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Reputation Today n° 20 - marzo 2019


EDITORIALE - "C’eravamo innamorati del web" - Giuseppe de Paoli

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C’eravamo innamorati del web ma ben presto abbiamo visto emergere, più o meno gradualmente, un bel po’ di problemi collegati al suo uso. Uno di questi è l’aggressività del linguaggio che si manifesta in modo eclatante sui social network.
Vero che il linguaggio aggressivo esiste da sempre e non è direttamente collegato all’avvento dei social, ma sono questi ultimi ad averlo evidenziato e potenziato nei suoi effetti offrendo spazio alle informazioni non verificate, spesso false, che in rete si moltiplicano a velocità vertiginosa.
Quando Orson Welles annunciava nel 1938, in una famosa trasmissione radiofonica, che l’America era stata invasa dagli alieni, già metteva il dito sulla piaga e dimostrava le potenzialità dei mezzi di comunicazione di massa e la relativa facilità a diffondere informazioni false.
L’annuncio, infatti, grazie anche all’autorevolezza di Welles come conduttore, fu considerato credibile da molti cittadini che si chiusero nelle case spaventati o cercarono di fuggire chissà dove.
Oggi, ancora più di prima, il punto centrale è l’autorevolezza, la reputazione di chi comunica: i media tradizionali, per vari motivi, sono percepiti come meno credibili rispetto al passato; in televisione conta più farsi notare che saper parlare; nel settore editoria si afferma una divulgazione esageratamente semplificata.
In molti campi inoltre, soprattutto sui social, c’è stata una sorta d’involuzione del linguaggio, con la conseguenza che tutti (s)parlano di tutto, spesso senza nemmeno le minime informazioni di base.
Siamo partiti sostenendo (giustamente) che la gente deve potersi esprimere e siamo arrivati al punto che tutte le opinioni hanno lo stesso valore.
La politica fa la sua parte con una presenza massiccia sulla rete e l’uso ostentato di un linguaggio (anche corporeo) spigliato e diretto, che “piace” a parte della popolazione e però tradisce la complessità delle questioni affrontate.
Il linguaggio della Politica è quello del potere, della persuasione, della competizione ed è prevalentemente involuto sia nel lessico – infarcito di parole basse, offensive, volgari – che nella sintassi, fatta prevalentemente di costrutti semplificati, disordinati spesso sconnessi.
Lo psicologo Robert Cialdini, nel suo “Le armi della persuasione”, sostiene che chiunque dovrebbe divenire esperto di persuasione, quantomeno per “difendersi” dall’involuzione del linguaggio e non subire gli eventi.
L’uso intensivo dei social, inoltre, ha favorito l’affermarsi di atteggiamenti manichei, che non aiutano nella risoluzione dei problemi e anzi tendono ad aggravarli.
In rete si commenta a ‘botta calda’, senza ragionare e verificare, ci si divide tra amici e nemici, si ostentano certezze sulla propria opinione e mancanza di riguardo verso le opinioni altrui, quando non insulti o addirittura minacce: è sempre più difficile quindi discernere tra punti di vista fondati o meno, come s’è visto nella querelle sull’utilizzo dei vaccini.
Siamo sempre più vicini a quella condizione definita dagli studiosi del linguaggio PostTruth (post verità) in cui più che i fatti contano le emozioni, gli appelli personali (che si firmano senza leggere), gli “schieramenti” ideologici, i pregiudizi, i “like”.
Non solo. Sulla rete, sempre più frequentemente, si parla degli altri invece che con gli altri e si è affermata la brutta abitudine di fare “incursioni” nei profili e spiare le vite altrui: un’invasione di campo che prelude, non di rado, ad altri problemi come il cyber bullismo.
In questa situazione occorre porre molta attenzione alla nostra reputazione on line, che è la somma di quanto gli altri dicono di noi, delle nostre attività dei nostri prodotti. Un tema attuale al quale abbiamo dedicato il numero che state leggendo.
Resta da vedere inoltre come cambierà nel tempo il nostro modo di rapportarci agli altri. E comunque rimane aperta la domanda: come migliorare la comunicazione in Rete?
Intanto è bene riaffermare con forza il valore del rispetto, primo requisito per un vero dialogo, come ci ricorda Abraham Maslow, padre della psicologia umanista.
Occorre ridare alla comunicazione una prospettiva più ampia, fondata sull’ascolto, il dialogo e, conseguentemente, l’uso responsabile del linguaggio.
Proporre una comunicazione che non si nasconda dietro l’anonimato e sappia invece ricercare, confrontare, costruire relazioni (che poi è, o dovrebbe essere, il principale scopo della Comunicazione).
Inoltre, per non lasciare che la rete si trasformi sempre più in un campo di battaglia di opposte fazioni e di fake-news, utilizzate, in buona o cattiva fede per riaffermare la propia visione del mondo, è essenziale l’impegno delle grandi Internet Company (Google, Apple, Facebook, Amazon).
Due settimane fa il filosofo Bernard Henri Lévy, invitato a un convegno di riflessione organizzato da Google Europe, ha formulato una “modesta” proposta: creare un “Olimpo della vergogna” che, con la collaborazione dei maggiori giornali del Mondo e di chi usa il web, smascheri le false notizie almeno quelle più pericolose.
Dal filosofo è arrivata anche una seconda proposta: creare – due secoli e mezzo dopo Diderot – un’enciclopedia autorevole e riconosciuta che sia “l’opposto di Wikipedia e del suo brodo di scarsa cultura”.
“Chi, se non una delle grandi imprese di Internet – chiede Levy – ha il potere potenziale di riunire studiosi di tutto il Mondo e tutte le discipline e farli collaborare a un modello attuale di conoscenza?”
Intanto, in attesa di una nuova presa di coscienza e di una inversione di rotta, potrebbero essere utili nuove e chiare norme per il web; non roboanti ma semplicemente di buon senso: norme che riportino il web ad essere strumento di comunicazione accessibile e utile a tutti.

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DAL MERCATO

AZIENDE E REPUTAZIONE: LA NUOVA CLASSIFICA DEL REPUTATION INSTITUTE
Ritorna l’appuntamento fisso con il Global RepTrak100, la classifica delle aziende che godono della migliore reputazione nel mondo. L’edizione 2019 vede la conferma di Rolex in testa alla classifica, seguita da Lego, anch'essa stabile al secondo posto, mentre la Disney guadagna due posizioni rispetto al 2018. Ma non è l'unica azienda con la reputazione in crescita: al quarto e quinto posto si collocano Adidas (+3 posizioni) e Microsoft (+5). Completano la top ten Sony (stabile rispetto al 2018), Canon (che perde 3 posizioni), Michelin (+3), Netflix (che guadagna ben 15 posizioni in soli 12 mesi) e Bosch (-2). A livello italiano, Ferrero si conferma come la migliore azienda italiana per la reputazione; in classifica anche Pirelli, Armani, Barilla e Lavazza.
Fonte: https://www.reputationinstitute.com/research/global-reptrak-2019-data-and-insights

DIGITALE È REALE
Nei primi mesi del 2019 nel Nord Italia sono stati organizzati due momenti importanti dedicati al digitale: a febbraio si è svolta la prima edizione dei Torino Digital Days mentre a Milano a metà marzo si svolgerà la Digital Week, nella sua seconda edizione. Digital is real è stato il tema centrale dell'esordio torinese: quattro giorni in cui aziende, cittadini e istituzioni si sono confrontati sulla presenza ormai pervasiva del digitale nella vita di tutti i giorni, mettendo in luce come utilizzare al meglio l'impatto di questo fenomeno nei settori più svariati, dalla ristorazione all'intrattenimento fino alla moda, al design, allo sport, ecc.
A Milano, il tema della manifestazione è invece l'intelligenza urbana, termine con cui si intende sia la molteplicità delle tecnologie sempre più presenti nella quotidianità dei cittadini che il loro coinvolgimento diretto, promosso attraverso una call for paper conclusa a gennaio.
Fonti: https://2019.digitaldays.it/
https://www.milanodigitalweek.com/

