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Venerdì, 17 Gennaio 2020 09:52

Il Volto racconta la nostra storia

Intervista a Lorella Zanardo, attivista e scrittrice

A cura di Giuseppe De Paoli

Pubblicata sul numero 23/2019 di Reputation Today

In epoca digitale il Volto è sottoposto a continui cambiamenti, ritocchi, mascheramenti. Cambiamenti perlopiù dovuti alla non accettazione del tempo che passa e, andando un po’ più in profondità, alla paura della morte.
Eppure il nostro volto parla di noi, ha un valore unico, irripetibile che andrebbe salvaguardato; inseguire l’obiettivo, irraggiungibile, di fermare lo scorrere del tempo non fa altro che minare le normali relazioni umane e creare smarrimento

Ne parliamo con Lorella Zanardo, giornalista e scrittrice, già autrice de Il corpo delle donne ora promotrice di “Volto Manifesto”, campagna di sensibilizzazione – realizzata con Cesare Canu e la Fondazione Il Lazzaretto di Milano – per stimolare una riflessione sul tema del volto in epoca digitale.

Dopo “Il corpo delle donne”, parliamo de “Il volto”: come nasce l’idea di questo progetto?

Già quando stavamo lavorando al documentario “Il corpo delle donne” ci siamo resi conto, osservando le immagini proposte dai mass media, che il volto umano era, ed è, in profonda trasformazione attraverso modificazioni virtuali e reali.
Le pratiche e le occasioni di manipolazione delle facce si sono moltiplicate in questi anni: fotoritocchi massicci sui social network e in pubblicità; creazione, tramite la computer graphic, di human digitals di sorprendente somiglianza; creazione di androidi dai tratti sempre più dettagliatamente antropomorfi, potenziati da un’intelligenza artificiale sempre più raffinata.
Di fronte a questa situazione ho cominciato, com’è mia abitudine, a pormi delle domande: come queste trasformazioni influiscono sulle nostre relazioni e sulla società in generale? Quale ricaduta hanno sulle nostre vite? La scomparsa del “vecchio” volto sarà senza conseguenze per la collettività?
Sono domande che trovo giusto condividere all’interno del dibattito pubblico.
Domande importanti visto che nella vita, sociale e privata, degli ultimi anni abbiamo avuto, e avremo, tanti incontri con facce artificiali: facce molto diverse tra loro, ma accomunate da un obiettivo irraggiungibile: fermare lo scorrere del tempo.

Già nel 2006, con il film “Time”, il regista coreano Kim Ki-duk denunciava la pratica sempre più estesa della chirurgia estetica per cercare di sfuggire ai segni del tempo, fino al limite della perdita d’identità. Oggi il fenomeno sta diventando planetario, anche “grazie” al ruolo della rete. Vede affinità con quello che succede nel nostro Paese?

Indubbiamente. Kim Ki-duk è uno dei più grandi registi viventi ed anche su questo tema ha visto in profondità quanto stava avvenendo ed è riuscito a raccontarlo con coerenza ma senza giudizio morale, portando la questione al suo punto centrale: la paura del cambiamento che il passare del tempo implica.
Il cambiamento e la decadenza che ci riguardano tutti si possono affrontare se si hanno, come individui e come società, dei punti di riferimento, valori condivisi, un fine che non sia solo materiale e superficiale. Altrimenti il timore, umanissimo, per l’invecchiamento diventa un male difficile da curare, che arriverà ad alimentare pratiche spersonalizzanti e degradanti.
Certamente questa situazione oggi la si può vedere anche sui social media e non solo per quanto riguarda il rapporto con il tempo e la propria immagine. Infatti i social network e in generale l’uso della Rete, sono improntati sempre più a comportamenti frettolosi, compulsivi, emotivi, dove l’unico fine pare la soddisfazione immediata di consenso e seguito, di una fittizia e insincera affermazione di sé.
E tutto questo perché, sarò noiosa ma va ripetuto, scontiamo la mancanza di una vera politica educativa di fronte all’immensità del nuovo universo digitale.

In che modo il digitale ha modificato la percezione dei giovani rispetto ai canoni di bellezza?

Rendendoli più fragili, più dipendenti dal gruppo, più inclini a cercare il consenso che non l’affermazione di se stessi.
Proprio nel momento in cui la vita digitale permetterebbe, potenzialmente, la totale affermazione delle inclinazioni personali, ci troviamo invece di fronte ad un’evidente massificazione estetica, dove tutte e tutti cercano di somigliarsi nel terrore di non apparire conformi ai modelli dominanti.
Questo avviene anche perché si fa molto poco per rendere autonome le nuove generazioni nei confronti della pressione che i media esercitano sulla vita, ad esempio attraverso l’educazione e l’alfabetizzazione ai media stessi.
Tra le tante ricerche e analisi del fenomeno in questi ultimi anni, trovo molto illuminante quella del fotografo John Rankin che ha fatto un esperimento assai utile. Ha invitato un gruppo di adolescenti a modificare il proprio volto con gli strumenti del fotoritocco.
Guardando il video che ne è stato tratto, reperibile facilmente su Internet, si nota subito come i volti dei ragazzi coinvolti tendano tutti nella stessa direzione: pelle schiarita, occhi ingranditi, naso rimpicciolito, ovale ristretto.
Sia le ragazze che i ragazzi. Rankin ha completato l’esperimento domandando ai giovani che vi hanno partecipato se si piacessero di più con le modifiche apportate: hanno tutti risposto di no, ma che in questa nuova versione si sentivano più a loro agio per presentarsi sui social network.
È evidente che non siamo di fronte ad esigenze estetiche ma alla paura dell’esclusione sociale.

