società, al momento, come un disagio patologico (Oates, 1971), tanto che viene annoverata come una dipendenza benvestita (well dressed). Mentre in Italia tale fenomeno risulta ancora poco conosciuto, in altri paesi come il Giappone, il workaholism identificato con il nome di Karōshi (termine proprio della cultura giapponese, coniato appositamente per identificare le morti non dovute ad incidenti sul lavoro ma ricondotte esclusivamente all’eccessivo lavoro di cui si fa carico un singolo lavoratore), è largamente diffuso ed è causa di decessi a seguito di infarti cardiaci e ischemici, dovuti alle eccessive ore di lavoro e alle condizioni lavorative stressanti. A questo fenomeno si associa anche il karo-jisatsu, termine che indica il suicidio al quale ricorrono gli impiegati che soffrono di depressione correlata all’eccesso di lavoro (Araki & Iwasaki, 2005; Kanai, 2006). I sintomi, noti in letteratura, più ricorrenti nel workaholism sono: il tempo eccessivo dedicato volontariamente e consapevolmente al lavoro (più di 10/12 ore al giorno, compresi weekend e vacanze) non dovuto a esigenze economiche o a richieste lavorative; pensieri ossessivi e preoccupazioni collegati al lavoro (scadenze, appuntamenti, timore di perdere il lavoro); poche ore dedicate al sonno notturno con conseguenti irritabilità, aumento di peso, disturbi psicofisici; impoverimento emotivo, sbalzi di umore e facile irritabilità; sintomi di astinenza in assenza di lavoro (ansia e panico); abuso di sostanze stimolanti come la caffeina, riduzione e assenza di relazioni familiari e amicali.
L’innovazione tecnologica che, con l’esordio di internet e del word wide web, fino all’utilizzo odierno di smartphones, tablet, piattaforme digitali e App sempre più aggiornate, indebolendo i confini naturali tra ambito professionale e privato, avrebbe permesso allo “spazio” lavoro di invadere quegli “spazi” personali precedentemente non intaccati dalla sfera professionale. In passato era sufficiente l’uso del cartellino marcatempo per sancire l’entrata e l’uscita dallo “spazio” e dal “tempo” lavorativo, oggi, banalmente, il fatto di essere sempre reperibili tramite cellulare o altri strumenti tecnologici, da un lato rassicura, dall’altro può operare una sorta di invasione e controllo sulle vite private dei lavoratori. L’eccessiva mole di lavoro e la spasmodica ricerca di alti standard professionali, delineerebbe nel workaholic, ovvero in colui che tende a sviluppare la dipendenza dal lavoro, una personalità incline al comportamento compulsivo finalizzato ad evitare, nascondere o silenziare i propri stati emotivi. Vissuti personali legati ad esempio al senso di inadeguatezza o all’incertezza lavorativa saranno pertanto gestiti con comportamenti controllanti, perfezionistici e/o iperattività e con la conseguente presenza di un corteo sintomatologico psicofisico e il possibile uso di sostanze psicoattive.
È chiaro che non tutti i lavoratori che si dedicano al loro lavoro con impegno ed energia sono workaholics, ma se questa modalità di lavoro diventa costante, “compulsiva ed esasperante”, si potrebbe prospettare il rischio che in alcuni soggetti si sviluppi tale dipendenza.
Interessante notare come sia Mariano Corso2 che Fiorella Crespi3 parlino proprio di “full engagement” delle persone come leva da promuovere all’interno dei progetti smart working.Il passaggio dal work engagement al workaholism può essere graduale e attraversare una lenta fase di transizione in cui l’engagement assume livelli medi di dipendenza, come quando il lavoratore, pur volendo dedicare impegno ed energie al proprio lavoro, si sente anche in obbligo di lavorare tanto e costretto a trascurare la propria vita extralavorativa.
A livello organizzativo, difficilmente i comportamenti riconducibili al workaholism vengono scoraggiati. Le stesse organizzazioni possono essere abusanti e presentare caratteristiche riconducibili al workaholism, come il diniego della dipendenza. Le workaholic organizations sono organizzazioni frenetiche che sfruttano il forte senso di responsabilità dei lavoratori nei confronti dell’impresa per veicolare il messaggio che finché non si termina il lavoro non si può tornare a casa. Sono totalmente incentrate sul profitto economico, senza rispetto dei limiti personali e della vita privata dei lavoratori che, per sopravvivere, devono necessariamente diventare workaholics. Le imprese di questo tipo incoraggiano il diniego della dipendenza e la supportano considerandola vantaggiosa perché, per andare avanti, hanno bisogno di lavoratori workaholics (Guerreschi, 2005; Lavanco & Milio, 2006). Tipicamente le workaholic organizations premiano i lavoratori che adottano tale approccio disfunzionale al lavoro con ricompense intrinseche o estrinseche (come denaro, prestigio, promozioni e riconoscimenti da parte dei superiori), rinforzando così i comportamenti di workaholism considerati dal management come una misura di lealtà e impegno (De Carlo et al., 2013; Lovey, Erdélyi e Nadkarni, 2007).
Pur tenendo presenti gli aspetti di personalità individuale, l’interesse per un’attività di prevenzione deve rivolgersi al clima organizzativo che può innescare o supportare l’adozione di modalità compulsive di lavoro. Un clima orientato solo alla competizione può facilmente innescare l’escalation della dipendenza: l’ambizione e la rivalità tra colleghi possono indurre il lavoratore a decidere di volersi impegnare esageratamente nel proprio progetto, dedicandosi alla propria professione oltre l’orario consueto. L’incremento delle ore lavorative andrà a discapito del tempo libero e di qui a poco il lavoro invaderà la vita privata della persona (De Carlo et al., 2013).