TORNA IL FESTIVAL DEL GIORNALISMO
Anche quest’anno a Perugia si terrà il Festival Internazionale del Giornalismo, dal 3 al 7 aprile.
L’edizione sarà organizzata grazie anche alla cospicua donazione del filantropo americano Craig Newmark e agli sponsor di aziende private, oltre che alla partnership istituzionale della Regione Umbria. In cinque giorni si svolgeranno circa 300 eventi con più di 600 relatori. Temi dominanti saranno la disinformazione, la verifica dei fatti, il ruolo della tecnologia, l'intelligenza artificiale, gli attacchi cyber, i cambiamenti climatici, le crisi umanitarie e le migrazioni, il data journalism ed i modelli di business. I 128 volontari, che contribuiranno attivamente alla realizzazione della manifestazione, arriveranno da 19 Paesi di tutto il mondo.
Fonte: https://www.festivaldelgiornalismo.com/

I MUSEI ITALIANI GODONO DI UNA BUONA REPUTAZIONE
La Direzione Generale Musei ha commissionato al Politecnico di Milano un’indagine sulla reputazione online dei musei italiani. Per farlo, sono stati analizzati gli account social di 100 musei italiani, oltre alle recensioni presenti nei principali portali dedicati, nel periodo tra agosto e dicembre 2018. Ciò che emerge è una reputazione decisamente alta per i musei italiani (4,5, dove 5 è il massimo). Facebook si conferma il social più utilizzato, mentre Instagram è quello che riesce a generare una maggiore interazione con i follower. Nei principali social l'hastag ufficiale della campagna #museitaliani è il più utilizzato dagli utenti.
Rispetto alla provenienza degli utenti stranieri, la maggior parte risulta venire dal Regno Unito.
Fonte: http://musei.beniculturali.it/notizie/notifiche/report-2018-sulla-reputazione-online-dei-musei

INDICE DI CORRUZIONE: IL NUOVO RAPPORTO DI TRASPARENCY INTERNATIONAL
Nel gennaio scorso sono stati presentati da Trasparency International i dati emersi rispetto all'Indice di percezione della corruzione riferito al 2018. Giunto alla sua 24esima edizione, il rapporto esamina 180 paesi; l’indice è basato su 13 sondaggi e valutazioni di esperti sulla corruzione nel settore pubblico. L’indice assegna un punteggio da 0 a 100, dove il punteggio massimo rappresenta un massimo grado di assenza di corruzione. L’Italia si colloca al 53° posto (totalizzando 52 punti su 100), riconfermando la crescita, seppur lenta, della reputazione dell’Italia nel ranking mondiale, ma anche europeo rispetto al passato. Sul sito di Trasparency International è possibile consultare le classifiche degli anni passati.
Fonte: https://www.transparency.it/indice-percezione-corruzione/

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SPECIALE WEB REPUTATION - "Cyberbullismo e web reputation: le risposte concrete ed efficaci" - Paolo Castiglia

foto di gruppo

Nessuna demonizzazione, ma una forte attenzione fondata su un’approfondita conoscenza. È questo l’atteggiamento da assumere rispetto alla sempre più complessa galassia dei social media e del web, che nasconde insidie, quali gli attacchi alla reputazione, il cyberbullismo o la violenza di genere, ma che rappresenta anche ormai irrinunciabili opportunità di apprendimento, di approfondimento e di socializzazione che non possono essere ignorate.

È questa la risposta corretta, quindi, secondo quanto emerso dal convegno Cyberbullismo e Web Reputation: Regole di comportamento sociale e strumenti di prevenzione. Profili giuridici, educativi e sociali, organizzato dalla Fondazione HforHUMAN e dalla società Siro Consulting, il 18 febbraio a Roncade (TV).
L’argomento affrontato presenta un forte tasso di complessità e un altissimo livello di innovazione continua nelle modalità di utilizzo e nella strumentazione tecnica a disposizione, che richiede un’attenzione di fatto quotidiana.
Che è la stessa attenzione prestata senza soste dai qualificati relatori partecipanti all’incontro, nel corso del quale è stato presentato – ad una folta e partecipativa platea di studenti, genitori e professionisti del settore – un format innovativo, multidisciplinare e trasversale, in grado di arrivare ad un uso positivo della tecnologia e alla prevenzione degli incidenti reputazionali online.
Il tutto si è tenuto nella bellissima realtà di H-FARM, la più importante piattaforma di innovazione in Italia.

Entrando nel dettaglio, come hanno spiegato unitariamente i relatori, «il contesto digitale attuale ha modificato il concetto di web reputation rendendola una tematica da tenere in considerazione anche se non si è presente sui social media».
In particolare Francesco Gambato Spisani, Consigliere di Stato nella Sesta Sezione Giurisdizionale, che ha aperto i lavori della serata, ha spiegato che «dal 2017 c’è una legge in materia, non è perfetta, ma è un punto di partenza; per progredire, occorrerebbe mediare, anche con norme apposite, fra il ruolo del docente come pubblico ufficiale, che gli impone di denunciare senz’altro determinati fatti all’Autorità giudiziaria, e il ruolo del docente come educatore, cui dovrebbero corrispondere maggiori margini per una mediazione e una conciliazione».

«Che si tratti di persone o di organizzazioni», ha spiegato a sua volta Isabella Corradini, psicologa sociale, Presidente di Themis e Direttore scientifico di ReputationToday, «il contesto digitale ha profondamente cambiato le modalità con cui la reputazione si costruisce. Così, colpire la reputazione di una persona in rete diventa una strategia utilizzata nel cyber bullismo».

Per Simona Petrozzi, Web ReputationSpecialist e titolare di SIRO - Consulting Social Intelligence & Reputation Online, altro principale organizzatore dell’evento, «l’impegno messo nel campo della web reputation intende dimostrare che solo la cura dell’importanza della propria reputazione online e del dato personale sul web rappresentano la base di una media education efficace».

Per Caterina Flick, penalista specializzata in diritto dell’informatica e privacy, Coordinatrice della commissione Web e Media istituita dalla FIFCJ – Fédération Internationale des Femmes des Carrières Juridiques, consulente giuridico dell’AgID e docente presso UTIU, Università Internazionale Telematica Uninettuno, «dal confronto con gli studenti e con i genitori emerge come sia importante conoscere i media e le tecnologie digitali, e le conseguenze, anche legali, di un uso sbagliato. Da qui l’importanza di una visione sistemica».

Il Cyberbullismo, ha poi sottolineato Raffaele Focaroli, Pedagogista e Giudice onorario del Tribunale dei minorenni di Roma, «è l’immagine riflessa di una società i cui attori sono, involontariamente, coinvolti e, spesso, schiavizzati dal progresso informatico. In tal senso, al fine di porre rimedio alle inevitabili conseguenze di queste nuove abitudini, è fondamentale pensare ad un intervento educativo che coinvolga giovani ed adulti nell’ottica di una maggiore responsabilizzazione all’utilizzo della tecnologia».

Gli onori di casa sono stati fatti da Mauro Bordignon, preside di H-International School, la scuola internazionale di H-FARM: «Per noi si è trattato di un’occasione importante per affrontare il tema della consapevolezza sull’utilizzo degli strumenti digitali, su cui molto facciamo quotidianamente in classe con i nostri studenti, e un momento di confronto e di riflessione su come il contesto sociale dei ragazzi sia in continuo cambiamento».

«La scuola – ha concluso Bordignon – è un luogo di relazioni, sia positive che negative, delle quali deve prendersi carico. È quindi nostro compito lavorare con i bambini e ragazzi per portarli a confrontarsi, favorendo la crescita sia di chi ha comportamenti negativi, sia di chi si trova a subirli».

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SPECIALE WEB REPUTATION - "Web reputation: il paese non è piccolo e la gente urla"- Isabella Corradini

un gruppo di ragazzi di talento con diverse competenze 1343 385

Il concetto di reputazione, in particolare quello di web reputation, è sempre più centrale per le persone e le organizzazioni, alla luce di un contesto pervaso da tecnologie digitali permeanti e pervasive, capaci di rappresentarci in molteplici modi. Innanzitutto vale la pena di ricordare che la reputazione implica fiducia, credibilità, rinviando alla considerazione maturata all’interno di una comunità verso qualcuno o verso un brand, un’organizzazione. Quando ci si rivolge alle imprese, si preferisce parlare di reputazione aziendale “corporate reputation”, un costrutto multidimensionale nel quale la percezione degli stakeholder interni ed esterni ne costituisce una dimensione fondamentale.

