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Martedì, 17 Aprile 2018 11:36

Identità digitale e reputazione

Conversazione con Andrea Barchiesi, Reputation Manager

A cura di Giuseppe De Paoli

Pubblicata sul numero 16/2018 di Reputation Today

Il mondo del web è un mondo in perenne evoluzione che si alimenta anche di fenomeni alla moda. Oggi, ad esempio, si parla molto di web reputation, un’attività fondamentale per aziende ed organizzazioni eppure, non di rado, sottovalutata dalle stesse aziende.
Affrontiamo l’argomento con Andrea Barchiesi ingegnere elettronico che sul tema ha giocato d’anticipo fondando, già nel 2004, Reputation Manager, una società che si occupa dell’analisi e della gestione della reputazione on line di aziende, istituzioni, enti, privati.
Barchiesi ha anche fondato il primo Master in “Reputation Management” proposto dalla sua società in collaborazione con l’Università IULM. A lui chiediamo di raccontarci qual è il ruolo dell’identità digitale oggi; cosa fa, davvero, un Web Reputation Manager e quali sono le doti principali necessarie per chi fa questo lavoro.

“Il Reputation Manager si occupa di coordinare l’ecosistema della comunicazione digitale, con il fine di promuovere e diffondere il brand di soggetti e prodotti verso gli stakeholder. Parlo anche di prodotti perché la reputazione non è solo di aziende e individui: quando, ad esempio, parlo della Volkswaghen, faccio riferimento a due tipi di reputazione: quella del brand e quella del prodotto. Posso, infatti, avere un’ottima percezione della Golf e magari una diversa della Polo e devo tenerne conto. Per aiutare il conseguimento degli obiettivi aziendali, quindi, un Reputation Manager deve compiere anzitutto un’analisi articolata di tutto l’operato dell’azienda, deve monitorare ciò che passa sulla rete, gestire la reputazione e contribuire a creare il contesto migliore per il conseguimento degli obiettivi aziendali.”

Quindi la comunicazione tradizionale, l’ufficio marketing di una volta non bastano più.

“Infatti, questi istituti sono abituati a lavorare secondo un concetto di tempo chiaro, lineare, conseguenziale. Ogni giorno esce un’edizione nuova, diversa; nel web invece il tempo non è più in avanzamento consequenziale: quello che accade nel web lascia tracce anche molto tempo dopo la pubblicazione, praticamente per sempre. Posso cercare una notizia e trovarne un’altra (magari più interessante) di tre anni prima; il criterio di persistenza non è dovuto alla freschezza della notizia. Inoltre, al di là del fatto che la notizia sia vera o no, una volta sul web l’informazione rimane e anche se non è corretta – ma riportata in un contesto di informazioni vere – sono portato a ritenerla come vera.”

Un po’ come la famosa recensione del ristorante: se il luogo ha avuto un certo numero di recensioni negative noi tendiamo a scartarlo subito mentre magari, nel frattempo, il ristorante ha cambiato servizio, cuoco, menù, etc.

“Certamente la cosa importante è la percezione, l’effetto che un contenuto ha su di un soggetto. La percezione, anzi, va al di là del contenuto e questo avviene soprattutto, con le fake news: se qualcuno dice che un dato tipo di pasta è cancerogena e l’affermazione viene considerata credibile (cosa facile), questa affermazione diventa vera per le conseguenze che produce.”

Uno scenario un po’ inquietante, non credi? Certe affermazioni quando cominciano a circolare, indipendentemente dal fatto che siano vere o no, diventano credibili e possono influenzare l’opinione pubblica. Come possiamo difenderci da questo fenomeno? Naturalmente possiamo alzare il livello d’attenzione, stare vigili però... Non siamo comunque un po’ indifesi di fronte a questa realtà?