Conclusioni
La prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali dipende innanzitutto dalla conoscenza e dalla consapevolezza dei rischi ai quali si è esposti durante lo svolgimento delle mansioni lavorative e dalle misure di prevenzione e protezione messe in campo per migliorare le condizioni di lavoro.
Alla luce di quanto sin ora rappresentato, se pur sinteticamente, ci sembra di poter affermare che le figure del Datore di lavoro, del Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione, del Medico Competente (ove nominato) devono tener conto nelle attività di tutela della salute anche di questo nuovo possibile fattore di rischio legato al sempre più crescente uso della “tecnologia della velocità“ nonché di nuovi modelli organizzativi. Quindi è importante predisporre la preventiva in-formazione adeguata al personale in lavoro agile sui fattori di rischio (compresi quelli psicosociali come questo in argomento) e consegnare agli stessi ed agli RLS l’informativa scritta, con cadenza almeno annuale, sui rischi generali e specifici connessi alla particolare modalità di esecuzione del rapporto di lavoro, favorendo così la consapevolezza delle conseguenze della dipendenza sulla propria salute psicofisica e successivamente sulla propria attività. Si suggerisce anche di includere il “workaholism” nella valutazione dei possibili fattori di rischio psicosociale e, se emergono indicazioni di rischio rilevante, considerare con particolare riguardo le possibili azioni di mitigazione (es. modalità di attribuzione del part time e sua volontarietà, carico e distribuzione del lavoro simile a quello da svolgere in sede, modalità di disconnessione e loro verifica, modalità di verifica dei risultati legata al raggiungimento degli obiettivi, sportello di ascolto). In queste attività è certamente utile coinvolgere lo psicologo, formato nell’ambito del lavoro, in qualità di Esperto4, in quanto, nell’ottica di approccio multidisciplinare che ormai si va affermando, si tratta di informare e successivamente valutare compiti gestiti in prevalenza digitalmente che richiedono di portare l’attenzione anche su aspetti di rilevanza psicologica, quali ad esempio il carico mentale, la gestione delle performance e non ultime delle modalità relazionali legate ai rapporti di lavoro. In tal modo anche il datore di lavoro potrà dimostrare di aver agito in coerenza con le specifiche indicazioni del D. Lgs. 81/08 e s.m.i.5

Note
1. Vedi anche art. 41 della Costituzione Italiana dove si legge “L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana…”
2. Mariano Corso Responsabile scientifico dell’osservatorio Smart Working Politecnico di Milano
3. Fiorella Crespi Direttore dell’osservatorio Smart Working Politecnico di Milano
4. Figura prevista dagli artt. 31 e 32 del D.Lgs. 81/08 e s.m.i. e dall’art. 6 dell’Accordo quadro europeo sullo stress nei luoghi di lavoro, siglato SULLO l’8 ottobre 2004.
5. Art. 15 punti a) b) c) ed art. 28 punti 1, 1 bis e 2 d).