Cosa accade nel contesto digitale? Accade che cambia il modo con cui la reputazione si costruisce. La rete, infatti, costituisce una formidabile ed immediata sorgente di informazioni in grado di influenzare le impressioni che ci si forma su qualcuno. Vogliamo sapere chi è e cosa fa? Interroghiamo la rete. Inoltre, se è vero che la rete di relazioni gioca un ruolo fondamentale nel processo di formazione della reputazione, non si può negare che il flusso delle relazioni è ormai sempre più mediato dai canali tecnologici. I social media ed il Web in generale favoriscono sempre più l’esposizione delle identità, personali e sociali, modificandone la portata in termini di visibilità. Un conto, infatti, è confrontarsi o essere oggetto di discussione all’interno di un gruppo di persone che si incontrano – ad esempio – in un bar o in altro luogo fisico, altro è relazionarsi nel web. In questo caso infatti può accadere che parole e frasi veicolate dai social network diventino in poche ore note a migliaia e talvolta milioni di individui. Con effetti talvolta anche tragici, quando colpire la reputazione diventa una vera e propria strategia adottata per colpire qualcuno.

Ne sono testimonianza i casi di cyberbullismo e di cyberstalking, dove si tenta di discreditare la vittima agli occhi degli altri attraverso dicerie e notizie false, alle quali la stessa spesso non riesce a reagire perché viene a trovarsi in una situazione di inferiorità rispetto al bullo/stalker. Così, in un rapporto di forza tra molestatore e vittima, quest’ultima spesso soccombe alle prevaricazioni e alle maldicenze, con effetti devastanti sul proprio senso di autostima, sentendosi inadeguata ed incapace di reagire.

Ora, pettegolezzi e maldicenze sono sempre esistiti. Ma se vengono diffusi utilizzando uno straordinario strumento di diffusione come la Rete, allora sì che ci sono differenze sostanziali. Prima di tutto perché se in una conversazione face to face puoi provare a gestirli, questo diventa praticamente impossibile nel mondo digitale. Quello che si scrive sui social media, infatti, viene rilanciato e condiviso da altri, diventando virale. Cosicché risulta difficile trovare il cosiddetto bandolo della matassa, dal momento che le informazioni più girano più si arricchiscono di dettagli che ne favoriscono la distorsione, aumentandone al contempo l’attrattività. Inoltre, proprio per le caratteristiche della rete, quello che si scrive rimane comunque disponibile online. La permanenza di queste notizie on line non può essere ignorata ai fini degli effetti di coloro che ne sono vittima.
Ma perché le persone sono attratte dalle maldicenze?
Premesso che il contenuto del pettegolezzo può essere anche positivo, è evidente che le persone sono molto più affascinate dai contenuti negativi. Tra le motivazioni il bisogno psicologico di sentirsi al sicuro, condividendo il fatto che si sta parlando di qualcun altro, ma anche conformarsi al gruppo per sentirsi accettati.
In linea generale, comunque, si tende a ricordare molto di più i comportamenti negativi rispetto a quelli positivi, dal momento che essi non si verificano (o comunque ci si aspetta che non si verifichino) frequentemente. In questo modo si attira l’attenzione, stimolando la ricerca di spiegazioni.

Purtroppo però i processi di “etichettamento” possono diventare molto pericolosi. Si pensi, ad esempio, a quei delitti efferati così morbosamente attraenti da fare audience in tv, ma anche capaci di produrre colpevoli ad ogni costo, proprio perchè al tradizionale processo nelle sedi competenti, va a sovrapporsi quello mediatico e salottiero. In aggiunta, l’esposizione ai commenti del pubblico non resta confinato nello spazio temporale del dibattito televisivo. Tweet e post ne accompagnano la sua trasmissione, senza contare che può essere replicato on line e, quindi, essere visto anche da un pubblico più vasto un numero infinito di volte.

Ovviamente i canali digitali hanno la loro importanza, ma in fin dei conti sono le persone ad usarli, non sempre consapevoli delle conseguenze che ne derivano. Considerato il ruolo assunto nel contesto odierno dalle tecnologie digitali, è prioritario attivare percorsi educativi finalizzati al loro uso responsabile. Gli effetti prodotti dall’uso di questi strumenti, infatti, vanno ben oltre la percezione delle persone. Per questo è importante superare la dicotomia virtuale-reale quando si parla di rete. Le azioni non sono mai virtuali: postare notizie, twittarle, condividerle, implica agire fisicamente ma anche decidere di farlo. Ecco perché reale e virtuale, pur sembrando così lontani, sono sempre più vicini.

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SPECIALE WEB REPUTATION - "Web reputation: conoscerla, difenderla" - Caterina Flick

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La reputazione ha a che fare con la percezione che, all’interno di un gruppo sociale, gli “altri” hanno di una persona, di un ente, di un’azienda. La reputazione può essere buona o cattiva e più o meno diffusa in base alla notorietà dell’interessato. Dal punto di vista economico la reputazione è un asset intangibile, che può costituire, se buona, un vantaggio competitivo, se negativa un danno.

Nell’era del web il gruppo sociale con cui ci si confronta è molto ampio e gli altri giocano facilmente un ruolo determinante nella creazione e nella diffusione della reputazione. Il web stesso è una cassa di risonanza che dà enfasi alla reputazione e diffonde allo stesso modo informazioni buone o cattive.

La facilità di essere conosciuti sul web, e la difficoltà di essere dimenticati, sono favorite proprio dalle sue peculiarità: il persistere delle informazioni in rete senza limiti di tempo e di spazio e la loro facile accessibilità, grazie ai motori di ricerca che le indicizzano (e le presentano al pubblico), con criteri che prescindono dalla qualità e dalla “collocazione” delle informazioni nel tempo, ma che sono connessi ad algoritmi il cui funzionamento è del tutto sconosciuto.

La potenza informativa del web rappresenta anche il suo grande limite: la possibilità di pubblicare contenuti che affermano tutto e il suo contrario, anche senza assumersene la responsabilità, e le modalità di indicizzazione, creano un “rumore di fondo” per cui la reputazione di un soggetto può essere determinata più dai “like”, che da contenuti attendibili. A ciò si aggiunge il fatto che il web e la tecnologia dell’informazione e della comunicazione permette, attraverso il monitoraggio e l’analisi dei contenuti e dei like, di costruire e alimentare campagne lesive, per scopi politici, commerciali, ideologici … Infine, la costruzione a tavolino (o meglio al computer) della reputazione negativa di qualcuno trova una utile sponda nella malevolenza che facilmente si scatena in rete, con un ulteriore effetto moltiplicatore e le relative conseguenze.

La sintesi di tutto questo è che un fatto o un contenuto lesivi della reputazione – che determinano una crisi reputazionale – non possano essere ignorati: essi non spariranno da soli.
Anche le parole chiave della tutela della reputazione sono tante, non tutte e non sempre adeguate all’interessato e alla situazione. Nell’immaginario comune il diritto all’oblio è la pretesa apparentemente più diffusa. In realtà si può intervenire invocando la diffamazione, la concorrenza sleale, la contraffazione, l’imprecisione dei dati, la lesione del diritto d’autore, l’istigazione all’odio...

Che fare, dunque? Le peculiarità del web si riflettono anche sul modo di intervenire a tutela della reputazione. Qualunque intervento, a partire dall’analisi del caso e fino alla conclusione della crisi, deve essere valutato da più punti di vista, da un team multidisciplinare in grado di esplorare sino in fondo la natura della crisi, le sue conseguenze (attuali o potenziali), e gli interventi possibili.

In una prima fase è necessario valutare chi è l’interessato: persone fisiche (privati o pubblici), amministrazioni, società (con rilevanza nazionale o internazionale) hanno esigenze diverse e i loro diritti sono diversi. Dunque non a tutti è possibile applicare le stesse regole.In una seconda fase è necessario fare la diagnosi del caso; esaminare cosa è accaduto e in cosa consiste la criticità. Ciò permette di inquadrare la vicenda in categorie giuridiche esistenti e individuare le forme di tutela, non solo legale, che è possibile attivare.

