Reputation Agency | Le persone prima di tutto

Mercoledì, 29 Dicembre 2021 09:32

Innovazione e Trasparenza

Intervista a Francesco De Leo

A cura di Giuseppe De Paoli

Pubblicata sul numero 31/2021 di Reputation Today

Un’associazione composta da noti esponenti del mondo imprenditoriale, culturale, sociale, con l’obiettivo di dar spazio alle persone di valore, interpretare il bisogno di partecipazione dei cittadini, sostenere politiche innovative ma fattibili. È Innovazione e Trasparenza (www.innovazionetrasparenza.eu) la neo-associazione presieduta da Francesco De Leo manager internazionale di lungo corso e Esecutive Chairman di Kaufmann & Partners (Madrid, Londra)
Con lui parliamo di Innovazione e Trasparenza (appunto) e delle prospettive del nostro Paese in vista di una difficile ripresa.

In media res. Ci racconti dell’associazione che ha fondato, con altre personalità di grande spessore e competenza. Quali sono gli scopi?

L’associazione “Innovazione e Trasparenza” nasce dal confronto e dal dialogo tra persone di diversa provenienza, che hanno deciso di essere presenti e fornire il proprio contributo per ridare fiducia e speranza ad un Paese che - con spazi sempre più ridotti di democrazia - sembra averla persa.
Le sfide che abbiamo davanti a noi non si superano da soli, occorre ricreare un senso di comunità che il nostro Paese sembra avere smarrito.
È cresciuto invece un senso collettivo di fragilità diffusa, una mancanza di prospettiva sul ruolo del nostro Paese nel mondo, la voglia di ritirarsi, di rinchiudersi nelle poche certezze di un’epoca segnata dalla pandemia a cui non eravamo preparati
Ora è come se ci mancassero le forze ma dobbiamo scrollarci di dosso la rassegnazione che ha segnato questi anni.
Ho ascoltato molte persone, normalmente molto attive, che oggi sono sfiduciate, tante che mi dicono di fare fatica a leggere i giornali, o che non vogliono più seguire i tg…

Un forte campanello d’allarme…

Certamente, e risalta nell’assordante silenzio che ha segnato gli ultimi anni. Va anche detto però che facendo la spola fra Madrid e Roma e essendo spesso all’estero per lavoro, ogni volta che tornavo in Italia mi rendevo conto che il nostro Paese è molto meglio di come lo raccontiamo, e lo è nonostante il diffuso pessimismo collettivo.
Ci sentiamo inferiori ai Paesi del Nord Europa per la questione della moralità, del buon governo e via dicendo. Ma in realtà non è così.
In Italia, infatti, c’è un serbatoio di competenze e know-how, una prospettiva, una ‘mirada’ come direbbero a Madrid, che sono uniche: gli italiani non fanno pesare ciò che sanno fare bene, anzi fanno piuttosto un passo indietro.

Oggi però dobbiamo guardare avanti…

Abbiamo una occasione storica davanti a noi e abbiamo sfide difficili da affrontare: colpisce quindi che, in questa situazione, l’attenzione della politica sia ora assorbita quasi in modo totalizzante sulla scelta di chi andrà al Quirinale.
È indubbiamente un passaggio importante, ma le sfide che abbiamo davanti sono tante e rilevanti e ci richiedono uno sforzo collettivo, un’azione coordinata e tempestiva.
Oggi ci troviamo in una fase di transizione molto simile a quella che ha contraddistinto gli inizi del secolo scorso, negli anni tra il 1900 e il 1929, quando improvvisamente anche allora, c’erano tre settori chiave dell’economia che hanno avuto un’accelerazione del cambiamento senza precedenti: l’elettrificazione, l’automobile – che ha cambiato completamente il modo di muoversi – e le telecomunicazioni.

E nuovamente oggi sono passaggi fondamentali da affrontare…

Sì, abbiamo davanti tre piattaforme di innovazione che hanno ripreso a correre come non succedeva da anni: l’automobile, l’Energia e le Tlc. Il futuro, che è alle porte, passa da qui.
Succede però che invece di parlare di software, energia e reti intelligenti, siamo ancorati su una visione datata del cambiamento
Il nostro è un Paese ripiegato su sé stesso, timoroso di guardare avanti, paralizzato da conflitti irrisolti e restio ad affrontare il cambiamento ma il ritorno al “piccolo mondo antico” non è più possibile, rischiamo di relegare il nostro Paese a posizioni marginali, dimenticando che, senza scelte di politica industriale all’altezza delle sfide dei nostri giorni, il conto lo pagheranno soprattutto gli addetti del settore con la perdita strutturale di posti di lavoro.
È chiaro, infatti, che la trasformazione in atto non è a costo zero.
Servono quindi scelte strategiche diverse: occorre avere più senso della Stato, e maggiore attenzione a creare un nuovo modello di crescita economica, che deve puntare ad una “prosperità condivisa”.
Occorre porsi una sola domanda: quale Paese vogliamo fra 10-15 anni? Le scelte di oggi, anche in merito al PNRR ricadranno sulle spalle delle nuove generazioni. Non possiamo condannare il Paese ad un futuro che non sia all’altezza del proprio passato. È una promessa che dobbiamo impegnarci a mantenere con chi verrà dopo di noi.
Un esempio per tutti: non passa giorno che la stampa nazionale non magnifichi le possibilità legate all’eco-bonus, per restaurare le facciate di palazzi e condomini. Ma davvero pensiamo che il futuro si giochi mettendo a terra buona parte delle risorse del PNRR puntando al mattone? Non dovremmo forse investire di più nelle reti intelligenti, nel cloud di nuova generazione, nelle nuove infrastrutture legate al sistema dei trasporti, nell’ education?