Bibliografia
Araki & Iwasaki : Death due to Overwork (Karoshi) Causation, health service, and life expectancy of Japanese males . Avaiable in the Journal of the Japan Medical Association.
De Carlo, N. A., Falco, A. & Capozza, D. (a cura di). (2013). Stress, benessere organizzativo e performance. Valutazione & Intervento per l’Azienda Positiva. Milano: FrancoAngeli
Guerreschi, C. (2005). Workaholic. Dipendenza da lavoro: come curarla. Milano. Guerini e Associati”
Lavanco & Milio. Psicologia della dipendenza dal lavoro. «Work addiction» e «workaholics». 2006 Casa editrice Astrolabio
Liu, Y., & Tanaka, H. (2002). Overtime work, insufficient sleep, and risk of non-fatal acute myocardial infarction in Japanese men. Occupational Environmental Medicine.
Lovey, I., Erdélyi, E. & Nadkarni, M. S. (2007) How healthy is your organization: The leader’s guide to curing corporate disease and promoting joyful cultures (creating corporate cultures). Santa Barbara, California: Greenwood Publishing Group”
McMillan, L. H. W., & O’Driscoll, M. P. (2004). Workaholism and health: Implications for organizations. Journal of Organizational Change Management.
Oates, W. (1971). Confessions of a workaholic: The facts about work addiction. New York, NY: World Publishing.
Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano: convegno 30 ottobre 2019 “ smart working davvero: la flessibilità non basta.
Testo Unico Sicurezza sul Lavoro 2019
Tronci L. Burnout e dipendenza da lavoro nelle professioni sanitarie, disponibile in iBooks.
Van Beek et al., 2011. For Fun, Love, or Money: What Drives Workaholic, Engaged, and Burned‐Out Employees at Work?

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PROGRAMMA IL FUTURO - "Programma il Futuro: webinar per la consapevolezza digitale" - a cura di Reputation Agency

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Un anno scolastico particolare, quello 2019-2020, segnato dall’emergenza sanitaria del Covid-19, che ha costretto alla chiusura “fisica” delle scuole e richiesto agli insegnanti di organizzare le attività didattiche tramite piattaforme digitali e strumenti a distanza.
Programma il Futuro, l’iniziativa promossa nel 2014 dal MIUR (Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca) in collaborazione con il CINI (Consorzio Interuniversitario Nazionale per l’Informatica) ha continuato a supportare le scuole anche in questa fase, cercando di rispondere alle diverse esigenze dettate dalla situazione. Con una cadenza settimanale ha così realizzato una serie di webinar, già avviati nell’ottobre del 2019, per approfondire argomenti di utilità per insegnanti e genitori al fine di supportarli nella gestione delle attività durante la fase di lockdown.

La diversità dei contenuti e la qualità dei docenti ha caratterizzato l’erogazione degli incontri informativi che, pur in uno spazio di tempo contenuto (1 ora ciascuno) hanno permesso a relatori e partecipanti di interagire e di approfondire aspetti del mondo digitale.
Partendo dal tema dominante della “cittadinanza digitale consapevole”, sono stati affrontati gli aspetti connessi all’uso delle piattaforme per la didattica digitali, come la privacy, l’intelligenza artificiale, la sicurezza informatica. Esperti di tecnologie, sicurezza e scienze sociali, relatori delle aziende partner di progetto (Eni, Engineering e Seeweb) hanno messo a disposizione la loro expertise ed esperienza, utilizzando un linguaggio semplice e chiaro in modo da coinvolgere attivamente anche un pubblico non specialistico,

Il feedback, sia di insegnanti che di genitori, è stato estremamente positivo, tanto che Programma il Futuro ha deciso di pianificare un’altra serie di webinar informativi per l’anno scolastico 2020-2021. Un bel risultato, considerato che in un periodo come quello della fase di isolamento, la quantità disponibile di webinar in rete è stata veramente notevole e a tutt’oggi continua a mantenersi alta.

La “scoperta” di questa modalità di erogare formazione di certo influenzerà il prossimo futuro; quanto meno ha riacceso il dibattito sulle qualità della didattica tradizionale vs quella a distanza. Nonostante il significativo supporto che gli strumenti digitali possono fornire, l’aula nella sua fisicità rappresenta comunque la sede privilegiata per le attività didattiche, ancora di più quando queste sono rivolte alle scuole primarie e secondarie di primo grado. Piuttosto, un’integrazione bilanciata tra la modalità in presenza e online potrebbe essere un elemento di arricchimento, ovviamente da valutare con opportune sperimentazioni.
Il materiale dei webinar è stato messo a disposizione sul sito del progetto.
Di seguito l’elenco di tutti i webinar, con i link per poterne visionare la registrazione e il PDF della presentazione
(https://programmailfuturo.it/notizie/webinar).