Nella terza fase si decide il punto di attacco, le azioni da fare e la loro sequenza. La scelta dipende dalla situazione di fatto da cui si parte, ma anche dall’obiettivo che si intende perseguire, tenendo conto che una risoluzione rapida del problema non sempre è compatibile con azioni giudiziali, ad esempio dirette al risarcimento dei danni subiti. Nel caso in cui si ritenga agire legalmente sarà anche necessario individuare l’interlocutore giusto.

Infine si agisce, monitorando l’andamento della reputazione sul web e facendo sì che i risultati raggiunti siano persistenti nel tempo.

In conclusione, conoscere la propria reputazione sul web e prendersene cura, sono i primi strumenti per difenderla. Ma, se necessario, non esitare a intervenire affidandosi agli esperti.

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SPECIALE WEB REPUTATION - "Riabilitare la Reputazione digitale" - Simona Petrozzi

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“Ci vogliono venti anni per costruire una reputazione e cinque minuti per rovinarla”. La celebre frase di Warren Buffet ormai divenuta d’uso comune è ripresa nel film Modalità Aereo di Fausto Brizzi, un film apparentemente leggero che offre invece molti spunti di riflessione.
L’opera di Brizzi, che si è trovato recentemente al centro di un intenso dibattito mediatico, ribadisce l’importanza di tutelare i nostri dati personali sul web (e sui nostri dispositivi digitali) e di tutelare quotidianamente la nostra reputazione on-line, che si basa molto sulla consapevolezza e sul corretto uso del social.

Il tema della Reputazione precede l’avvento del web ma è quest’ultimo che l’ha fatto diventare sempre più influente nella vita delle persone.
La perdita di reputazione può essere repentina e diventare un’esperienza devastante per l’individuo, perché rende le sue parole, i suoi gesti e le sue azioni ininfluenti e non più di valore, arrivando a degradare inesorabilmente la proiezione della propria immagine.
«Non siamo ciò che diciamo, siamo il credito che ci danno» diceva José Saramago. Un discorso che vale anche quando parliamo di brand e aziende.
Charles Fombrun di Reputation Institute ci ricorda che esistono differenti livelli d’interpretazione della reputazione di un brand.
A livello contabile intendiamo un «asset intangibile misurabile che stabilisce la differenza tra il valore delle risorse tangibili dell’impresa (certificate nei bilanci) e il valore effettivo di mercato».
In termini economici per reputazione s’intende «l’insieme di tutti quei segnali, percepiti dagli stakeholder, che le organizzazioni utilizzano per costruire un vantaggio competitivo e comunicare, così, la propria forza».
Da un punto di vista sociologico si tratta di «un indicatore di legittimità, un insieme di valutazioni della performance d’impresa, sulle attese e alle norme della società, in un ambiente sociale condiviso».

È palese quindi come la digital reputation sia tra gli aspetti fondamentali per brand e persone, e sia alla base del successo individuale e lavorativo.
Molte persone possono trovarsi con una reputazione digitale (e non solo) lesa da articoli e notizie negative sul proprio conto, notizie spesso non corrispondenti a verità o non aggiornate; al contempo, le stesse persone non sempre riescono a investire su una visibilità positiva in grado di mettere in luce le proprie peculiarità professionali e curriculari.
I motori di ricerca avvantaggiano le notizie negative, quando non vi è nient’altro da sovrapporre. Sul web una rappresentazione positiva è rara e al lettore è spesso preclusa una chiave di lettura “riabilitante”.

Una buona attività di web reputation può fornire una sorta di nuovo inizio, seppur virtuale. È mediante quest’attività che le persone acquisiscono la possibilità di trasmettere una verità alternativa alle notizie, spesso diffamanti e non verificate, che investono le persone.
È un lavoro che spazia dal ripristino del galateo in rete fino a un self branding strutturato e di successo, passando per le più attente e ricercate strategie SEO.
L’obiettivo è tirare fuori il meglio dalle persone, costruire un personal branding efficace, dove ognuno di noi diventa una risorsa, anche sul web.
A ciascuno è concesso di diventare un riferimento positivo e credibile online, sulla base della propria storia e delle proprie competenze e non sulla base di notizie “vaghe” e non verificate.

Il presupposto di base è che il confine tra le notizie vere o false sia molto labile, che spesso e volentieri si dà risalto alle notizie denigratorie, accantonando le possibili smentite, o relegandole in uno spazio scarsamente visibile.
Sempre più spesso assistiamo a indagati che, in attesa della magistratura, vengono immediatamente e pubblicamente crocefissi. Quando poi arriva l’assoluzione arriva, serafica, anche la regola dell’oblio.
Assistiamo altresì a un giornalismo che a volte non si affida a fonti autorevoli e opera con perniciosa superficialità.
Chi lavora sulla web reputation, dunque, cerca di ristabilire la verità ed “equilibrare” i giudizi nei confronti di persone e aziende, un processo lungo e complesso che può riportare alla luce – e quindi ridare lustro – alla vita d’individui già ‘etichettati’ dalla rete come colpevoli e sottoposti alla vergogna della diffusione incauta di notizie.

Una notizia non verificata, falsa o calunniosa diventa facilmente virale sul web e contribuisce a costruire un’immagine negativa e dequalificante nei confronti di un soggetto, che spesso subisce una gogna mediatica a 360°.
Quest’onta avrà ricadute pesanti e psicologicamente destabilizzanti nei confronti dell’immagine e della sua identità – non solo online – oltre che nella sua situazione lavorativa, familiare e sociale.
Le conseguenze psicologiche possono essere diverse: una caduta a picco dell’autostima, la depressione, il senso di fallimento e d’inutilità che andranno a lacerare emotivamente il soggetto coinvolto.
Pertanto va prevista un’attività di empowerment efficace affinché il soggetto leso possa riprendere fiducia in se stesso e partecipare proattivamente alla ricostruzione e riabilitazione della propria figura.

Una riabilitazione di successo è possibile in caso di lesa reputazione. Ciò non vuol dire cancellare il passato – che comunque fa parte della storia del soggetto – ma ripristinare una correttezza dell’informazione che lasci spazio a tutte le risorse positive che l’essere umano porta con sé.

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SPECIALE WEB REPUTATION - "Il mondo virtuale non è a costo zero" - Raffaele Focaroli

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Ogni innovazione comporta un cambiamento sociale. L’ingresso sul mercato di un nuovo farmaco, l’invenzione di uno strumento meccanico o, addirittura, un singolare e creativo modello di giacca, tutto, indistintamente, determina la revisione di una abitudine di vita. Si pensi, ad esempio, ai giovani, alle loro mode, ai loro nuovi gusti musicali, alle loro singolari tendenze creative espresse, per esempio, attraverso il disegno, alle nuove modalità linguistiche e di relazione.
Tutto è in costante trasformazione ed è proprio su tale caratteristica che si snoda l’evolversi della civiltà. Se riflettiamo sulla storia dell’uomo possiamo, certamente, cogliere alcuni passaggi cruciali che hanno fortemente inciso sulla nostra specie.

Quando fu inventata la scrittura l’uomo subì la netta scissione tra mente e corpo e se, fino a quel momento, tutto veniva vissuto attraverso il contatto, la manualità e, più in generale, con i mezzi sensoriali, improvvisamente subentrò una nuova dimensione comunicativa, più concettuale e raffinata.
Si definiva cosi, nella iniziale e piena “non coscienza” di quello che sarebbe diventato il principale strumento sociale dell’essere umano, un radicale cambiamento delle menti e del pensiero. L’avvento della scrittura diede allo spirito la possibilità di prendere forma e di rimanere impresso nella storia culturale dell’umanità.
L’uomo, cosi, si esercitava nella riflessione filosofica consapevole del fatto che il contenuto delle sue idee potesse essere tramandate di generazione in generazione e, magari, riattualizzato o ridefinito a seconda delle epoche, segnate dallo scorrere del tempo.

