Stampa questa pagina

Reputation Today n° 18 - settembre 2018


EDITORIALE - "Giovani e lavoro: problemi e opportunità" - Giuseppe de Paoli

RT18 editoriale

L’Italia, rileva Eurostat, istituto europeo di statistica, è tra i Paesi in Europa con il numero più alto di Neet, l’acronimo che definisce i giovani che non studiano, non hanno lavoro, non fanno formazione (Not engaged in Education, Employment, Training).
Un giovane italiano su quattro tra quelli in età compresa tra i 18 e i 24 anni, non è né occupato né impegnato in qualche percorso di istruzione o formazione: un dato ben più alto della media UE dove i Neet sono il 14,3%.
Un triste primato, il nostro, che conta tra le cause un sistema della formazione scolastica lontano dalle reali richieste del mercato, e non è in grado di fornire alcune competenze “trasversali” oggi sempre più essenziali, come le capacità comunicative e relazionali, il pensiero laterale, l’atteggiamento, il problem solving.
Pesano inoltre le responsabilità politiche ed in particolare quelle di alcuni ministri che si sono scarsamente impegnati a capire quali prospettive potevano perseguire gli studenti italiani.
In questo panorama i Neet, che spesso hanno un basso livello d’istruzione e scarsa o inesistente competenza lavorativa, sono davvero poco attraenti per le imprese ed hanno poche chance di inserirsi nel mercato del lavoro.
Fanno fatica ad inserirsi però, anche giovani più agguerriti in possesso di una buona (a volte ottima) formazione, che devono costantemente scontrarsi con problemi economici, con la difficoltà di scegliere un percorso “giusto”, con l’incertezza e la mancanza di prospettive che pesano sul nostro Paese.
Una situazione dovuta, in buona parte, alla mancanza di investimenti adeguati per il settore e all’inefficacia di alcune scelte per la scuola, che dovevano ridurre la distanza tra giovani e mondo del lavoro e, invece, hanno alimentato sconforto e ansia.

I Neet, di fronte a questo stato di cose, hanno deciso di lasciar stare e si sono convinti che non è possibile cambiare più di tanto la situazione.
Molti altri, la maggior parte per fortuna, non si sono arresi e hanno provato a reagire dando vita ad esperienze di Co-working, sharing economy e condivisione di progetti sul web.
Sono sopratutto giovani nati tra gli anni 80 ed i 2000, i cosiddetti Millennials, che vantano una buona dimestichezza tecnologica, sono consapevoli dell’importanza di “fare rete” soprattutto in ambito ICT, nel quale le competenze diventano obsolete in fretta, e dell’importanza della formazione continua.
Molti di loro hanno capito in tempo che le competenze del futuro saranno perlopiù quelle legate alle materie STEM (ovvero lauree scientifiche, tecnologiche, ingegneristiche e matematiche) e che verrano premiate professionalità operanti nell’ambito ICT, come ci ricorda nel suo articolo Maria Teresa Faregna, Responsabile Comunicazione di Ca Tecnologies.
Questi giovani e in parte i giovanissimi Post Millennials o Generazione Z (vedi l’articolo in questo numero) sono in genere preparati, disponibili a muoversi e studiare o lavorare all’estero, e propositivi come dimostra il crescente numero di start up da loro create, molte delle quali hanno avuto, non a caso, successo all’estero.
Start Up nate da proposte intelligenti, come la mapp per i non vedenti, il robot fattorino, il “ciuccio” per bambini che monitora la respirazione e molte altre. Tra queste Uniwhere (con base a Venezia e sede a Berlino) fondata l’anno scorso dal 24enne Luca Segato con l’obiettivo (raggiunto) di porsi come punto d’incontro tra mondo scolastico e mondo del lavoro.
Uniwhere offre opportunità formative concordate direttamente tra aziende e scuola e lezioni che vengono pianificate, in linea con i tempi, tramite smartphone.
In Italia l’idea aveva riscosso un certo interesse ma solo quando Segato si è spostato a Berlino (oggi considerata la Silicon Valley europea) ha ottenuto un finanziamento da 500 mila euro e ha potuto far partire la sua iniziativa.
Analoga storia per Alessandro Levi, ex dottorando all’Istituto Italiano di Tecnologia, oggi fondatore e ad di Semplus, start up tecnologica basata su innovativi sensori di pressione, con sede a Palo Alto nella Silicon Valley. Levi ha dato vita alla sua azienda grazie ad un finanziamento iniziale di 50 mila dollari ottenuti – dice – “dopo una chiaccherata di 10 minuti” da Plug and Play Center, acceleratore d’impresa che ha sede propio nella Silicon Valley. E Semplus oggi conta su 3,5 mln di dollari di fondi.
Storie esemplari di una diversità d’impostazione rispetto ai giovani che nel nostro paese invece stentano a farsi ascoltare.

Molti di questi giovani creativi partecipano ad eventi speciali, come l’EUROPEAN START UP FESTIVAL di Torino, con lo scopo di creare una comunità europea di start-upper, acceleratori d’impresa, investitori , impegnati in un continuo confronto.
Questi giovani, andrebbero ascoltati di più per le loro idee ed perché spesso, hanno competenze, perlopiù digitali, che molti “senior” non hanno.
E andrebbero ascoltati e aiutati anche coloro che hanno capito le potenzialità insite nel conciliare lavoro artigianale “tradizionale” e uso delle nuove tecnologie, come ci ricorda il Presidente di Confartigianato Giorgio Merletti nell’intervista pubblicata in questo numero. E come sottolineano anche Isabella Corradini ed Enrico Nardelli nello speciale da loro realizzato, dedicato alla Virtual Reality in occasione della 75ª mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia.
Ascoltare i giovani presuppone anche il superamento della logora contrapposizione giovani-adulti, inventata per distrarre dal tema vero che è la mancanza di lavoro.