Come funzionano i computer – Enrico Nardelli – Seminario dedicato alla presentazione della guida “Come funzionano i computer” che introduce e supporta l’omonima serie di video di Code.org.
https://youtu.be/sSvO1DVaIfc
https://programmailfuturo.it/media/docs/webinar/webinar-20191009-come-funzionano-i-computer.pdf
Dalla A... alla F: i nuovi corsi di Code.org – Enrico Nardelli – Seminario dedicato ai nuovi corsi di fondamenti di informatica A, B, C, D, E, F di Code.org, che sostituiscono i precedenti Corsi 1-2-3-4 per la scuola primaria.
https://youtu.be/2btCs6P_A8c
https://programmailfuturo.it/media/docs/webinar/webinar-20191106-nuovi-corsi-A-F.pdf
Le guide per la Cittadinanza Digitale Consapevole – Isabella Corradini – Seminario dedicato alla presentazione delle guide per la Cittadinanza digitale consapevole, utili strumenti per utilizzare i dispositivi tecnologici e muoversi su Internet con sicurezza, responsabilità ed efficacia.
https://youtu.be/JqdyNh1cn20
https://programmailfuturo.it/media/docs/webinar/webinar-20191209-cittadinanza-digitale-consapevole.pdf
Comunicare in rete in modo sicuro. Cittadinanza Digitale Consapevole per la scuola secondaria di 1° grado – Isabella Corradini – Seminario dedicato alla presentazione della guida “Comunicare in rete in modo sicuro” per le scuole secondarie: come gestire le conversazioni inopportune online.
https://youtu.be/3qPAfR3GIHg
https://programmailfuturo.it/media/docs/webinar/webinar-20200213-comunicare-in-modo-sicuro-slide-web.pdf
Come proteggere i tuoi dati personali. Cittadinanza Digitale Consapevole per la scuola primaria – Isabella Corradini – Appuntamento dedicato alle scuole primarie che riguarderà il tema della protezione dei propri dati personali, esplorando le guide “Segui le tracce digitali” e “Dati personali e altri dati”.
https://youtu.be/AaPVFf8GmLo
https://programmailfuturo.it/media/docs/webinar/webinar-20200311-come-proteggere-i-tuoi-dati-personali.pdf
Come fare lezione a distanza proteggendo i dati personali: videolezioni con Zoom – Enrico Nardelli e Francesco Lacchia – In questo momento in cui si utilizzano molto gli strumenti virtuali per la didattica e la formazione, ma anche per lo smart working, vogliamo dedicare un webinar per riflettere sugli strumenti più adatti da usare per tutelare i propri dati personali.
https://youtu.be/MkmQI19bDJ8
https://programmailfuturo.it/media/docs/webinar/webinar-20200324-lezione-a-distanza-proteggendo-dati-personali.pdf
Didattica a distanza e privacy: consigli pratici – Enrico Nardelli e Francesco Lacchia – Consigli pratici su DaD e privacy, per approfondirne alcuni aspetti e proseguire nel confronto.
https://youtu.be/blo6GWdGSwY
https://programmailfuturo.it/media/docs/webinar/webinar-20200331-didattica-a-distanza-e-privacy_consigli-pratici.pdf
Pillole di sicurezza digitale: imparare dall’emergenza – Isabella Corradini e Mario Rossano – La sicurezza digitale riveste un’importanza ancora più grande in un momento di emergenza come quello presente, in cui i mezzi digitali sono al centro delle nostre relazioni.
https://youtu.be/kXaqdYrCQN8
https://programmailfuturo.it/media/docs/webinar/webinar-20200407-pillole-di-sicurezza-digitale.pdf
Pillole di sicurezza digitale: la password geniale – Isabella Corradini e Mario Rossano – Come gestire le proprie password, quando queste rappresentano un punto debole e quali consigli è bene seguire.
https://youtu.be/QzarD3OKIDU
https://programmailfuturo.it/media/docs/webinar/webinar-20200421-la-password-geniale.pdf