Oggi, dopo millenni, siamo di fronte ad un altro grande bivio, quello che ci porta, supportato dall’istinto, ad abbandonare la “frontalità” e cioè quel rapporto che intercorre tra “osservatore” ed “osservato”.
Cosi come avveniva con la scrittura attraverso la quale non era più necessario ascoltare in forma diretta il pensiero altrui oggi, con la stessa analogia, non è più necessario entrare in contatto con l’altro ma non solo in termini di pensiero ma anche, e soprattutto, dal punto di vista fisico.
Per assurdo abbandoniamo la comunicazione diretta “duale” o di gruppo per immergerci in quella virtuale, meno impegnativa, del tutto distaccata ma, paradossalmente, più ramificata nei milioni dei contatti simultanei.
Entriamo volentieri nel mondo delle chat, interagiamo con gli sconosciuti che, improvvisamente, diventano entità familiari alle quali raccontiamo la nostra vita, i nostri vizi, i nostri problemi ma anche le nostre aspirazioni.
Inizia, così, quell’eccitante ma pericoloso parallelismo comunicativo in cui il “senso fisico”, fatto di presenza materiale, si confonde con il gioco, con la tastiera, con le parole che scorrono sullo schermo, alle quali si da poca importanza e che, invece, producono i medesimi effetti di uno schiaffo sul viso, della classica violenza o di una normale quanto inutile offesa.
È qui che nasce il problema della nostra epoca informatica dettato dalla scarsa consapevolezza che il danno provocato da una tastiera, seppur nel pieno del distacco fisico, è lo stesso, se non peggiore, di quello che, normalmente, è determinato da una discussione “reale” tra individui altrettanto “reali”.

Di fatto parliamo di due facce di una stessa medaglia, in cui reale e virtuale si configurano come “due dimensioni lontane ma coincidenti”.
Platone nel “Timeo”, circa duemilatrecento anni fa, si riferiva al fuoco, all’aria, all’acqua e alla terra: elementi naturali da cui trae origine ogni sostanza di cui è composta la materia. Oggi potremmo, forse, con azzardo, parlare della stessa materia di cui fa uso la realtà virtuale, una infinità di “minuscoli triangoli” che se uniti tra loro potrebbero riprodurre qualsiasi “mondo possibile”.
Platone, di fatto, superava la materialità dei sensi per individuare una strada diversa, ma altrettanto valida, in cui l’alternativa fosse il metodo di ragionamento e non il ragionamento stesso. Se traslato ai giorni nostri questo approccio filosofico diventa facilmente applicabile al linguaggio informatico: infatti non cambia la sostanza o il contenuto di un argomento ma come tale argomento venga trattato e con quale metodo.

Ma allora cosa rappresenta “realmente”il virtuale? Iniziamo subito con il dire che non è uno spazio nuovo o inedito in cui la realtà rimane fuori dalla porta della classica “cameretta” adolescenziale.
Non è un luogo sospeso e anonimo dove ci si può concedere il lusso di “vivere con le proprie fantasie senza alcuna conseguenza”.
Non è il luogo dalle infinite possibilità a “costo zero”. Il virtuale è, invece, in netta ed inequivocabile, oggettiva e tangibile continuità con il reale. Da pedagogista il mio riferimento al gioco appare piuttosto naturale.

Nel 1907 Freud, probabilmente ragionando più da educatore che da psicoanalista, scriveva un bellissimo saggio dal titolo “Il poeta e la fantasia”. Nell’opera fa riferimento all’importanza che il gioco ha nei bambini. Quando vediamo un bambino giocare è facilmente intuibile la sua serietà in quello che sta facendo.
In quel momento il bambino non finge ed attribuisce alla sua azione un valore assoluto ed esclusivo. Per questo motivo, secondo Freud, il contrario del gioco non è la serietà ma la realtà.
In effetti il bambino è consapevole della linea di confine che esiste tra gioco e realtà ed utilizza il gioco per dare forma alla realtà stessa. Il gioco, quindi, è il mezzo attraverso il quale immaginazione e realtà si incontrano.

Il virtuale, proprio come il gioco, assume la caratteristica della serietà. Nel virtuale non si finge e non rappresenta un mondo fantastico, non è uno spazio immateriale.
Il virtuale rappresenta “una nuova modalità in cui si esprime la relazione tra gli esseri umani”. Il virtuale, quindi, contribuisce alla costruzione della realtà che produce, a sua volta, effetti sull’individuo.
Nel virtuale ci si può svincolare dalla “materialità del corpo”, sempre più anonimo e protetto dallo spazio vitale, ma non slegare dall’effetto delle azioni che in esso si compiono.

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CULTURA E SOCIETÀ - "Generazione Brainwashing" - Marco Mozzoni

crowd of people 1209630 1280“Quando una persona non si sente per nulla manipolata, vivendo quanto imposto da altri come la propria intima e autentica verità, siamo ben oltre la manipolazione: è lavaggio del cervello”. Così si esprime, in una battuta, Kathleen Taylor, neuroscienziata dell’Università di Oxford, in apertura di Brain Washing1, fortunato volume sulla “scienza del controllo del pensiero” con cui ha anticipato, con grande tempismo, le principali dinamiche dell’attuale stato di cose.

Ma non serve andare troppo lontano o attendere le analisi di chi ci succederà per avere chiavi di lettura altrettanto esplicative dell’oggi, perché la storia sembra ripetersi (e non è inutile ripeterlo, a quanto pare): con contenuti diversi, certo, ma replicando forme intrinseche note.

Già ai primi del Novecento, ad esempio, il nostro Camillo Berneri, a proposito dei cosiddetti “nemici del popolo”, sentenziava che questi sono in realtà «il politicante, il parolaio che esalta il proletariato per esserne la mosca cocchiera, che denuncia come controrivoluzionario chiunque non sia disposto a seguire la corrente popolare nei suoi errori e gli sviluppi tattici del giacobinismo»2.
Le tecniche di manipolazione, alla fine, sono sempre le stesse e sembrano funzionare in ogni ambito dell’esperienza umana, dalla politica alla pubblicità, dalle organizzazioni terroristiche alle sette, religiose o meno che siano. E cioè:

1. isolare le “vittime” dai precedenti contesti di riferimento;
2. controllare le loro percezioni, pensieri e azioni;
3. seminare incertezza sulle precedenti convinzioni;
4. instillare il nuovo credo attraverso la ripetizione;
5. utilizzare le emozioni per indebolire le vecchie certezze rinforzando le nuove.

In altre parole, sfruttare le debolezze umane a proprio tornaconto, specialmente in periodi di grande confusione e instabilità, come quello attuale e dosando astutamente il grado di coercizione. Non serve la tortura, quando si può ottenere lo stesso risultato con metodi meno grossolani. Per rinfrescarci ancora un po’ la memoria, guardiamo quanto erano raffinate le tecniche asiatiche di “rieducazione”, nel resoconto del 1961 dello psichiatra americano Robert Jay Lifton3:
1. controllo delle comunicazioni individuali col mondo esterno;
2. manipolazione mistica capace di evocare schemi di comportamento che sembrino spontanei;
3. richiesta di purezza, per prevenire la contaminazione del gruppo da parte del mondo esterno;
4. culto della confessione;
5. culto della scienza sacra, con dogmi alla base dell’ideologia indiscutibili e “scientificamete esatti”;
6. compressione di linguaggio e idee complesse in frasi brevi a effetto (clichés) che “troncano il pensiero”;
7. primato della dottrina sulla persona, per la quale “il dogma è più vero e reale di qualsiasi esperienza individuale”;
8. arrogarsi il diritto di controllare vita e destino, sia dei membri che dei non membri.

Quando ti senti “membro” fai parte di un “culto”, spiega la Taylor, indicando le dinamiche caratteristiche di queste organizzazioni, tendenti nella maggior parte dei casi all’autodistruzione: ribellione all’autorità costituita; sviluppo di paranoia nella fase di istituzionalizzazione del movimento; pensiero utopico e dualistico “bene/male, buono/ cattivo, salvo/dannato” e chi più ne ha più ne metta.

I leader carismatici, spesso sofferenti di disturbi mentali, con un passato di povertà e disagio alle spalle, presentano generalmente se stessi come dei perseguitati, mentre i seguaci li divinizzano, considerandoli “mandati per cambiare le cose da una superiore autorità”, un tempo da Dio o dal Fato, oggi dalle “forze della storia”.
Qualcuno si è chiesto se e in che caso, al netto delle associazioni negative, la manipolazione possa essere una forma legittima di persuasione. In Discorso e manipolazione il ricercatore Teun A. Van Dijk dell’Università di Barcellona, cerca di definire i confini tra le due “arti”: nella persuasione gli interlocutori sono liberi di credere o agire a loro discrezione, in funzione di quello che accettano o meno, degli argomenti proposti, mentre nella manipolazione si ritrovano in un ruolo puramente passivo: «Ciò avviene, tipicamente, non soltanto quando i destinatari non comprendono le reali intenzioni del persuasore, ma anche quando non sono in grado di valutare adeguatamente tutte le conseguenze delle convinzioni e delle azioni indotte dallo stesso soggetto, che in questi casi abusa del proprio potere»4.