I giovani e meno giovani che non trovano lavoro, o che lo ottengono solo in forma precaria e mal pagata, non riducono solo i consumi ma anche le occasioni di socialità e collaborazione; un atteggiamento obbligato che non impoverisce solo loro ma l’idea stessa di società accogliente, solidale, giusta. Una società nella quale il lavoro è (o dovrebbe essere) fondamentale, come ricorda l’articolo 1 della Costituzione. 


Torna all'indice


DAL MERCATO

ROMA E VENEZIA TRA LE CITTA' CON LA MIGLIORE REPUTAZIONE AL MONDO 
Ben due città italiane, Venezia e Roma, entrano nella top ten del City RepTrak 2018, il report annuale realizzato da Reputation Institute, che ha analizzato la reputazione di 56 città in tutto il mondo.
Sul podio Tokyo, Sydney e Copenaghen, seguite da Vienna e Stoccolma, rispettivamente al quarta e quinto posto nella graduatoria. La novità è rappresentata da Venezia e Roma che si collocano rispettivamente al sesto e al settimo posto, seguite da Zurigo, Monaco e Montreal.
Il ranking è basato sull’analisi di oltre 12.000 persone intervistate nel periodo marzo-aprile 2018 su tre macro indicatori: attrattività, sistema economico ed efficienza delle politiche governative. Un bel risultato per le città italiane, considerato che ad una reputazione elevata corrisponde anche un maggior numero di visitatori.
https://www.reputationinstitute.com/sites/.

IMPRENDITRICI DI ECCELLENZA PER CONFCOMMERCIO ROMA
Innovazione, digitale, privacy, sicurezza, reputazione, formazione, progetti europei, politiche di genere, educazione finanziaria: sono alcuni dei temi che Confcommercio Roma intende sviluppare e per i quali sono state individuate professionalità di comprovata esperienza per far farte del Consiglio Direttivo Terziario Donna Confcommercio Roma, sotto la guida di Simona Petrozzi.
Per saperne di più vedi: http://confcommercioroma.it/chi-siamo/il-mondo-confcommercio-roma/le-associazioni/terziario-donna-roma/

PRIMA EDIZIONE DELLO EUROPEAN STARTUP FESTIVAL
La prima edizione del festival europeo dedicato al mondo delle startup, a Torino dal 21 al 23 settembre, è un'iniziativa ideata da Adriano Travaglia e Christine Michaelis e patrocinata dalla Commissione europea, dalla Regione Piemonte e dalla città di Torino.
Tanti gli ospiti internazionali e gli incontri in programma con l’obiettivo di creare una comunità in grado di promuovere il progresso culturale e sociale in un contesto in continuo cambiamento, sempre più caratterizzato dall’innovazione tecnologica.
http://www.eustartupfestival.com

IL CINEMA IN FESTA A ROMA IN OTTOBRE
Dal 18 al 28 ottobre 2018 si svolgerà la tredicesima edizione della Festa del Cinema di Roma che avrà il suo fulcro nell’Auditorium Parco della Musica, ma coinvolgerà anche altri luoghi della capitale, tra i quali l’Auditorium di Rebibbia Nuovo Complesso e la Casa Circondariale Femminile di Rebibbia. Tanti gli appuntamenti e le proiezioni in programma. Ampio spazio sarà dedicato agli incontri ravvicinati con attori, registi e personalità. Tra i nomi annunciati in programma: Martin Scorsese al quale verrà assegnato il Premio alla Carriera, Sigourney Weaver, protagonista di tanti film che spaziano dalla fantascienza al thriller, il regista Giuseppe Tornatore.
Per saperne di più vedi: http://www.romacinemafest.it/

DIGITHON 2018
Si è da poco conclusa a Bisceglie la terza edizione della maratona DigithOn 2018, che dal 6 al 9 settembre ha dato la possibilità a 100 startup digitali di presentare i propri progetti ad un vasto pubblico di investitori nazionali e internazionali. Anche quest’anno la manifestazione ha visto avvicendarsi nei vari incontri protagonisti del mondo delle imprese e delle istituzioni, costituendo così un’occasione di confronto sull’importante tema del digitale. 
Nell’edizione 2018 sono stati 7 i progetti ad aggiudicarsi i premi. La startup sarda Eablock, che sviluppa applicazioni volte a proteggere i dati delle aziende, si è aggiudicata il premio Digithon 2018 di 10.000 euro nonché il Premio IC406 da 5.000 euro assegnato da Auriga spa. È possibile consultare l’elenco completo dei vincitori su:  https://www.digithon.it/

Torna all'indice


L’INTERVISTA - "Digital skill e lavoro artigianale" - intervista a Giorgio Merletti, presidente Confartigianato - a cura di Giuseppe de Paoli

Giorgio Merletti

Apertura all’innovazione e ai nuovi mercati” e “consapevolezza delle proprie radici”.
Queste le parole chiave degli artigiani di fronte al mercato del lavoro che cambia.
Ne parliamo con Giorgio Merletti presidente di Confartigianato, organizzazione che rappresenta 700.000 artigiani e piccole imprese in tutta Italia.

Un mercato in continua evoluzione rende la formazione di management e personale sempre più strategica. Quali sono le azioni di Confartigianato in merito?

“Stiamo lavorando per accrescere l’awareness digitale e le competenze necessarie per operare nel nuovo contesto. Confartigianato ha intrapreso, in collaborazione con il CINI, un programma di formazione sulle competenze digitali, rivolto ai responsabili dei nostri sportelli digitali sul territorio: l’obiettivo è dare vita ad una piattaforma condivisa di competenze da mettere al servizio delle imprese artigiane associate.
Per le imprese artigiane inoltre abbiamo sviluppato strumenti come la “Guida Pratica a Impresa 4.0 per gli artigiani e le micro e piccole imprese” e siamo impegnati in attività di informazione e formazione su tutto il territorio nazionale.”

Le digital skills sono in costante evoluzione: quanto sono importanti per il lavoro artigianale?

