’Per ogni cosa c'è il suo momento, il suo tempo per ogni faccenda sotto il cielo. C'è un tempo per nascere e un tempo per morire, un tempo per piantare e un tempo per sradicare le piante’’.
Che tempo è quello che stiamo vivendo? Quali sono oggi le priorità per affrontare questa difficile fase?
Ne parliamo con il prof. avv. Paolo Cancelli, docente universitario, accademico pontificio, avvocato, Direttore ufficio sviluppo della Pontificia Università Pontificia Antonianum, Direttore ufficio sviluppo e relazioni diplomatiche della Pontificia Accademia Mariana Internazionale.
Cominciamo dalla sua attenzione al tema della diplomazia delle culture. Il digitale crea connessioni tra le diverse culture. Può spiegarci cosa si intende per diplomazia digitale, quale obiettivo si pone e il connubio possibile tra diplomazia culturale e digitale?
In un mondo sempre più minacciato da conflitti, da crisi sociali, climatiche e ambientali, la diplomazia culturale è fondamentale per promuovere la pace, la stabilità e la cooperazione.
Il dialogo, la comprensione, la diffusione della capacità di ascolto, di empatia, la conoscenza delle tradizioni e culture popolari si inseriscono nel sentiero di promuovere una specifica competenza: la lettura ragionata della complessità.
Tutto ciò necessita di una nuova capacità predittiva di intus legere, un modello di intelligenza collettiva cooperante come strumento di servizio al pensiero, modello vivente di diplomazia della cultura, elemento essenziale per il policy maker globale. Anche nel Messaggio del Pontefice per la Giornata della pace 2024 è messo in evidenza che “I progressi dell’informatica e lo sviluppo delle tecnologie digitali negli ultimi decenni hanno già iniziato a produrre profonde trasformazioni nella società globale e nelle sue dinamiche. I nuovi strumenti digitali stanno cambiando il volto delle comunicazioni, della pubblica amministrazione, dell’istruzione, dei consumi, delle interazioni personali” e della diplomazia. Un cammino vivente di cambiamento che impatta sulle dinamiche della cooperazione.
In tale direzione nel magistero viene posto in risalto che “la globalizzazione favorisce gli scambi culturali spontanei, una maggiore conoscenza reciproca e modalità di integrazione dei popoli che porteranno a un multilateralismo “dal basso”. Il mondo sta diventando così multipolare e complesso che è necessario un quadro diverso per una cooperazione efficace. Non basta pensare agli equilibri di potere, ma anche alla necessità di rispondere alle nuove sfide e di reagire con meccanismi globali a quelle ambientali, sanitarie, culturali e sociali, soprattutto per consolidare il rispetto dei diritti umani più elementari, dei diritti sociali e della cura della casa comune. Si tratta di stabilire regole universali ed efficienti per garantire questa protezione mondiale.”
Lo sguardo della complessità, la visione del noi, consente di recuperare la nozione di interdipendenza per ricostruire il multilateralismo intorno agli ideali di giustizia sociale e responsabilità reciproca tra le nazioni e all’interno di esse. Nell’analisi dei futuri scenari di cooperazione istituzionale, la diplomazia delle culture è la chiave più avanzata per innescare un nuovo processo di relazione integrale. Al suo interno si colloca la Diplomazia digitale che possiamo definire come il modello sofisticato e raffinato di incontro armonico, capacità strategica per lo sviluppo di soluzioni tecnologiche e quadri normativi fondati sulla dignità universale. La diplomazia digitale si alimenta in un approccio alle tecnologie fondato sul paradigma dell’ecologia integrale nei pertinenti consessi multilaterali, favorendo partenariati e coalizioni con i soggetti internazionali chiamati alla co-costruzione del futuro dell’umanità.
E’ una competenza delicata, necessaria per valorizzare l’interoperabilità dei dati e dei talenti, perché fondata sulla triplice analisi dell’io, del noi, dell’ambiente “g-locale”, globale e locale, al servizio dell’uomo nello stato di natura cogente: l’interdipendenza.
Il Consiglio europeo, nel dare le linee strategiche sulla diplomazia digitale, ha evidenziato la necessità per i vari paesi di rafforzare il ruolo della leadership. Secondo lei, di che leadership abbiamo bisogno?
Leggendo l’Enciclica Laudato Si’ possiamo avere una chiara indicazione “c’è bisogno di costruire leadership che indichino strade, cercando di rispondere alle necessità delle generazioni attuali includendo tutti, senza compromettere le generazioni future”. E’ necessario accompagnare e promuovere nei vari continenti del mondo, donne e uomini capaci di saper interagire con gli altri grazie alle tecnologie più sofisticate e innovative, valorizzando le migliori competenze tecniche con le più alte vocazioni per la cura del futuro, talenti generativi nel pensiero e nell’azione.
Un nuovo leader credo che debba vedere il “Potere come Servizio” al bene comune.
Come diceva James Freeman Clarke “A politician thinks of the next election; a statesman of the next generation. A politician looks for the success of his party; a statesman for that of the country”.
In questa delicatissima congiuntura storica dove è possibile la terza guerra mondiale, abbiamo bisogno di veri statisti per costruire un nuovo equilibrio geopolitico internazionale fondato sulla dignità universale, sull’uguaglianza formale e sostanziale, sulla solidarietà e sullo sguardo teso al futuro sostenibile del pianeta.