Quali sono i modi più efficaci di abusare degli altri usando soltanto la parola?
In questo ci aiutano – come sempre – le neuroscienze, rivelandoci, tra le altre mille cose, come funzionano i processi cognitivi umani. La manipolazione linguistica parte dallo sfruttamento delle strategie semiautomatiche di ricezione del messaggio, gestite in prima battuta dalle memorie di lavoro e a breve termine, dove avvengono supposizioni veloci più che analisi complete e approfondite del discorso.
Il bravo manipolatore saprà allora alternare il proprio modo di parlare in funzione di quello che da un lato vuole far comprendere (con ritmo lento, pronuncia distinta, sintassi semplificata, termini alla portata di chiunque), dall’altro di quello che invece vuol nascondere per bene (con ritmo veloce, sentenze complesse, termini astrusi).

Se la manipolazione linguistica vuole avere effetti duraturi, farà leva poi sulle dinamiche della memoria a lungo termine e cioè sulle conoscenze, le attitudini, le ideologie, lavorando sui modelli mentali che strutturano le nostre esperienze e le nostre storie.

Comprendere, infatti, non vuol dire associare semplicemente significati a parole, sentenze o discorsi, ma costruire nella memoria episodica modelli mentali, che includono le personali opinioni e le emozioni associate all’evento, a loro volta radici pulsanti delle future memorie, dell’apprendimento in corso, delle attitudini e delle ideologie che un giorno sentiremo nostre.
Non serve essere scienziati per manipolare le masse usando le paure del momento a proprio vantaggio. Da tempo psicologi e linguisti sgomitano per individuare gli elementi ricorrenti nel linguaggio dei venditori di fumo, facendone prontuari ancora oggi in voga.
Eufemismi, ambiguità, generalizzazioni, populismi, doppi sensi, distorsioni, cancellazioni di pezzi di informazione, allusioni a sfondo sessista, fattualizzazioni di opinioni, uso del “noi”, “orwellismi” sono tutti ingredienti buoni per cucinare la stessa ricetta.
In certo modo anche il povero Erickson è stato rivoltato come un calzino e smerciato su instant book a grande tiratura, per incrementare le vendite di rappresentanti sempre più aggressivi e affabulatori di folle.

L’ungherese Peter Furko5 ha studiato i “marcatori pragmatici” del linguaggio manipolativo, una classe funzionale di elementi linguistici che non cambiano il senso della frase ma risultano essenziali nell’organizzazione del discorso, marcando appunto le attitudini del parlante alla proposizione espressa e facilitando così i processi di inferenza.
In altre parole, ci sono termini che segnalano il grado di confidenza, forte o debole, positiva o negativa, che chi parla ha nei confronti del messaggio, o che possono indicare la sua attitudine nei confronti della validità di certe informazioni.
Qualche esempio per capirci meglio: “certamente, davvero, voglio dire, sicuramente, lo sai” (lo “you know” inglese, che va come il prezzemolo), fanno tutti parte di questi oggetti simbolici il cui uso può essere strategico, in una conversazione orientata.

Come fare, allora, per non lasciarsi incantare dal pifferaio di turno?

La Taylor consiglia pensiero critico e tanto sano scetticismo, nei confronti di qualsiasi messaggio e con chiunque cerchi a tutti i costi di farcelo passare, anche nel contesto educativo. In realtà non è così facile, perché dovremmo dubitare di tutto ciò che ci circonda, virtuale o in carne e ossa che sia, anche di ciò che è così diffuso che nemmeno più abbiamo sentore di notare.

Come nei fast food, ad esempio. Due ricercatrici dell’Università dell’Ucraina6 hanno indagato l’efficacia manipolativa di certi slogan che ormai diamo per scontati. Ecco rispuntare i quantificatori universali tanto cari al buon vecchio Grinder, tra i fondatori della Pnl: “tutti, sempre, di solito, mai”, che danno l’impressione che nessuna eccezione sia possibile: “Always fresh. Never frozen. Famous Burgers and Fries” dice l’insegna di una nota catena.
Oppure le onnipresenti cancellazioni comparative, che comparano sì, ma con cosa non è dato sapersi: “Bigger, Better” recita lo slogan. E ancora, gli operatori modali di necessità “devo, dovrei” che danno l’idea di non poter rifiutare l’offerta, come nel caso di “The Way A Sandwich Should Be”. Ma chi l’ha detto? Su quali basi lo affermi? Per non parlare delle gloriose presupposizioni, come “Just like you like it”! Ma come fai a sapere come mi piace l’hamburger, se non mi conosci nemmeno?
Eppure, sembra ogni volta funzionare, se ogni volta la cassa si riempie...

E domani? È un altro giorno, si vedrà. 

Note
1. Kathleen Taylor, “Brain Washing. The science of thought control”, Oxford University Press, first published 2004, second edition 2017
2. Camillo Berneri, “Umanesimo e Anarchismo”, Roma, Edizioni E/O, 1996
3. Robert Jay Lifton, “Thought Reform and the Psychology of Totalitarism”, Norton, 1961
4. Teun A. Van Dijk, “Discours and manipulation”, Discours & Society, Vol 17 (2): 359-383, 2006
5. Peter Furko, “Manipulative uses of pragmatic markers in political discourse”, Palgrave Communications, 20 June 2017
6. Nataliia Dobzhanska-Knight, Khrystyna Voitko, “Linguistic manipulative techniques in advertising slogan of fast-food restaurants”, East European Journal of Psycholinguistics, 4(2), 14–23, 2017

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L’INTERVISTA - "Resilienti all’estero" - Conversazione con Maddalena Di Santo dal Portogallo, a cura di Giuseppe de Paoli

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Da qualche anno il Portogallo è una delle destinazioni più gettonate dagli italiani, soprattutto dai pensionati, che scelgono di trasferirsi all’estero.
La nazione risulta attraente per le sue bellezze naturali, per il clima mite tutto l’anno, per il basso costo della vita, per la possibilità d’avere servizi e infrastrutture efficaci, per un’ assistenza sanitaria qualificata e, ultimamente, per le facilitazioni fiscali concesse dal governo a chi sceglie di vivere nella Patria del Fado.

Una situazione che Maddalena Di Santo, 36 anni, conosce bene. Lei vive nella splendida cittadina di Faro, in Algarve, la regione più a sud del Portogallo, da oltre 3 anni, da quando ha deciso di lasciare l’Italia dove vedeva poche prospettive, nonostante una laurea in Economia, un Master in Comunicazione e uno in Fundraing.
La sua scelta ha avuto motivazioni “istintive e razionali” che ci racconta in questa conversazione.
“La parte istintiva è, forse, la più semplice da spiegare. La prima volta che sono venuta a Faro è stato per lavoro e mi è successa una cosa molto strana, l’ho riconosciuta come casa, camminando per le strade mi sembrava di conoscerle, sentivo gli odori del posto e mi sembravano profumi noti, sentivo parlare una lingua straniera e invece di sentirmi spersa mi sentivo felice e, ancora più strano, sull’aereo che ogni 15 giorni dovevo prendere per tornare in Italia, mi scendeva una lacrima di nostalgia per il posto che stavo lasciando!
La scelta razionale è venuta poi per ragioni molto concrete ovvero, ho letto una possibilità di lavoro nel trasferimento in Portogallo di molti italiani. Ho capito che lavorando lì avrei avuto agevolazioni fiscali, che in Italia sarebbe impossibile avere: 10 anni di flat tax al 20% sull’utile prodotto, oltre a maggiori prospettive di lavoro. La decisione a quel punto è venuta da sola, certo ho dovuto metterci anche un bel po’ di coraggio, fare un bel respiro e saltare nel vuoto...”

In generale quali vantaggi offre il Paese ai cittadini italiani che vogliono trasferirsi lì?