10 puntiSiamo vivendo una fase di trasformazione e cambiamento di grande portata che mette in gioco svariati ed importanti elementi, vero?

Infatti: riprende quota l’antico sogno di creare dei nostri simili, capaci di emularci dando vita ad esseri dotati di intelligenza e, un giorno magari, anche capaci di coscienza ed emozioni.
I canoni di bellezza contemporanei, fortemente segnati dal conformismo, “spingono” sempre più verso l’omologazione dei tratti e deviare da questi canoni comporta, sempre più, esclusione dai trend sociali e solitudine.
Inoltre c’è l’idea di rimozione del “vecchio”, sia come concetto sia come manifestazione concreta, con le conseguenti manipolazioni volte far apparire un “eterno presente” del tutto artificiale.
Date le dimensioni planetarie di queste trasformazioni del volto, al quale concorrono la videografica, la robotica, la chirurgia, il fotoritocco, delle domande si impongono: cosa significano queste presenze artificiali per le relazioni interpersonali e per l’auto-percezione di sé? Quale ricaduta ha sulle nostre vite la manipolazione del volto, non parte qualsiasi del corpo ma il “luogo” stesso che ci rende unici, che fa di noi delle persone?
Come rapportarsi all’esperienza perturbante dell’“Uncanny Valley”, la valle arcana dell’Intelligenza Artificiale, che ci mette di fronte a volti molto simili agli umani, ma che umani non sono (essendo invece androidi e/o creazioni della videografica)? Ed infine: la scomparsa del volto “vecchio” è davvero senza conseguenze per la collettività?
In questione non c’è ovviamente la libera scelta individuale dei comportamenti e delle modificazioni, ma il fatto che esperienze così complesse avvengano senza una consapevolezza diffusa e un discorso sociale condiviso.
Non si tratta pertanto di emettere giudizi ma di avviare una riflessione urgente perché il volto umano è il luogo dove il senso di esistere si manifesta. Prenderne coscienza è quanto mai necessario.
Attraverso l’idea del volto come patrimonio per l’umanità, il progetto Volto Manifesto si pone quindi come obiettivo quello di invitare tutti e tutte ad un dialogo collettivo e condiviso sul tema dell’unicità del volto, delle trasformazioni reali e digitali in atto, del ruolo unico ed irripetibile che il volto riassume all’interno delle relazioni umane e per l’etica di una società.

Cosa si può fare di più dal punto di vista educativo?

Molto, tutto. Le idee, i progetti, i metodi ci sono, esistono. Ma senza l’assunzione da parte delle istituzioni della responsabilità che hanno nei confronti della collettività, i tentativi di educare restano episodici e localizzati, senza diventare fenomeno nazionale e condiviso come i tempi hanno già reso necessario.
Resta difficile da capire come tutti, dai politici ai giornalisti agli opinionisti agli imprenditori, affermino che è fondamentale preparare le persone al nuovo mondo digitale, che poi novità non è più ma è la nostra realtà quotidiana, e poi alla prova dei fatti l’educazione ai media e al digitale non rientri mai tra le priorità nazionali.
C’è da chiedersi dove e come i giovani, ma anche le altre generazioni in un’ottica di long term education, dovrebbero acquisire le competenze per essere cittadini digitali autonomi e consapevoli. La dipendenza e la capacità di “smanettare” sui dispositivi mobili non può e non deve essere confusa per conoscenza.

C’è qualche buona pratica che l’Italia potrebbe adottare?

Sostenere questo progetto.

Come proseguirà la campagna “Volto Manifesto”?

Stiamo lavorando alla preparazione di un sito dedicato che ospiterà video, articoli, podcast e risorse online da tutto il mondo.
L’intenzione è quella di mettere a disposizione del pubblico, delle scuole e degli studenti in particolare, i materiali utili a riflettere e studiare gli aspetti principali relativi al volto umano e al suo ruolo nelle relazioni interpersonali, nelle emozioni, nella comunicazione, nell’etica di una società.
È un lavoro ampio ed importante per il quale stiamo valutando la collaborazione con sponsor che vogliano sostenere l’iniziativa che, come spiegato, ha una finalità sociale.
Sarà inoltre un sensibilizzare e raccogliere consenso sulla campagna “Volto Patrimonio dell’Umanità”, che vuole diffondere la consapevolezza dell’unicità del volto e mira a creare una sorta di archivio dei volti e del loro senso
Un archivio che possa compensare l’uniformità di espressione che si va diffondendo e che sta impoverendo le straordinarie possibilità che, invece, le nostre facce ci offrono.

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