“Sono fondamentali, perché consentono alle imprese artigiane di accrescere decisamente la propria competitività senza perdere le loro ragioni di valore, che risiedono nell’artigianalità come mix straordinario di saper fare, tradizione, miglioramento costante e ricerca di soluzioni “su misura” per il cliente.
Proprio il tema del “su misura” è centrale per il futuro dell’artigianalità italiana e trova nella tecnologia (che è sempre più orientata alla personalizzazione e alla varietà) risorse straordinarie per raggiungere nuovi mercati.”

In che misura artigiani e piccole imprese sono pronte a sfruttare il digitale per migliorare il loro business? E quali sono le vostre iniziative in merito?

“Oltre che sull’awareness digitale lavoriamo, sempre più, sull’individuazione di soluzioni che consentano agli imprenditori di vedere fisicamente come le tecnologie possono trasformare il loro lavoro, senza rimanere ancorati a principi e visioni magari affascinanti ma eccessivamente astratte e lontane.
Ci interessa poco la divisione tra 3.0 e 4.0, o l’individuazione della prossima “killer application”, ma ci interessa smuovere la montagna della diffidenza e stimolare la curiosità e la capacità di adattamento degli artigiani, che è la risorsa più preziosa (e che ha sempre prodotto innovazioni straordinarie).”

Quante sono, in percentuale, le imprese artigiane digitalizzate?

“Siamo attorno ad un terzo del totale, sostanzialmente in linea con la media nazionale delle imprese.
C’è molto lavoro da fare, soprattutto in termini di inclusione delle imprese nell’innovazione digitale.
Oltre al tema della digitalizzazione della manifattura, ci sono spazi enormi di innovazione digitale sia nei processi gestionali delle imprese, sia in termini di approccio al mercato. 
Ad esempio il commercio elettronico è un’opportunità per le imprese italiane ancora troppo sottovalutata.”

Secondo lei quanto influirà l’automazione sulla scomparsa o la creazione di posti di lavoro?

“È un tema molto importante e sentito. Dal punto di vista degli artigiani, il lavoro e la componente umana del lavoro, l’intelligenza legata alla cultura e alla creatività, sono e rimarranno centrali e dunque ci sarà sempre bisogno di persone al lavoro.
Già oggi le imprese lamentano la difficoltà di trovare risorse umane con competenze digitali che possano accompagnare la trasformazione delle imprese artigiane. Nel mondo dell’artigianato che incontra le tecnologie digitali, serviranno più persone, non meno.”

Ritiene fondate le preoccupazioni sulla automazione sempre più “intelligente”del lavoro?

“Se guardiamo alla produzione seriale o ai servizi che comportano innanzitutto “esecuzione” di processi preordinati, assolutamente si. Pur con diverse valutazioni sull’entità della perdita di posti di lavoro, tutti gli studi più accreditati sul futuro del lavoro convergono sul fatto che nei lavori più seriali la perdita ci sarà.
Non è consolatorio nemmeno pensare che la digitalizzazione creerà nuovo lavoro e nuove figure professionali: è possibile certamente ma scambiare il certo per l’incerto fa paura. Il lavoro artigiano è d’altra parte per sua natura “umano-centrico” e dunque sarà meno esposto a queste rivoluzioni.”

Quanto è importante per una azienda artigiana la presenza sul web?

“È fondamentale ma deve essere coerente con l’identità e gli obiettivi dell’azienda. Per questa ragione è fondamentale che le imprese trovino competenze di formazione, consulenza e servizi, in grado di guidarle ad individuare le soluzioni migliori e, una volta individuate, a gestirle.
Parliamo infatti di imprese con consistenza organizzativa minima, che quasi mai sono in grado di dedicare, almeno inizialmente, risorse a investimenti in tempo e competenze come quelli necessari alla trasformazione digitale. 
Per questo sarà sempre più necessario non solo “vendere” la trasformazione digitale alle imprese artigiane e alle micro e piccole imprese, ma anche mettere a disposizione soluzioni semplici e funzionali per il mantenimento e il rafforzamento delle attività digitali. L’esperienza ci insegna che si tratta di un tema fondamentale.”

Quali sono le parole chiave per il futuro delle pmi artigiane?

“Curiosità verso l’innovazione e le sue opportunità; consapevolezza, di chi si è, delle ragioni del proprio valore e delle proprie prospettive; apertura, a nuovi mercati e a nuove soluzioni per lavorare meglio. Siamo ottimisti per il futuro, ma bisogna muoversi.” 

Torna all'indice


REDAZIONALE - "Generazione Z: cosa è cambiato?"

gen Z

Il mondo del lavoro è sempre più complesso e non è facile comprenderne le evoluzioni: le continue innovazioni tecnologiche mettono sempre più alla prova chi vuole rimanere competitivo sul mercato e, al tempo stesso, presentano opportunità e stimoli molto interessanti.
Soprattutto, forse, per la generazione che si affaccia adesso al mondo del lavoro la generazione Z, composta dai nati dal ’96 al 2010 (i Post Millennials).
Quali prospettive ci saranno per loro e con quali cambiamenti influenzeranno e saranno influenzati dal mondo del lavoro?
Prima di rispondere è interessante capire le loro le radici perché nascere in un determinato periodo storico influenza, inevitabilmente, le scelte e i comportamenti.
I predecessori sono stati i cosiddetti Baby Boomers, cioè le persone nate tra la fine della Seconda Guerra Mondiale e il 1960.
Sono coloro che hanno beneficiato del rifiorire dell’economa a seguito della conclusione dei conflitti mondiali; hanno vissuto, almeno in parte i momenti storici più importanti del secolo (rivoluzione culturale, sessuale, femminista) e la lotta per i diritti civili.
Una generazione che dal mondo del lavoro ha raccolto i maggiori frutti, caratterizzandosi per ottime posizioni, stabilità economica e stipendi mediamente più alti di chi li ha seguiti nel tempo.