Sono certamente necessari nuovi leader capaci di promuovere un ordinamento giuridico vivente fondato sulla sinfonia delle diversità, un processo di valore costituente che veda la loro autorevolezza come servizio nella costante ricerca di una feconda “interazione dei sistemi naturali con i sistemi sociali” per innescare una nuova dinamica di lavoro, leva della qualità generale dell’azione politica, manageriale e amministrativa, interpolando le migliori aspettative della sfera pubblica e privata, interna e internazionale. Una forma di interpolazione che permette di mettere a sistema le più alte qualità del rapporto tra la terra, l’impresa e la polis come elementi fondamentali per il benessere integrale della nostra casa comune.
I nuovi leader a cui mi riferisco devono essere abili costruttori di ponti, promotori di processi di autentica cura, strumenti di pace attiva e di decantazione delle tensioni, capaci di prestare attenzione alle differenze religiose, culturali e storiche che sono la vera ricchezza per il futuro del pianeta. Abili tessitori di sinergie tra le personalità, le culture e le civiltà.
Lei ha citato la “sinfonia delle diversità” che può mettere insieme i talenti, le eccellenze, le passioni, le più alte tecnologie e le intelligenze naturali e artificiali per il bene comune. È cosi?
La nuova grammatica del multilateralismo per la costruzione del futuro del pianeta si fonda sulla seguente visione: “la cultura del dialogo come via; la collaborazione comune come condotta; la conoscenza reciproca come metodo e criterio”. In tale piattaforma valoriale è possibile sviluppare un’efficace interoperabilità dei valori nei vari ambiti cyber. Una sinfonia delle diversità che può mettere insieme i talenti, le eccellenze, le passioni, le più alte tecnologie e le intelligenze naturali e artificiali per il bene comune. Uno sguardo culturale che convoca un approccio sistemico e transdisciplinare per alimentare una armonia delle competenze e delle vocazioni istituzionali tese a valorizzare le esperienze degli esperti per la digital transformation e dell’intelligenza artificiale. Una lettura sapiente della complessità dove diventa cruciale sia l’intus-legere, che significa “leggere dentro”, dunque capacità analitica e di approfondimento, sia inter-legere, “leggere attraverso”, ovvero capacità associativa e di connessione. Una nuova intelligenza multipla, connettiva e cooperante che persegue la metrica di una feconda collaborazione tra istituzioni educative, artistiche, accademiche, economiche, diplomatiche e religiose a livello planetario. In tal modo si consolida la consapevolezza che, per far fronte alle sfide future della complessità del mondo globalizzato e interconnesso, è necessario adottare un approccio che ponga l’accento sulle relazioni umane inclusive, sulle connessioni transdisciplinari come principio di convivenza umana.
La Pontificia Università Antonianum ha dato vita ad un innovativo diploma biennale dedicato al tema dell’intelligenza artificiale. Ci può dire qualcosa su questo corso?
Il Diploma di Alta Specializzazione in Artificial Intelligence patrocinato dal Consiglio Nazionale Forense è promosso dalla Facoltà di Filosofia della Pontificia Università Antonianum e rappresenta una tappa scientifica fondamentale all’interno di un processo più ampio di innovazione tecnologica e trasformazione digitale in ambito forense, secondo la prospettiva di un nuovo paradigma ecologico-integrale.
In questa prima edizione il Diploma è rivolto soprattutto alle figure dei giuristi, con un’attenzione particolare all’avvocatura, in linea con gli orientamenti impartiti nei Congressi Nazionali Forensi sui temi connessi all’A.I. Il giurista è artista della ragione per dirla con le parole di Pierre Legendre dove l’arte della diplomazia delle culture e la lettura della “g-località” si offrono quali orientamenti di fondo di un diritto vivente e di un algoretica ancorata alle sfide della complessità.
Le conquiste raggiunte dalle nuove tecnologie basate sull’A.I., come il machine learning e il natural language processing, rappresentano le soluzioni necessarie al perseguimento degli obiettivi posti e accendono sguardi per comprendere la nuova antropologia. L’indagine filosofica si offre come opportunità per interrogare il senso degli sviluppi indotti dall’A.I, nella consapevolezza che le nuove tecnologie contribuiscono all’innovazione e allo sviluppo solo se supportate da una riflessione antropologica ed etica. Compito delle discipline etico-giuridiche è di delineare un quadro etico-normativo che regolamenti e unifichi gli standard nazionali sull’A.I. attraverso protocolli di intesa tra gli Stati membri dell’Unione Europea e il resto del mondo. Professioni saldamente ancorate ad una tradizione plurisecolare, come l’avvocato, e figure emergenti con lo sguardo costantemente rivolto verso il futuro, come il project manager legale, non sarebbero in grado di produrre innovazione se ridotti a specialisti di settore in nome di una tecnocrazia fine a sé stessa. Un paradigma dell’ecologia integrale apre verso nuove economie e predispone ad una visione poliedrica della realtà ove le sue parti, solo apparentemente distanti, si offrono al mondo in connessione perpetua. Diritto, economia, antropologia, etica, morale, ingegneria espletano realmente le loro funzioni solo quando partecipano di un unico ecosistema. Sviluppare uno sguardo d’insieme, che innalzi a mezz’aria, permette di osservare dall’alto così da scrutare l’umano nella sua complessità.