Come partecipare con la DaD ai concorsi di Programma il Futuro – Francesco Lacchia ed Enrico Nardelli – Seminario dedicato all’utilizzo della didattica a distanza per la partecipazione al concorso “Informatica per il Bene Comune” e all’iniziativa supportata da Eni “Programmiamo un Futuro Sostenibile”. Uno spazio per supportare insegnanti e studenti nella partecipazione. Come gestire una classe virtuale e come portare avanti un progetto di gruppo per partecipare alle iniziative nonostante le difficoltà del momento attuale.
https://youtu.be/1Fs4m9hxEUQ
https://programmailfuturo.it/area51-xdownload?task=routedownload&tmpl=component&id=26
Educare all’uso consapevole dei media nella società degli schermi – Lorella Zanardo – Il distanziamento sociale dovuto all’emergenza sanitaria rende ancora più importanti il consumo dei media e i rapporti virtuali online, aumentando il peso dell’uso dei dispositivi digitali nella vita di tutti. Compito dell’educazione ai media è fornire ad inseganti e formatori gli strumenti x trasmettere l’uso consapevole dei media al pubblico più giovane.
https://youtu.be/qmrLaaFUhFU
https://programmailfuturo.it/area51-xdownload?task=routedownload&tmpl=component&id=27
Linux, la rete e il web – Marco Cristofanilli (Seeweb) – Il seminario introduce il sistema operativo Linux, cuore pulsante della rete Internet, e descrive come è fatto e come funziona il web.
https://youtu.be/M7pKOxEJ3Cs
https://programmailfuturo.it/area51-xdownload?task=routedownload&tmpl=component&id=28
Intelligenza Artificiale 101: comprendere, imparare, prevedere e… decidere – Diletta Milana (Eni) – Nel corso di questo intervento metteremo a fuoco il concetto stesso di “Intelligenza” e come questa si realizza nelle “macchine” con cui interagiamo ogni giorno. Attraverso esempi ed applicazioni, scopriremo quali sono le domande essenziali da porci per comprenderne il funzionamento, l’approccio, le sfide e per diventare consapevoli dei rischi così come delle opportunità.
https://youtu.be/XoVW9ycE36Y
Dubbi o perplessità nella partecipazione ai concorsi di Programma il Futuro? Parliamone insieme – Staff di Programma il Futuro – Lo staff di Programma il Futuro risponderà in diretta alle domande relative alla realizzazione e sottomissione dei progetti del concorso “Informatica per il bene comune” e dell’iniziativa Eni “Programmiamo un Futuro Sostenibile”.
https://youtu.be/fUWotjH2XgU
https://programmailfuturo.it/area51-xdownload?task=routedownload&tmpl=component&id=26
Innovazione, tecnologie abilitanti e sostenibilità – Massimo Canducci (Engineering) – Qual è l’impatto delle tecnologie abilitanti e dei processi di innovazione sulla sostenibilità economica, sociale ed ambientale? Intelligenza Artificiale, Blockchain, Stampa 3D, auto a guida autonoma, smart mobility, big data hanno o avranno un ruolo importante nella nostra vita di tutti i giorni, sono tecnologie sostenibili?
https://youtu.be/J4H0Soc0GBU
https://programmailfuturo.it/area51-xdownload?task=routedownload&tmpl=component&id=29
Presentazione del corso online per insegnanti – Le basi dell’informatica per la scuola primaria – Enrico Nardelli – Webinar dedicato alla presentazione del corso online per insegnanti, in cui verranno descritti gli obiettivi, la struttura del corso e il programma. Sarà un'occasione per scoprire il corso e rispondere a tutte le vostre domande.
https://youtu.be/Csjdcf3TWkY
https://programmailfuturo.it/area51-xdownload?task=routedownload&tmpl=component&id=30

