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Venerdì, 22 Luglio 2022 18:52

Informatica: la formazione è la strada maestra

Conversazione con Enrico Nardelli

A cura di Giuseppe De Paoli

Pubblicata sul numero 33/2022 di Reputation Today

Enrico Nardelli, ordinario di informatica a Tor Vergata e presidente di Informatics Europe, l’associazione europea dei Dipartimenti universitari e dei Centri di ricerca in Informatica. È coordinatore di Programma il Futuro, iniziativa educativa promossa dal Ministero dell’Istruzione e realizzata dal Laboratorio Informatica e Scuola del Cini, di cui è direttore. Ha ricevuto di recente il premio Associazione Levi-Montalcini assegnato a scienziati e ricercatori che si sono distinti per la diffusione della cultura scientifica nelle scuole.

Partiamo dall’importanza delle competenze digitali: stando al rapporto DESI (Digital Economy and Society Index) l’Italia si colloca solamente al ventesimo posto per livello di digitalizzazione, in Europa. Secondo lei come possiamo sviluppare le competenze digitali nel nostro Paese?

La tecnologia digitale ha già trasformato radicalmente la società ed i ritmi a cui lo sta facendo sono impressionanti. I vantaggi che questo comporta per il nostro vivere sono evidenti ma dobbiamo fare attenzione: se non viene gestita correttamente la tecnologia digitale può avere effetti inaspettati e può persino diventare uno strumento di oppressione.
Dal mio punto di vista quindi, non basta parlare genericamente di competenze digitali, sarebbe riduttivo. Quello che invece è necessario è introdurre nelle scuole di vario livello l’insegnamento dell’informatica perché, non tutti ne sono consapevoli, è proprio l’informatica che sta alla base del digitale.

Senza l’informatica non c’è digitale: questo purtroppo è un concetto sottovalutato, se non addirittura ignorato, dalla gran parte dei cittadini che usano gli strumenti digitali, ed è ignorato, spesso, anche dai politici, che dovrebbero prendere decisioni in materia.

Quindi la formazione ha un ruolo strategico, essenziale…

Assolutamente. Se si vogliono formare cittadini competenti e consapevoli per l’utilizzo del digitale, la formazione è la strada maestra.
Investire sulla Formazione è un obiettivo ambizioso che però ha nette ricadute in positivo per coloro che decidono di attuare percorsi formativi sviluppando competenze e professionalità, nonché aprendo al mercato del lavoro, che è in continua evoluzione: così facendo si ottengono benefici economici e reputazionali per l’intero sistema paese.

Qual è la difficoltà maggiore da superare per l’insegnamento dell’Informatica nella scuola?

Si tende a parlare di competenze digitali di ragazzi e ragazze dimenticando il ruolo dei loro docenti, che è strategico. Il problema maggiore è proprio la formazione degli insegnanti: è necessario formarli e aggiornarli in modo appropriato fornendo loro supporto e metodi specifici perché a loro volta istruiscano poi gli allievi.

Come ci si sta orientando a livello europeo? E cosa state facendo come Informatics Europe?

Devo dire che l’Europa si sta muovendo nella giusta direzione, dal momento che la Commissione europea sta dialogando con i diversi stakeholder sulle esigenze legate alle competenze digitali nell’istruzione e nella formazione. L’obiettivo è preparare una Raccomandazione d’uso, la cui pubblicazione è prevista entro la fine del 2022.
Noi come Informatics Europe siamo stati invitati lo scorso aprile, a Bruxelles, insieme ai colleghi di ‘Informatica per tutti’. Nell’occasione abbiamo presentato il Quadro di Riferimento per l’insegnamento dell’informatica nella scuola rivolto alla Direzione Generale Istruzione, Gioventù, Sport e Cultura della Commissione Europea.
Si tratta di un documento, frutto di una visione condivisa, che individua 5 traguardi di competenza che tutti gli studenti dovrebbero raggiungere al termine del percorso scolastico obbligatorio.
È stata stilata inoltre una sorta di “mappa di alto livello” dell’informatica: sono stati definiti 11 core topics (argomenti fondamentali), ognuno caratterizzato da una breve descrizione, pensati in modo tale da essere efficaci anche in vista di ulteriori evoluzioni della disciplina.
Per molte di queste “zone”, poi, sono stati individuate delle specifiche sotto-aree particolarmente promettenti (ad esempio l’intelligenza artificiale per il core topic“) che possono essere oggetto della specifica articolazione nazionale del curricolo, così da renderlo attraente per gli studenti.

Il processo di veloce digitalizzazione del mondo del lavoro, accelerato dalla pandemia, lascia intravedere opportunità importanti, come la creazione di nuovi posti di lavoro, ma anche conseguenze negative come il serio rischio di perdere lavori che diventano velocemente inattuali. Come gestire con equilibrio questa situazione?

Certamente con la pandemia si è preso coscienza dell’importanza degli strumenti digitali, che hanno garantito la continuità delle attività lavorative e sociali. Nel futuro sarà sempre più forte l’impiego di tali strumenti e quindi è necessario essere preparati al cambiamento, dotarsi delle competenze utili per il mondo del lavoro che cambia.
I cambiamenti sono in atto e sono inarrestabili, ma le persone non sono numeri e non possono e non devono essere ‘sacrificate’ in nome delle tecnologie e, soprattutto, del business.
A questo proposito, vorrei ricordare il Manifesto di Vienna, un appello a riflettere sulle conseguenze dello sviluppo tecnologico attuale e futuro, che ho firmato con diversi miei colleghi nel maggio 2019.
Nel Manifesto viene ribadito che le tecnologie vanno progettate in base ai valori e ai bisogni umani e che non si può consentire alle stesse di plasmare gli esseri umani. Il nostro compito è di contenere gli aspetti negativi ma anche d’incoraggiare l‘innovazione incentrata sull‘uomo.
Quando si parla di Umanesimo Digitale si fa riferimento proprio a questo. Il punto è la centralità della persona, considerando anche gli aspetti sociali delle tecnologie digitali, un argomento spesso trascurato ma fondamentale.

Prima Lei ha parlato di governance del digitale. Quali consigli darebbe ai decisori politici?

Proteggere lo spazio digitale è fondamentale per ogni Paese, perché significa aver cura dei cittadini e dei loro dati. Si tratta di una sfida prima di tutto sociale e politica e solo in seconda istanza scientifica o tecnica.
La dimensione digitale è sempre più intrecciata con le varie dimensioni sociali, che si stabiliscono tra individui. Una dimensione talmente importante che è del tutto naturale che i governi vogliano attuare la loro attività di indirizzo e gestione anche nei confronti del digitale. Ritengo quindi assolutamente legittimo e doveroso che uno Stato governi lo spazio digitale così come governa lo spazio fisico.
Abbiamo esempi lampanti che ci dimostrano come nella società digitale chi controlla i dati controlla la società. I nostri decisori politici hanno cominciato a capirlo, ma ora è tempo di agire concretamente. Partendo proprio dall’investimento nelle scuole.

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