Poi è arrivata la Generazione X, quella dei nati tra gli anni ’60 e il 1980. Una generazione segnata da grandi eventi storici (la caduta del Muro di Berlino, la fine della Guerra Fredda) ma anche dalla forte recessione. La Generazione X è stata denominata anche “della transizione” perché è stata quella di mezzo tra il boom economico e la precarietà. (http://www.istat.it/it/archivio/216672).
I giovani della Generazione X sono stati associati alla mancanza di fiducia nel futuro e nelle istituzioni e a un certo scetticismo di fondo. Va però attribuito loro il merito di aver bene usato le possibilità delle rete tracciando la strada per i loro successori.

E poi, ancora, è stata la volta della Generazione Y ovvero quella dei Millennials, nati tra il 1981 e il ’95; una generazione caratterizzata dall’invasione delle tecnologie digitali e dall’affermazione debordante di Internet. Giovani connessi, attivi, un po’ narcisi ma propensi alla condivisione.

Hanno vissuto un’epoca in cui s’è allargato il bacino delle possibilità, proprio grazie alle innovazioni tecnologiche, ma l’instabilità lavorativa e la disoccupazione hanno dominato.

Molti hanno cercato nuove opportunità all’estero, alcuni sono diventati imprenditori di star up digitali – più considerate all’estero che non in Patria – altri hanno cercato di lavorare in proprio. Tutti però hanno fatto i conti con le difficoltà del mercato del lavoro.
La generazione Z infine, quella dei nati dal ’95 fino al 2010, i cosiddetti nativi digitali (o Post Millennials), è composta da giovani multimediali e iperconnessi che (differentemente dalle precedenti generazioni) non conoscono un mondo senza il web e i social media e usano gli stessi, non i giornali o la tv, per informarsi.

È una generazione caratterizzata da un approccio visivo alla comunicazione, da una certa versatilità ma anche da soglia di attenzione media molto bassa. Sono più rapidi che non accurati, comu­nicano attraverso i social e i telefonini, hanno un approccio disilluso verso il mondo del lavoro, e sembrano più interessati alle loro passioni che alla retribuzione o alle promesse di stabilità (di cui però hanno bisogno).

La loro bussola sembra la ricerca di un impiego in linea con la loro identità. Sono consapevoli che il termine del percorso universitario sia solo il punto di inizio di un nuovo cammino formativo ed hanno l’obiettivo di raggiungere velocemente una posizione in linea con le proprie competenze.
Cercano occupazione in aziende di grandi dimen­sioni, con l’aspettativa di riceverne formazione ma anche con la capacità di restituire competenze digitali e mentalità innovativa. È una generazione pragmatica e innovativa rispetto ai predecessori, che sembra dare un valore maggiore alle competenze pratiche coltivate sul campo che al conseguimento della laurea in sé.

All’opposto ci sono i Neet (Non engaged in education, employmet or training), ovvero una fetta di popolazione compresa tra i 15 e il 29 anni, che non sta né studiando né lavorando o cercano lavoro e risulta in forte crescita in Italia. Un problema complesso che le istituzioni e il mondo del lavoro devono affrontare, subito.

Torna all'indice


ENG Pag ReputationToday 21x28 OK

SPECIALE VENEZIA - "Cinema e Realtà Virtuale: emozioni e tecnologia" - Isabella Corradini, Enrico Nardelli

venezia1In occasione della 75ma Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia (29 agosto-8 settembre 2018), il Lazzaretto Vecchio è stato protagonista della sezione dedicata alla Virtual Reality (VR). La prima edizione dello scorso anno, allestita in pochissime settimane, aveva fatto comunque registrare un grande successo di pubblico. Questo secondo anno le presenze alla VR sono più che raddoppiate, superando i 10.000 partecipanti.

Le opere visibili sono state in totale 40, di cui 30 in concorso (http://www.labiennale.org/it/cinema/2018/selezione-ufficiale/venice-virtual-reality), fruibili attraverso le tre consuete modalità: postazioni girevoli per la visione da seduti nel VR Theater, installazioni immersive e visioni “stand up”, in modalità interattiva o meno. Ma soprattutto, come messo in luce dallo stesso direttore della Mostra VR Michel Reilhac (https://submarinechannel.com/venice-vr-2018-vr-in-competition/), si è assistito ad un incredibile miglioramento tecnologico delle animazioni, con un elevato livello di sofisticazione e di interazione.
Tre sono stati i premi che hanno riguardato questa competizione: miglior VR assegnato a Spheres: Chorus of the Cosmos (di Eliza McNitt); migliore esperienza interattiva per Buddy VR (di Chuck Chae); migliore storia VR per L’Ile de Morts (di Benjamin Nuel).

Una proposta di classificazione

Da una visione più di tipo tradizionale con i visori VR fino a quelle più interattive ove lo spettatore interagisce con i personaggi all’interno del film, analizzando la diversità delle proiezioni si viene via via assorbiti da un crescendo di sensazioni, che vanno da quelle visive e uditive, per arrivare a coinvolgere, in alcuni casi, anche quelle corporee.

In base alla nostra esperienza, tendendo conto soprattutto dell’aspetto fisico-sensoriale, abbiamo suddiviso le proiezioni in tre categorie:
VR del primo tipo: è un’opera nella quale lo spettatore assiste, come in un film tradizionale, agli eventi, essendo però immerso a 360 gradi nella scena attraverso l’utilizzo di un apposito visore che avvolge completamente gli occhi, completato da cuffie per l’audio.
VR del secondo tipo: si tratta di un’opera nel quale lo spettatore ha un ruolo attivo, oltre ad esserne immerso come in quelle del primo tipo. In tal caso infatti può intervenire sullo sviluppo della storia, ma senza ricevere feedback tattili o di movimento. Queste opere possono essere suddivise in due sotto categorie: lineare, se lo sviluppo della storia segue un unico percorso (per cui gli interventi dello spettatore possono solo alterare la resa audio-visiva del percorso raccontato oppure rallentarla/accelerarla); ramificato, se gli interventi dello spettatore possono determinare sviluppi in alternativa della storia (ad esempio, scegliere il finale).
VR del terzo tipo: in questo caso lo spettatore, oltre ad avere un ruolo attivo come per il secondo tipo riceve anche un feedback corporeo tattile o cinestetico, in modo sincronizzato con le sensazioni visive ed auditive. L’integrazione che fa il nostro cervello di tutte queste percezioni sensoriali è in grado di proiettare lo spettatore in modo totale al centro dell’azione.