“Bisogna distinguere tra i vantaggi fiscali per i pensionati e quelli per i lavoratori. Per quanto riguarda i pensionati con pensione derivante da lavoro privato, il Portogallo garantisce loro la totale esenzione fiscale per 10 anni, ovvero la possibilità di percepire e disporre dell’intero importo lordo della pensione completamente detassata.
Per tutte le categorie di lavoratori, considerate ad alto livello intellettivo o innovativo, la tassazione IRS (IRPEF) avrà un’aliquota fissa del 20% sul reddito prodotto in Portogallo, per un periodo di 10 anni. Rispetto ad un paese come l’Italia, dove la tassazione per entrambe le categorie è molto alta, il vantaggio fiscale è enorme.”

Cosa offre, in sintesi, il servizio “Trasferirsi in Portogallo”?

“Offriamo due tipi di servizi.
Il primo è rivolto ai pensionati; l’aspetto burocratico per ottenere l’esenzione della pensione in Portogallo non è affatto da prendere sotto gamba, non solo perché composto da molti passaggi, ma anche perché questi sono molto delicati e commettere errori vorrebbe dire vedersi bloccare le pratiche per molto tempo.
Offriamo assistenza a più livelli: per la ricerca di una casa, l’apertura di un conto in banca, l’Ottenimento del Certificato di residenza europeo, la dichiarazione di espatrio al Comune di appartenenza, l’Iscrizione al Portale della Finanza portoghese.
Ed ancora, e soprattutto, offriamo assistenza per l’ ottenimento dello Status di Residente non Abituale (RNH), per l’ottenimento della Residenza Fiscale portoghese, per la domanda e i documenti necessari per ricevere la pensione in Portogallo, in detassazione per 10 anni.
Il secondo pacchetto di servizi che offriamo è più recente ed è rivolto all’avviamento e allo sviluppo di attività commerciali, industriali e di servizi in Portogallo. In questo caso, insieme ad consulenti esperti, offriamo un servizio d’accompagnamento dalla stesura del business plan al piano di comunicazione e marketing.”

Quanto sono stati importanti i social media per la tua attività?

“Diciamo che sono stati fondamentali, la mia pagina Facebook è seguita da quasi 18.000 persone e ogni post che pubblico ha centinaia di likes, sinceramente a tutt’oggi mi fa ancora un po’ effetto. Comunque la cosa che ha creato davvero il volano per il mio lavoro è stato il passa parola.
Mi ricordo come se fosse ieri il primo cliente che ho seguito nel trasferimento. E ricordo la telefonata, che ho ricevuto circa 10 giorni dopo, da un suo amico che voleva fare il trasferimento con me perché consigliata per il mio modo di lavorare professionale; così poi è stato, uno dopo l’altro ho incontrato una lunga catena di persone e tutt’oggi è ancora così.
Questo fatto mi riempie di orgoglio e di felicità perché vuol dire che sto facendo bene il mio lavoro, che ho la stima e il rispetto dei miei clienti e questo non ha prezzo.”

Ci racconti del progetto “Casa Italia”?

“Casa Italia nasce nel 2016 dalla voglia di ritrovare un pò d’Italia anche qui e di raccontarla e farla conoscere al paese che ci ospita. Nasce per fare rete, per sostenersi gli uni con gli altri e per integrarci più facilmente con i portoghesi
Oggi come delegazione CASA ITALIA di Faro ci occupiamo di: divulgazione e insegnamento della Cultura Italiana con relativa certificazione PLIDA (Progetto Lingua Italiana Dante Alighieri); organizzazione di eventi socio-ricreativi, culturali; attività didattica; corsi di cucina italiana;servizi di traduzione;corsi di lingua portoghese.
Facciamo regolari riunioni, organizziamo corsi ed eventi vari e stiamo rapidamente crescendo e intessendo sempre più rapporti con il paese che ci ha accolti.”

Come ti senti ora dopo la tua scelta?

“Mi sento bene, felice, realizzata. Vivo in un paese che non mi salassa economicamente, che mi da spazio per sviluppare il mio lavoro in modo onesto e seguendo le regole (giuste, eque e meritocratiche). Mi sento sicura di poter passeggiare ovunque, anche di notte, senza temere scippi o peggio.
Amo l’onesta mentale dei portoghesi, la loro civiltà e il senso civico. Devono crescere e svilupparsi ancora certo, per lo meno in Algarve, ma è un popolo che osserva, prende il buono delle cose, lo fa suo e migliora.
È un paese che non ha paura e il non aver paura ci rende liberi.”

www.trasferirsinportogallo.com
www.facebook.com/trasferirsinportogallo
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SALUTE E SICUREZZA - "Evento EU OSHA: scambio di buone pratiche per la sicurezza e la salute sul lavoro" - a cura di Reputation Agency

foto ricezione premioSi è tenuto a Bruxelles il 5 e 6 marzo scorso, nel Residence Palace International Press Centre, l’evento “Exchange of good practices in occupational safety (OSH)” organizzato da EU-OSHA (Agenzia europea per la sicurezza e salute sul lavoro).

Nel corso dell’evento si è svolta la cerimonia di premiazione per celebrare il 10° anniversario del programma di partenariato con la consegna dei certificati ai partner e media partner.
Tra i premiati anche Reputation Today, valutato come uno dei media partner più attivi nel 2018 per l’attività di comunicazione a supporto dell’attuale campagna EU-OSHA, focalizzata sulla gestione delle sostanze pericolose.

All’evento, aperto con il benvenuto di Christa Sedlastchek, Direttrice dell’EU-OSHA, hanno partecipato i partner ed i media partner della campagna 2018-2019 “Salute e sicurezza negli ambienti di lavoro in presenza di sostanze pericolose”. Workshop a tema hanno illustrato le buone pratiche per sviluppare una comunicazione efficace sui rischi per la salute e la sicurezza sul lavoro, la collaborazione multidisciplinare, l’attenzione all’ambiente. È emersa inoltre la necessità di ripensare la valutazione dei rischi in ambito lavorativo alla luce degli attuali trends, in particolare l’Information Technology, i Big Data, l’industria 4.0.

Centrale per le attività di prevenzione resta comunque il fattore umano. Per questo è indispensabile importante lavorare per fare crescere la consapevolezza dei rischi, motivando i lavoratori affinché siano portati a percepire il rischio in modo adeguato e, conseguentemente, a modificare il proprio comportamento in un’ottica preventiva.
L’evento si è concluso con un riepilogo dei punti chiave emersi durante le due giornate di workshop ed uno sguardo al tema della prossima campagna che inizierà nel 2020.

foto apertura opening session jpgLa campagna 2018-2019 sulla gestione delle sostanze pericolose
Molti lavoratori europei sono esposti a sostanze pericolose. Negli ultimi decenni alcune sostanze, come l’amianto (che causa malattie polmonari gravi e talvolta mortali) e il cloruro di vinile (che provoca il cancro al fegato), sono state vietate o sottoposte a limitazione o ancora a un controllo normativo rigoroso (https://healthy-workplaces.eu/it/campaign-materials/campaign-guide).
Secondo l’indagine europea tra le imprese sui rischi nuovi ed emergenti (Esener-2) realizzata da EU-OSHA, il 38 % di queste ha riferito che nei loro ambienti di lavoro erano presenti sostanze chimiche o biologiche sotto forma di liquidi, fumi o polveri. Inoltre, anche se alcuni settori sono considerati più a rischio (es. agricoltura, industria manifatturiera, edilizia), altri vedono crescere l’esposizione dei propri lavoratori all’esposizione di sostanze pericolose, quali ad es. trasporti, gestione dei rifiuti, assistenza sociale e sanitaria. In ogni caso, nessun settore può ritenersi completamente al riparo da sostanze pericolose.
Nonostante queste tematiche siano da anni nell’agenda politica della salute e sicurezza sul lavoro, la loro conoscenza non ha ancora raggiunto livelli adeguati. Di qui l’impegno dell’EU-OSHA finalizzato a far crescere la consapevolezza all’interno delle imprese, mettendo a disposizione una raccolta di strumenti, materiali orientativi e buone pratiche, inclusi materiali audiovisivi, sul sito della campagna web https://healthy-workplaces.eu

2019: EU-OSHA compie 25 anni
Nel 2019 l’EU-OSHA, istituita nel 1994, celebra 25 anni della sua fondazione. Questi anni sono stati segnati da cambiamenti significativi nel mondo del lavoro e da cambiamenti senza precedenti all’interno dell’Unione europea. Il futuro è incerto ma comporta inevitabilmente nuove sfide in seguito agli sviluppi tecnologici, alle pressioni politiche e sociali nonché ai cambiamenti economici, demografici e della stessa UE. I forti legami esistenti tra l’EU-OSHA e i suoi partner, ossia Commissione europea, punti focali nazionali, parti sociali, partner delle campagne e relative parti interessate, saranno preziosi per affrontare queste sfide (https://osha.europa.eu/it/about-eu-osha/our-story). Per celebrare la ricorrenza, EU-OSHA svilupperà una serie di iniziative nel corso del 2019.