In questa fase quindi è fondamentale individuare le sfide chiave, le priorità, anche per evitare stanziamenti economici a pioggia riservati soprattutto a aziende già vecchie, decotte se non addirittura morte! E cosi?

Si certo: quello di finanziamenti a pioggia, o come direbbero gli americani “helicopter money”, è un rischio molto presente, anche per l’assenza di una guida dei partiti e in qualche modo delle forze sindacali, che sono state messe a margine del dibattito sul modello di Paese che vogliamo, e non hanno saputo reinventare il ruolo propulsivo che hanno avuto in passato nel promuovere lo sviluppo sostenibile.
Torno su un punto chiave: non dobbiamo rinunciare a chiederci come vogliamo che sia il nostro Paese tra dieci-quindici anni. Cosa ci aspetta in quel mondo, quali saranno le competenze, le infrastrutture necessarie?
Sicuramente le ricette economiche che ci hanno portato a questa situazione di stallo non possono rivelarsi di grande utilità per progettare il futuro. Occorre guardare avanti, occorre un cambio di passo.
Lo ha fatto Pedro Sanchez, primo ministro spagnolo, che mentre tutti erano presi a parlare di PNRR, è volato in California dove ha incontrato Tim Cook, Ad di Apple, e s’è fatto garantire che a Madrid Apple metterà la sede del proprio centro di sviluppo sul tema dell’Intelligenza Artificiale. A Madrid, dove fra gli altri, ci sono già investimenti importanti di Google, di Amazon, e di Netflix.
Innovazione e trasparenza sono obiettivi importanti, possono essere una via d’uscita: non sono un semplice slogan, ma un metodo di lavoro.
E come associazione ci impegniamo ad incalzare il Governo affinché si valorizzino le competenze, si premi il merito, si difendano le imprese italiane e la spesa virtuosa.
Ricordandoci che quando Roosevelt affrontò il New Deal si circondò di persone competenti provenienti dalla società civile, a cui venne garantita indipendenza e autonomia come mai si era registrato prima di allora anche nei confronti della Casa Bianca.

L’associazione è propedeutica a una nuova forza politica?

No, non è questo il momento. Si vedrà più avanti. Ma vogliamo intervenire, dicendo la nostra, sui principali dossier su cui si confronteranno forze politiche ed opinione pubblica. Oggi la missione più importante è avviare i cantieri, rilanciare la ripresa economica, rapportarsi all’Ue, che dovrà divenire più inclusiva e più collegiale nelle scelte altrimenti perderà la sua identità e sarà schiacciata tra Usa e Cina.
È il momento non solo di ricostruire l’Italia, ma soprattutto di costruire una Nuova Europa.
Quando avremo fatto questi passaggi, nei prossimi mesi, ci saranno spazi per valutare nuove azioni e per valutare se c’è modo di immaginare un passo in più: ora l’obiettivo è, come dicevo all’inizio, ridare fiducia al Paese, soprattutto ai giovani ed alle donne che per troppo tempo sono state lasciate ai margini del cambiamento.

Come giudica l’operato del nostro Governo in questa fase?

Il prestigio internazionale dell’Italia è oggi fuori discussione ed è in grande misura legato al primo ministro, Mario Draghi. L’attenzione e il rispetto che l’Italia s’è guadagnata sono dovuti, in larga misura, alla sua autorevolezza. Tutto questo ci attira anche qualche invidia di troppo: ma è naturale che sia così, perché per troppo tempo ci avevano considerato marginali, se non addirittura fuori dai giochi. Al contrario, con grande sorpresa di molti, l’Italia è tornata centrale nel riassetto verso cui procede l’Europa nel suo complesso.
Mi sembra peraltro che questa sia una fase difficile per il Governo. Si percepiscono delle fibrillazioni all’interno della maggioranza ed un arretramento, diciamo così, della capacità di discutere collegialmente di alcuni temi. Tutto questo avviene in una fase critica, in cui alcune lobby che hanno affossato il nostro Paese sono forse più attive che in passato.