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SALUTE E SICUREZZA - "EU-OSHA: è in arrivo la nuova Campagna 2020-2022" - a cura della Redazione

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La nuova campagna dell’Agenzia Europea per la salute e sicurezza nei luoghi di lavoro (EU-OSHA), dal titolo “Healthy Workplaces Lighten the Load”, si aprirà il prossimo ottobre 2020.
Per il biennio 2020-2022 l’Agenzia si dedicherà a sensibilizzare aziende e lavoratori verso i disturbi muscoloscheletrici legati al lavoro (DMS), un problema che colpisce in modo trasversale una larga parte della forza lavoro di tutti i settori nei diversi paesi europei.
Dall’analisi condotta dall’Agenzia emerge infatti che oltre il 50% dei lavoratori sviluppa disturbi muscoloscheletrici derivanti dal lavoro, che si manifestano da soli o in associazione ad altre patologie.

Vista la larga diffusione del fenomeno, si preannunciano numerose iniziative di sensibilizzazione e formative. Inoltre, il materiale che l’EU-OSHA rende disponibile sarà arricchito da un vasto numero di casi studio. Sul nuovo sito che l’Agenzia ha dedicato alla campagna di prossima apertura sono già disponibili molte risorse per approfondire il tema e sensibilizzare lavoratori e datori di lavoro, tra cui diverse ricerche sull’entità del problema e dei costi ad esso associati, nonché sulle attuali politiche e pratiche di prevenzione (https://healthy-workplaces.eu/en/tools-and-publications/publications?text=&sort=date). In aggiunta, l’EU-OSHA ha messo a disposizione moltissime risorse per agevolare organizzazioni e lavoratori nella valutazione e nella gestione dei rischi di MSD nei luoghi di lavoro, permettendo l’accesso a un vasto database in cui si possono trovare strumenti pratici e materiali di orientamento sviluppati nei diversi paesi europei, disponibili in varie lingue. Tra questi, i casi studio mostrano quanto la prevenzione sia importante e come per realizzarla concretamente sia necessaria l’alleanza tra lavoratori e datori di lavoro (https://healthy-workplaces.eu/en/tools-and-publications/practical-tools).
Accanto ai materiali di approfondimento, sarà possibile scaricare il materiale ufficiale della campagna, tra cui la guida elettronica, in modo da rimanere aggiornati sulle diverse tappe che la caratterizzeranno (https://healthy-workplaces.eu/en/tools-and-publications/publications/campaign-guide-0).
Per far raggiungere una diffusione più estesa possibile alla sensibilizzazione verso il tema, l’Agenzia ha creato anche in questa occasione un breve filmato animato, il cui protagonista, Napo, mostra in modo semplice e trasversale quanto i disturbi muscoloscheletrici possano essere diffusi e talvolta sottovalutati (https://healthy-workplaces.eu/en/tools-and-publications/napo-films). I cortometraggi animati di Napo sono infatti progettati per essere universali e tali da trasmettere il messaggio in modo divertente e coinvolgente.
Anche stavolta, come accade per ogni Campagna, le organizzazioni possono facilmente diventare partner (https://healthy-workplaces.eu/en/get-involved/become-campaign-partner), rendendo così note le proprie buone pratiche in materia di prevenzione e gestione dei disturbi muscoloscheletrici legati al lavoro partecipando al Premio Buone Pratiche. Ciò favorirà uno scambio di esperienze tra i paesi e culminerà in una cerimonia di premiazione che si svolgerà ad aprile 2022.
Gli snodi principali della Campagna, che si concluderà con il tradizionale Summit di novembre 2022, saranno le tre settimane europee (2020-2021-2022) che si svolgono in genere ad ottobre, nella 43esima settimana del calendario. Durante questi appuntamenti verranno organizzate proiezioni di film speciali, conferenze, mostre, concorsi e incontri formativi. Ogni partner della Campagna potrà organizzare il proprio evento e metterlo in condivisione così da creare una rete che attraversi i diversi paesi europei.
È già possibile aderire alla nuova Campagna, promuovendo un ambiente di lavoro maggiormente sicuro verso il rischio di sviluppare disturbi muscoloscheletrici, utilizzando i materiali che si trovano qui: https://healthy-workplaces.eu/en/get-involved/start-your-campaign

Nei prossimi mesi saranno organizzati diversi eventi dai partner di tutti gli stati membri e disponibili nella sezione del sito dedicata: https://healthy-workplaces.eu/en/media-centre/events. Per rimanere aggiornati sulle prossime evoluzioni della Campagna è possibile iscriversi alla newsletter o seguire i canali social ufficiali dell’EU-OSHA.

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REPUTATION today - anno VI, numero 25, giugno 2020

Direttore Responsabile: Giuseppe De Paoli
Responsabile Scientifico: Isabella Corradini
Responsabile area Sistemi e Tecnologie: Enrico Nardelli
Redazione: Ileana Moriconi
Grafica: Paolo Alberti

Pubblicazione trimestrale registrata presso il Tribunale di Roma il 13/02/2014 n. 14

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Il sommario dovrà chiarire lo scopo e le conclusioni del lavoro e non dovrà superare le 300 battute (spazi inclusi).
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La bibliografia sarà riportata in ordine alfabetico rispettando le abbreviazioni internazionali.
La Direzione, ove necessario, si riserva di apportare modifiche formali che verranno sottoposte all’Autore prima della pubblicazione del lavoro.

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