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PROGRAMMA IL FUTURO - "Nuove sfide per la cittadinanza digitale" - a cura di Reputation Agency

immagine classifica eventiLa rivoluzione digitale continua il suo percorso e, allo stesso, tempo richiede un adattamento a nuovi modelli di insegnamento e di business. Da cinque anni Programma il Futuro, il progetto realizzato dal CINI (Consorzio Interuniversitario Nazionale Informatica) in accordo col MIUR (Ministero Istruzione, Università, Ricerca) ha colto la sfida e ha messo come primo obiettivo la diffusione nelle scuole delle basi scientifiche dell’informatica (il cosiddetto pensiero computazionale).

Finora l’iniziativa ha coinvolto l’80% degli istituti scolastici sviluppando nell’ultimo anno i temi della cittadinanza digitale, per i quali, oltre alla formazione di base sull’informatica, è necessaria l’educazione all’uso consapevole delle tecnologie digitali. I risultati sono molto confortanti e sono stati richiamati nel corso dell’evento internazionale Hour of Code (L’ora del codice) che si svolge in 180 Paesi del Mondo, nel quale l’Italia è stato il Paese, a parte gli Usa, con il maggior numero d’iniziative dedicate all’informatica.

Alcuni dati del monitoraggio
Dal monitoraggio annuale, curato dal Centro Ricerche Themis, cui hanno partecipato quasi 4.000 insegnanti di ogni ordine di scuola, dall’infanzia alla secondaria di secondo grado (con una larga rappresentanza della primaria), emergono primi dati interessanti che inducono a definire ulteriori obiettivi soprattutto nell’area consapevolezza delle tecnologie digitali.

Il 30% dei docenti interpellati, infatti, ritiene che gli studenti siano “abbastanza” in grado di riconoscere le azioni di bullismo, il 46% ritiene che lo siano “poco” e il 15% addirittura “per nulla”. Rimane quindi molto da fare in quest’area, ma non tanto quanto necessario per altri temi, per i quali emerge una situazione ancora più critica. Così avviene per la protezione dei dati personali ai quali quasi il 30% degli studenti non presta alcuna attenzione, mentre il 47% ne presta “poca”.

La situazione rispetto alle fake news, investigata solo con gli insegnanti della scuola secondaria, appare ancora più seria, poiché meno di due studenti su dieci sono “abbastanza” in grado di valutare l’attendibilità delle notizie online. Una valutazione certamente non facile nemmeno per gli adulti.
Nell’ottica di coniugare informatica e consapevolezza, protezione dei dati, lotta a cyber bullismo e alle fake news saranno le priorità del 2019 per Programma il Futuro, che proporrà nuovi strumenti per gli insegnanti.

Dal monitoraggio risulta inoltre un elevato livello di soddisfazione per le attività del progetto, che hanno riguardato anche il funzionamento dei computer e la consapevolezza digitale, con due guide che complessivamente hanno raggiunto 20.000 download in pochi mesi. Entrambe queste iniziative sono state giudicate “utili” o “molto utili” da più del 90% dei docenti che le hanno usate.

Un nuovo alleato
E da subito un nuovo alleato aiuterà “Programma il Futuro” ad affrontare le nuove sfide formative.
Eni, infatti, ha firmato l’accordo di partenariato per supportare il progetto come Mecenate ed essere così in prima linea nelle iniziative di diffusione della cultura informatica in Italia.
Si affianca in questa attività agli altri partner che a vari livelli forniscono le risorse necessarie al progetto: Engineering (benefattore classico); SeeWeb (donatore classico); TIM (sostenitore).

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Insegnare l’informatica ai docenti della primaria: l’esperimento di Programma il Futuro insieme a Google

I docenti tornano sui banchi di scuola per studiare le basi dell’informatica e, soprattutto, capire il modo migliore di insegnarle ai loro allievi. Un’attività di formazione per ora proposta in via sperimentale in tre regioni italiane (Liguria, Emilia-Romagna ed Abruzzo) da Programma il Futuro e finanziata da Google attraverso il bando competitivo “CS Educator PD Grant 2018”.
La prima fase ha già garantito la formazione di oltre metà dei 130 destinatari dell’iniziativa, prevalentemente insegnanti della scuola primaria ma anche insegnanti dell’infanzia e della secondaria di primo grado. Gli stessi hanno frequentato lezioni teorico-pratiche, progettate e realizzate per essere fruibili dai docenti di qualunque materia.
I loro insegnanti sono stati ricercatori ed informatici che fanno parte del CINI. I risultati sono stati davvero incoraggianti.
“In tutte le nazioni sviluppate i governi hanno ben compreso l’importanza di iniziare ad insegnare informatica fin dalla scuola primaria” osserva Enrico Nardelli, coordinatore del progetto e professore ordinario di informatica all’Università di Roma Tor Vergata, che aggiunge “le esperienze sul campo confermano che la disponibilità di docenti ben preparati è assolutamente necessaria per formare gli studenti ad agire in modo attivo e creativo nella società digitale.”
Parla di ‘successo’ Paola Baroni, Dirigente Scolastico dell’I.C. di Riva Ligure e San Lorenzo al mare (IM) tra i primi che hanno aderito alla proposta.
“Il primo corso è stato molto partecipato, ha coinvolto una parte significativa dei docenti e già sta rivelando buoni effetti sulla didattica quotidiana. Possiamo davvero considerarlo un successo.”
“Sentiamo da tempo l’urgenza della formazione delle competenze digitali dei docenti” afferma invece Roberto Bondi, coordinatore del Servizio Marconi TSI (Emilia-Romagna) ed apprezziamo molto che alcuni dei primi percorsi di questa azione siano realizzati qui in Emilia-Romagna”.
“Abbiamo deciso di aderire al progetto – commenta Paola Adriana Pisciella, Dirigente Scolastico dell’I.S. Teramo 4 di San Nicolò a Tordino (Abruzzo), uno dei due istituti abruzzesi coinvolti insieme alla Direzione Didattica ‘Silvestro dell’Aquila’ – essendo sempre più evidente l’importanza metacognitiva del pensiero computazionale.”
Insomma tutti d’accordo su un fatto: “È essenziale formare anche i docenti per supportare lo sviluppo del pensiero computazionale e sostenere nuove forme di interazione con il mondo digitale.”
L’iniziativa formativa è riconosciuta dal MIUR attraverso la piattaforma SOFIA e viene realizzata con il supporto dell’Associazione di Promozione Sociale “APS Programma il Futuro”.

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REPUTATION today - anno V, numero 20, marzo 2019

Direttore Responsabile: Giuseppe De Paoli
Responsabile Scientifico: Isabella Corradini
Responsabile area Sistemi e Tecnologie: Enrico Nardelli
Redazione: Ileana Moriconi
Grafica: Paolo Alberti

Pubblicazione trimestrale registrata presso il Tribunale di Roma il 13/02/2014 n. 14

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Si riportano di seguito le norme editoriali alla base dei criteri selettivi con cui verranno presi in esame gli articoli.
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Gli argomenti proposti debbono essere correlati agli aspetti gestionali, organizzativi, giuridici e sociali delle seguenti aree: comunicazione e social media; reputazione aziendale; società, cultura e reputazione; buone pratiche; reputazione on line; misurazione della reputazione.
Il sommario dovrà chiarire lo scopo e le conclusioni del lavoro e non dovrà superare le 300 battute (spazi inclusi).
Didascalie e illustrazioni devono avere un chiaro richiamo nel testo.
La bibliografia sarà riportata in ordine alfabetico rispettando le abbreviazioni internazionali.
La Direzione, ove necessario, si riserva di apportare modifiche formali che verranno sottoposte all’Autore prima della pubblicazione del lavoro.

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