Il Paese sconta un forte ritardo in alcuni settori, per esempio nel digitale, sia per la limitate competenze in tal campo, sia per la bassa adozione di tecnologie avanzate come il cloud. Come uscirne?

La prima decisione del governo dovrebbe essere quella di definire una politica industriale coerente. Dal punto di vista della transizione energetica, l’attività di ENEL, guidata da Francesco Starace ha dato il via ad una fase di forte trasformazione, come in nessun altro Paese all’interno della Ue, e nel caso di specie siamo senza dubbio in buone mani. Qualche preoccupazione in più l’abbiamo sul discorso automotive e sulle infrastrutture legate ai trasporti e alle telecomunicazioni. Il ritardo accumulato dalle “non-scelte” di questi ultimi 20 anni stanno portando i nodi chiave al pettine.
Qui gli interventi vanno coordinati con attenzione. Siamo in una fase di selezione darwiniana fra sistemi Paese: vince chi ha la capacità di interpretare il cambiamento e sa adattarsi velocemente. Ma occorre agire e prendersi la responsabilità delle decisioni chiave: non si può tenere un intero Paese ingessato e ripiegato su posizioni di retroguardia. Si può fare di più e si deve fare meglio.

L’Italia è un paese ricco di storia, tradizioni e di opere d’arte (ha il maggior numero di siti Unesco a livello mondiale) ma fatica a trasformare questo patrimonio in opportunità lavorative per il nostro Paese. Cosa si può fare?

Abbiamo grandi potenzialità che derivano dalla nostra storia, dalle nostre tradizioni, dalla nostra agroindustria, che trovano nel nostro Made in Italy una chiave di sviluppo che in nessun altro Paese è così radicata. Al Paese manca però una visione complessiva, una “grean strategy” che riunisca gli sforzi di tanti settori nel mirare ad obiettivi condivisi di un sistema-Paese coordinato.
Sarebbe utile, ad esempio, un tavolo di confronto sulla mobilità futura, dato che abbiamo reti autostradali diffuse e capillari, ma risulta mancante il collegamento tra gli attori chiave che guideranno il cambiamento.
Il PNRR non può essere fatto di cantieri che vanno avanti in parallelo e non si incontrano. Serve un progetto complessivo, un punto di sintesi: una “grean strategy” per trasformare il Paese in un “Innovation Nation”. Quanto alle nostre bellezze, vanno valorizzate e devono diventare asset digitali: due parole, sono utili blockchain e NFT (Non fungible Tokens).
Ci sono milioni di persone nel sud-est asiatico che vorrebbero visitare Venezia, Firenze, Roma, Milano, ma per gran parte di loro sarà difficile.
Possiamo però creare la possibilità di visitare in modalità digitale gli Uffizi o i Musei Vaticani, anche per chi vive a Pechino o New Delhi. E possiamo farlo coinvolgendo i giovani che hanno maggiore capacità di declinare tecnologia e fantasia.

Per lei che ha maturato in questi trent’anni un’esperienza internazionale, quanto è importante il concetto di reputazione per i mercati? Fino a che punto una buona reputazione è importante per il valore delle imprese?

La reputazione è tutto. È l’elemento chiave per muoversi in un mondo sempre più globalizzato ed interconnesso, che non lascia margini a chi pensa di nascondersi. È anche per questo che a Davos da ormai più di 10 anni si tiene nel corso del World Economic Forum il Reputation LAB, che oggi è sempre più focalizzato sul tema degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, fissati dalle Nazioni Unite.
Penso che la reputazione sia sempre più importante, è una moneta di scambio che non può essere falsificata: è destinata a diventare sempre più determinante nel definire gli assetti economici e geopolitici nel prossimo futuro.
Un futuro che è già arrivato: noi possiamo cercare di fuggire o nasconderci, ripiegando sul passato, o scegliere, finalmente di affrontarlo in campo aperto, in competizione con i migliori, con la consapevolezza che le società che si sanno adattare meglio si avvalgono del contributo di tutti e rigettano il pensiero unico.
Troppi di noi e troppo a lungo si sono sentiti invisibili e quasi senza diritto di cittadinanza. È arrivata l’ora di cambiare pagina. Oggi molte persone sono pronte a rimettersi in gioco e disponibili a affrontare il futuro che è alle porte: sono convinto che possano dare un loro contributo importante e noi, con Innovazione e Trasparenza, ci mettiamo a disposizione per dare loro voce.

logo Reputation Agency footer

Reputation Agency - Nel tuo Nome il tuo Valore


La newsletter

Iscriviti alla newsletter per ricevere gratuitamente la rivista digitale Reputation Today

X

Right Click

No right click