Alcune proiezioni del primo tipo raccontano storie coinvolgenti come la divertente narrazione lievemente horror raccontata dalle carote ancora sotto terra in Fresh Out (di Sam Wey, Fangchao Tao) o di carattere storico, come nel caso di 1943: Berlin Blitz (di David Whelan), in cui si sorvola Berlino durante un bombardamento sulla città, con il racconto reale del corrispondente di guerra della BBC Wynford Vaughan-Thomas. O ancora, la storia del potentissimo computer The Great C (di Steve Miller), gestito da un super-programma di intelligenza artificiale e che governa i superstiti della specie umana sopravvissuti ad un evento apocalittico.

Mentre le opere VR del primo tipo sostanzialmente si limitano a spostare lo spettatore dalla poltrona in sala ed a collocarlo al centro della scena, in quelle del secondo e terzo tipo l’evoluzione delle modalità di narrazione è molto più significativa dal momento che si sperimenta una graduale crescita del coinvolgimento dei sensi.

A titolo di esempio, ecco cosa accade in alcune VR del secondo tipo:
• in Eclipse (di Jonathan Astruc, Aymeric Favre), l’esperienza è totalmente immersiva e collaborativa, trattandosi di un’opera della durata di circa 20 minuti in cui quattro persone devono collaborare per recuperare un’astronave perduta, risolvendo tutta una serie di emergenze e situazioni critiche;
• in Buddy VR (di Chuck Chae) lo spettatore/attore aiuta il topo (co-protagonista del racconto insieme allo spettatore stesso) ed interagisce con lui in modo diretto e divertente all’interno di un mondo fantastico dove ogni cosa è ingigantita.

Come esempi di esperienza di VR del terzo tipo ecco alcune di quelle che ci hanno colpito:
The Roaming-Westlands (di Mathieu Pradat), la palude nella quale si entra per salvare due bambini – in completa oscurità – è arricchita dalla sensazione corporea ricevuta dai piedi nudi che camminano su di una superficie di erba e fango e dall’immergere le mani nell’acqua.
Last one standing (Wu Zhu Zhi Cheng VR di Wang Jiwen, Liu Yang), storia ambientata nel futuro in cui i robot, guidati da programmi di intelligenza artificiale, cercando di conquistare la propria libertà dagli umani. Durante la proiezione si sta seduti su una sedia che si inclina in tutte le direzioni in modo sincronizzato con quanto accade nello scenario virtuale.

Opportunità ma anche rischi da gestire

venezia2Le opportunità che si aprono con la VR sono davvero notevoli. Ma, a nostro avviso, affinché si possa godere appieno di tali opportunità, è necessario lavorare anche sugli aspetti “critici” che si associano alla VR, che in alcuni casi possono tradursi in veri e propri rischi per la salute.
Tra questi il possibile sviluppo di dipendenze dalla situazione della realtà virtuale, dovuta alla difficoltà per l’individuo di distaccarsi dalla realtà fantastica nella quale si immerge. D’altro canto sono già note forme di dipendenze legate all’uso di tecnologie, come la dipendenza dai videogiochi o dalla rete, quest’ultima indicata dallo psichiatra Goldberg già nel 1995 come Internet addiction disorder (IAD). Va comunque osservato che la stessa realtà virtuale, per le sue caratteristiche, può costituire un terreno ricco di opportunità per il trattamento di specifiche patologie, ad esempio in ambito psichiatrico e psicologico per la cura delle fobie e dello stress.
Va inoltre tenuto conto del fatto che i sensi umani non sono abituati all’esplosione di immagini e suoni in 3D che occupano l’intero campo visivo dello spettatore. E non tutti sono pronti o adatti a viverli, soprattutto in mancanza di esperienze precedenti o di informazioni su quanto andranno a sperimentare. Così, di fronte a scenari spaventosi, il fatto di pensare che siano “virtuali” non è di per sé una protezione. Infatti, pur essendo consapevoli che si tratta di una simulazione, i sensi sono alterati, e la consapevolezza si attenua via via che ci si immerge nella proiezione, con non poca difficoltà a staccarsene. In aggiunta, la paura che assale lo spettatore di fronte a scene inquietanti mentre vede il film al cinema o in poltrona nella sua abitazione non è la stessa che si prova se si è invece immersi nella scena, per di più in isolamento e senza il conforto di amici e parenti intorno.

Infine, non sono rare le sensazioni di smarrimento -a volte anche di nausea- che si provano durante e dopo la proiezione. Per chi soffre di vertigini trovarsi su un ponte e vedersi cadere giù non è un’esperienza facile da gestire, soprattutto se non si è adeguatamente preparati. Auspicabile è quindi l’adeguata attenzione alle possibili ricadute che le proiezioni, sempre più interattive e coinvolgenti, possono avere sullo spettatore. In tal senso, si suggerisce ciò che si fa in molti parchi giochi, ovvero provvedere con avvisi contenenti indicazioni su possibili effetti collaterali e consigli sullo stato psico-fisico necessario per fruire del gioco stesso.

La realtà virtuale è in continua espansione, ed offre certamente opportunità da cogliere. Ma qualunque innovazione tecnologica ci si trovi a sperimentare, è necessario ribadire la centralità dell’essere umano, mettendolo nella condizione di essere consapevole dei vantaggi e dei rischi che la novità comporta. È importante che l’essere umano continui ad essere uno spettatore, ancor meglio se attivo, evitando il più possibile il rischio che egli diventi un mero oggetto nello scenario virtuale.

Torna all'indice


themis

DALLE AZIENDE - "Le professioni del futuro: quali saranno le competenze richieste alle nuove generazioni?" - Mariateresa Faregna

Quali sono le abilità più richieste per innovare nel mondo del lavoro? Secondo le aziende si tratta dell’apertura al cambiamento, del problem solving, della collaborazione e del pensiero laterale. Attitudini riconosciute in modo particolare al mondo femminile, che si contraddistingue anche per una forte capacità di visione a medio-lungo termine e per il multitasking.

Ma allora perché ad oggi la presenza femminile nell’ambito delle nuove professioni dell’economia digitale è ancora così scarsa?

Le professioni digitali del futuroCA Technologies insieme a Fondazione Sodalitas, per il quarto anno consecutivo, ha approfondito questo tema tramite uno studio condotto dalla societa di ricerca NetConsulting cube coinvolgendo i Responsabili delle Risorse Umane e Direttori dei Sistemi Informativi di 60 aziende italiane e oltre 220 studenti di Licei e Istituti Professionali. L’indagine di quest’anno, intitolata “Innovazione al femminile: tecnologia, cultura umanistica e creatività. Il futuro è STEAM”, è stata arricchita per promuovere ulteriormente il dibattito sul valore della formazione tecnico-scientifica e il ruolo delle donne nell’innovazione tecnologica.
I risultati mostrano chiaramente come le donne siano ancora poco rappresentate nei team dedicati all’Innovazione, nei quali il rapporto tra risorse maschili e femminili è fortemente sbilanciato, con una media di 9 uomini per ogni 2 donne presenti all’interno della funzione Innovazione delle aziende.
La scarsa presenza di donne deriva principalmente dalla mancanza di risorse laureate nelle discipline tecnico-scientifiche, come se a vincere fosse sempre la forte convinzione che la tecnologia e l’innovazione siano “una cosa da maschi”, perché gli uomini si sentono più inclini a lavorare con computer e algoritmi.

Si tratta di un preconcetto che viene da lontano, la ricerca mostra come alcuni pregiudizi e stereotipi di genere, infatti, siano radicati fin dall’adolescenza.
Se il 57% delle studentesse si sente portato verso lo studio della lingua italiana e il 60% verso lo studio delle lingue straniere, solo il 28% di esse ritiene che i propri punti di forza siano la matematica e le scienze e addirittura solo il 14% si sente portato per la fisica e la chimica.
A tali pregiudizi nell’analisi delle propensioni individuali corrisponde una forte influenza della famiglia, che tende a rafforzare gli stereotipi nella scelta del percorso di studi. Sebbene, infatti, il 70% dei ragazzi e il 59% delle ragazze affermino di non essere influenzati dai genitori nella scelta del percorso, il 23% delle studentesse dichiara di essere indirizzato dalla famiglia verso una formazione umanistica (contro solo il 6% dei ragazzi) e solo al 12% di esse viene suggerito un percorso di studi STEM (rispetto al 21% dei ragazzi).

Risultati in linea con quanto emerso a livello di scuola superiore si ritrovano nei dati relativi all’orientamento universitario: solo il 30% delle ragazze ha intenzione di intraprendere un corso di laurea STEM, contro il 53% dei ragazzi. Inoltre, le ragazze che propendono per una scelta tecnico-scientifica si indirizzano soprattutto verso Medicina (88%, contro il 12% dei maschi) e Chimica (58% contro 42%), dimostrando scarso interesse per facoltà come Fisica (30%), Informatica (33%), Matematica (36%) e Ingegneria (39%), preferite dai ragazzi con percentuali anche più che doppie.
Le professioni del futuro però saranno proprio quelle che vedranno crescere la richiesta delle competenze legate alle materie STEM (ovvero lauree scientifiche, tecnologiche, ingegneristiche e matematiche), con l’urgenza di individuare sempre più rapidamente esperti in temi come Big Data, cyber security, cloud, Data Protection e Digital Strategy.
In uno scenario che vedrà entro il 2020 un deficit di circa 800.000 risorse con competenze tecnologiche, le opportunità offerte dagli ambiti STEM, però, sono spesso sottovalutate o ritenute poco interessanti, in particolare dalle studentesse. Mentre il 66% dei ragazzi è interessato a un’occupazione nel mondo della tecnologia, solo il 35% delle giovani intervistate, infatti, dichiara altrettanto.
Inoltre, i ragazzi guardano ancora con preoccupazione i cambiamenti in atto. A loro avviso, infatti, l’impatto che le tecnologie digitali potranno generare sull’occupazione del futuro è ancora interpretato nei suoi aspetti negativi: il 74% del campione ritiene infatti che le tecnologie digitali potranno sostituire l’uomo in alcune professioni, con ripercussioni negative anche sulle relazioni umane (64%). In questo contesto, saranno la scuola e le aziende a dover promuovere un impegno comune per fare chiarezza e dare fiducia ai giovani, sviluppando una maggiore conoscenza e cultura sulle nuove possibilità professionali abilitate dalla tecnologia.
La ricerca è stata condotta in parallelo anche su un campione di 110 intervistati tra Responsabili delle Risorse Umane e Direttori dei Sistemi Informativi di aziende italiane che hanno identificato tra le figure professionali che saranno più richieste e verso le quali i giovani dovrebbero orientarsi quelle del Cyber Security Expert, Digital Strategist / Information Officer, il Data Protection Officer, il Big Data Engineer e il Data Scientist a pari merito con il Cloud Computing Engineer.
Anche rispetto a queste nuove professioni digitali il livello di conoscenza dei ragazzi risulta estremamente limitato. Ad eccezione del Cyber Security Expert e dell’esperto di Intelligenza Artificiale/Robotica, le figure professionali del futuro risultano quasi sconosciute a oltre il 50% del campione di studenti.

Oggi, in Europa, solo il 44% della popolazione adulta possiede skill digitali di base, competenze che entro il 2020 saranno richieste per il 90% delle posizioni lavorative

Nei prossimi anni, saranno proprio i settori a più elevato contenuto tecnologico quelli destinati a offrire le maggiori opportunità di impiego. Per questo motivo, la conoscenza delle nuove tecnologie sarà sempre più fondamentale per cogliere le occasioni legate alle nuove professioni create dall’economia digitale.

Nell’economia digitale l’innovazione è STEAM (Science, Tech, Engineering and Math)Guardando alle professioni del futuro, è quindi vero che è preferibile scegliere un percorso puramente scientifico? In realtà lo scenario è più complesso: la ricerca ha evidenziato come, soprattutto nelle aree del digitale, in futuro si tenderà ad affiancare a profili tecnici con competenze STEM specifiche anche alcuni dei profili umanistici: negli ambiti della Cyber Security, dei Big Data, del Cloud Computing e di altre tecnologie innovative, quali l’intelligenza artificiale e la robotica, saranno infatti richiesti, sebbene in numero minore, anche laureati in filosofia, sociologia, antropologia, psicologia, economia, architettura e design.

Per le aziende è già chiaro che si andrà in questa direzione e oltre l’80% del campione dei Responsabili Risorse Umane e Sistemi Informativi lo ritiene certo o comunque molto probabile, perché per sviluppare Innovazione è necessario coniugare skill umanistiche e scientifiche all’interno di team di lavoro multidisciplinari. Concorda con questa visione anche l’82% degli studenti.

Questa commistione, che si può riassumere con l’acronimo STEAM (Science, Technology, Engineering, Arts & Mathematics), rappresenterà una grande opportunità soprattutto per le ragazze che potranno considerare gli ambiti tecnico-scientifici come nuove strade in grado di enfatizzare anche percorsi scolastici tradizionali e interessi eterogenei.
Competenze trasversali, quindi, come il pensiero laterale, la visione d’insieme e l’attitudine al problem solving (una skill tradizionalmente ritenuta “al femminile” e attribuita dai Responsabili delle risorse umane alle ragazze nel 60% dei casi) si riveleranno elementi imprescindibili, la chiave del successo in un contesto di lavoro sempre più dinamico.

Torna all'indice


PROGRAMMA IL FUTURO - "Come funzionano i computer? Una guida utile per tutti" - a cura di Reputation Agency

graficiCon il nuovo anno scolastico riprende l’attività per le scuole anche Programma il Futuro (http://programmailfuturo.it/), il progetto realizzato grazie alla collaborazione tra il MIUR e il CINI (Consorzio Interuniversitario Nazionale per l’Informatica) per introdurre tra i banchi di scuola i primi rudimenti della cultura informatica in maniera semplice, divertente e accessibile. I dati di partecipazione, presentati a giugno scorso al MIUR durante l’evento celebrativo del quarto anno dell’iniziativa, sono stati eccellenti.

Con oltre 2 milioni di studenti coinvolti, più di 30 milioni di ore di codice svolte (con una media di 15 ore per studente) e di 31.000 insegnanti impegnati, il progetto si conferma come punto di riferimento fondamentale per l’educazione alle basi scientifiche dell’informatica. Circa 6.400 le scuole in cui il progetto è presente (quasi l’80% di tutti gli istituti) e più di 110.000 le classi che hanno svolto le attività proposte.

Un dato significativo è la crescita dell’interesse e dell’efficacia al femminile per le attività del progetto, quasi raddoppiate negli ultimi 3 anni, a dimostrazione del fatto che è possibile diminuire il “gender gap” che impedisce al settore digitale di accedere a tutti i talenti di cui avrebbe bisogno.
Molto apprezzata, inoltre, visti gli oltre 10.000 download registrati a partire dal suo lancio, avvenuto appena a maggio di quest’anno, è la Guida alla cittadinanza digitale per imparare a navigare in Internet in modo sicuro salvaguardando i dati personali e la propria reputazione digitale.
“Programma il Futuro”, anche grazie ai risultati ottenuti, continua la sua attività per promuovere l’insegnamento delle conoscenze scientifiche dell’informatica, in modo da fornire alle nuove generazioni strumenti utili a far comprendere in modo attivo e consapevole la complessa società digitale. A tal scopo, nuovi corsi saranno messi a disposizione di scuole e docenti durante l’anno scolastico 2018-2019.
Appena rilasciato il corso “Come funzionano i computer”, che spiega con un linguaggio semplice ed efficace come sono fatti e come funzionano i computer, mediante una serie di lezioni supportate da video didattici e dispense che espongono ed approfondiscono (anche con esercizi) i temi trattati.
Le lezioni sono introdotte dal fondatore di Microsoft Bill Gates.

come funzionano i computer

L’importanza di questo corso sta nel fatto che la formazione di un buon cittadino digitale non può prescindere dalla comprensione dei concetti fondamentali che stanno alla base del funzionamento sia dei programmi informatici (o software) che dei dispositivi che eseguono tali programmi informatici (cioè di ciò che viene comunemente indicato col termine inglese di hardware).

Grazie a queste conoscenze, lo studente potrà rendersi conto di come un computer non sia altro che una macchina capace solo di svolgere semplicissime operazioni molto velocemente e in grado di ricordare benissimo enormi quantità di dati: affinché questa macchina possa realizzare qualcosa di utile, è necessaria la nostra creatività per scrivere i programmi che diano vita alle nostre idee.
Occorre far assimilare agli studenti l’idea che solo se si capisce la tecnologia la si può dominare, altrimenti si rischia di esserne dominati!

I partner del progetto "Programma il Futuro" ...

Torna all'indice


francoangeli

SALUTE E SICUREZZA - "Sostanze pericolose nei luoghi di lavoro: la campagna EU-OSHA 2018-2019" - a cura di Reputation Agency

MEDIA PARTNER STAMP HWC 2018 19Il bilancio dei primi mesi della campagna EU-OSHA (Agenzia europea per la Sicurezza e la Salute sul Lavoro) dedicata alla gestione delle sostanze pericolose nei luoghi di lavoro è più che positivo: già nel giugno scorso, a due mesi di distanza dal suo lancio, la campagna aveva registrato una grande affluenza di partner e media partner, contandone più di 100. Un numero che è probabilmente destinato a salire, anche in vista degli eventi in programma. Uno di questi è la settimana europea della sicurezza (dal 22 al 28 ottobre 2018); altro appuntamento importante è il premio buone pratiche, per il quale le candidature sono ancora aperte. Al premio possono partecipare tutte le organizzazioni europee, anche tramite candidatura di parti sociali, operatori, consulenti e professionisti del settore della salute e della sicurezza, nell’ottica di una condivisione sempre più vasta di buone pratiche. Per questo biennio in particolare l’Agenzia valorizzerà quelle candidature che dimostreranno un approccio olistico alla gestione della salute e della sicurezza sul lavoro.
Nella campagna di questo biennio 2018-2019 l’EU-OSHA ha individuato alcuni punti chiave di intervento. Innanzi tutto la sensibilizzazione finalizzata a rendere consapevoli datori di lavoro, dirigenti e lavoratori all’interno delle organizzazioni lavorative. Allo scopo l’Agenzia rende disponibile un ampio kit di strumenti per guidare passo dopo passo alla pianificazione e alla gestione di campagne efficaci indipendentemente dal contesto aziendale.

Altro punto punto su cui l’EU-OSHA ha scelto di porre particolare attenzione sono i fatti e le cifre, perché nonostante le diffuse disposizioni di legge vigenti nei diversi Paesi europei, il fenomeno è ancora molto presente e riguarda il 38% dei luoghi di lavoro, arrivando fino a raddoppiare in molti settori. Per avere una corretta percezione dei rischi legati alle sostanze pericolose e agire di conseguenza nel prevenirli è quindi più che mai utile conoscere nel dettaglio sia le tipologie specifiche di sostanze che le condizioni di lavoro dei lavoratori che vi entrano in contatto. Per questo, l’Agenzia ha reso disponibili due banche dati e due indagini europee che affrontano l’argomento e a cui chiunque può attingere per ampliare la propria consapevolezza rispetto al tema.

Rispetto alla gestione dei rischi, l’EU-OSHA ha divulgato una guida elettronica facilmente consultabile che rappresenta per i datori di lavoro e i consulenti aziendali un riferimento imprescindibile per iniziare a muovere i primi passi nella gestione del rischio. La guida interattiva fornisce infatti, grazie agli input di chi la utilizza, preziose informazioni sui rischi, l’etichettatura delle sostanze e le misure di prevenzione, restituendo una relazione che fotografa quella realtà aziendale di riferimento rispetto alla gestione delle sostanze pericolose con utili spunti di miglioramento. Accanto a questo strumento, sono presenti una scheda riassuntiva sulla legislazione di riferimento e due approfondimenti per rischi specifici. Per rendere ancor più puntuale l’intervento sul tema, l’EU-OSHA ha inoltre messo a disposizione del materiale sui gruppi specifici, così da poter permettere alle organizzazioni di avvalersi di riferimenti ad hoc in base ai gruppi di lavoratori coinvolti dal tema.

Altro punto importante di intervento riguarda la sostituzione delle sostanze dannose nei contesti di lavoro. Tramite una scheda, un portale e un menu dedicato, l’Agenzia ha voluto supportare le organizzazioni anche in questo delicato ma fondamentale passaggio.

Infine, una particolare attenzione viene dedicata agli agenti cancerogeni, una fonte di malattie ancora molto presente nelle organizzazioni europee che merita particolare attenzione per le sue conseguenze potenzialmente letali.

Per saperne di più, aderire alla campagna e restare aggiornati sui prossimi appuntamenti:
https://healthy-workplaces.eu/it/tools-and-publications/campaign-materialspublications/campaign-materials 

Torna all'indice


eu osha

Torna all'indice


Partner

partner


REPUTATION today - anno IV, numero 18, settembre 2018

Direttore Responsabile: Giuseppe De Paoli
Responsabile Scientifico: Isabella Corradini
Responsabile area Sistemi e Tecnologie: Enrico Nardelli
Redazione: Ileana Moriconi
Grafica: Paolo Alberti

Pubblicazione trimestrale registrata presso il Tribunale di Roma il 13/02/2014 n. 14

RA neltuonome

Reputation Agency, Divisione di Comunicazione di Themis s.r.l.
via Veturia 44- 00181 Roma
tel. +39 06 9292.7629

È vietata la riproduzione, anche parziale, di immagini, testi o contenuti senza autorizzazione.


Per collaborare

REPUTATION today desidera facilitare la pubblicazione di articoli che possono provenire da tutti i lettori.
Si riportano di seguito le norme editoriali alla base dei criteri selettivi con cui verranno presi in esame gli articoli.
Il testo deve essere accompagnato da una dichiarazione firmata dell’autore o dagli autori nella quale si attesti che l’articolo è originale e non è stato pubblicato in precedenza su altre testate.I lavori devono pervenire all’indirizzo della redazione:
Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.. nella loro forma definitiva,completi di nome, cognome, qualifica, foto e firma dell’autore.
Gli argomenti proposti debbono essere correlati agli aspetti gestionali, organizzativi, giuridici e sociali delle seguenti aree: comunicazione e social media; reputazione aziendale; società, cultura e reputazione; buone pratiche; reputazione on line; misurazione della reputazione.
Il sommario dovrà chiarire lo scopo e le conclusioni del lavoro e non dovrà superare le 300 battute (spazi inclusi).
Didascalie e illustrazioni devono avere un chiaro richiamo nel testo.
La bibliografia sarà riportata in ordine alfabetico rispettando le abbreviazioni internazionali.
La Direzione, ove necessario, si riserva di apportare modifiche formali che verranno sottoposte all’Autore prima della pubblicazione del lavoro.

Torna all'indice

X

Right Click

No right click