“La risposta richiederebbe un libro, il tema è affascinante e lo stiamo affrontando da tempo. Sì, siamo indifesi, lo scenario è inquietante, ma questo è il mondo dove viviamo. Attenzione: non sempre le fake news derivano da una manipolazione, stile “grande fratello”! La battaglia contro I vaccini, ad esempio, non è frutto di una azione strumentale superiore che vuole contaminare la scena: i no-vax dicono che i vaccini provocano l’autismo, che vanno rifiutati, che servono alle aziende farmaceutiche. Sono informazioni false che però non sono guidate da alcun signore oscuro, o da un intento preciso. Semplicemente a volte queste convinzioni sgorgano, in modo naturale, come una sorgente e circolando si autoalimentano, portando al convincimento altri soggetti.
Le fake news spesso nascono come risposta a credenze e paure della popolazione; traggono origine proprio da queste. La società è inquieta per tanti motivi; è inquieta ad esempio verso la farmaceutica, disciplina invece estremamente scientifica, e molti pensano ad un complotto delle grandi aziende, come se non vi fossero degli enti di controllo, sia nazionali che sovranazionali, molto efficienti. L’onda anomala prende spunto dalle paure di qualcosa che potrebbe anche accadere, soprattutto in linea teorica; ad esempio i problemi con le vaccinazioni possono accadere, ma sono statisticamente rarissimi e in ogni caso non vaccinarsi comporta situazioni ben peggiori.”

Quindi abbiamo un’argomentazione che fa leva sulla emotività, su credenze diffuse ma non verificate e che, nonostante questo, viene percepita come vera dall’opinione pubblica o da buona parte della stessa.

“Sì, perché dà corpo alle paure di una fascia di popolazione, paure dovute a un’inquietudine generale, che prende vita soprattutto in momenti di difficoltà economica e fa da catalizzatore all’onda anomala delle fake news. Come ci si difende? Sento spesso parlare di educazione, ma mi sembra una soluzione all’acqua di rose. Francamente se vogliamo cominciare a risolvere dei problemi, oggi e non fra trent’anni, dobbiamo pensare a soluzioni più concrete.”

Del tipo?

“Soluzioni che vadano alla base: non rieducare 20 milioni di persone cosa che richiede grandissime energie e tempo, e nel frattempo dobbiamo contare i morti, ma andare alle fonti: con il Ministero della Salute stiamo tentando anziché soltanto d’educare, cosa che va comunque fatta, di colpire le fonti informative che producono false notizie.”

Mica facile

“Più facile che educare 20 milioni di italiani! Io sono molto pratico: penso in termini di costi e benefici. Pensiamo alla lotta alla droga: per debellare andiamo a cercare di convincere coloro che non vedono l’ora di drogarsi o cerchiamo di levare la droga dalle strade? Ecco perché con il Ministero della Salute stiamo censendo tutte le fonti di informazioni false, abbiamo un archivio ad hoc, sappiamo da dove partono, chi le diffonde. E chiederemo la rimozione di questi siti che producono fake news perché fanno un lavoro dannoso per la società.”

Gli account però si ricreano con una grande facilità e rapidità...

“Vero, si ricreano ma non più come prima: se volessimo chiudere Facebook potremmo, almeno in teoria, farlo con relativa facilità e lo stesso Facebook potere rinascere velocemente… ma i 20 milioni di collegamenti che ha Facebook non si ricreano certo in un istante. E quanto vale una piattaforma senza contatti?”

Le Internet company: Facebook che pubblica il decalogo anti bufale, Google, Amazon, Apple, insomma quelle che compongono la ‘Rete padrona’ (come la definisce il giornalista Federico Rampini), che responsabilità hanno?

“Facebook e altre Internet company propongono un dinamismo che è solo apparente, ma le loro, essenzialmente, sono solo azioni estetiche, poco utili, come il decalogo anti bufale: invece di appellarsi ad un ente specializzato ed autorevole che garantisca l’attendibilità delle informazioni, chiedono agli utenti, che sono più che altro vittime del meccanismo, di mettere in moto delle azioni specifiche. A mio avviso, è un modo per scaricare la responsabilità sugli stessi utenti.
Facebook, Google e le altre Internet company a parole si dicono collaborativi ma in realtà non fanno niente, tranne che azioni estetiche, di facciata.
La soluzione vera sarebbe un ente certificatore che garantisca l’attendibilità di ciò che va in rete e la rimozione di ciò che non è attendibile. Queste compagnie non sanno, o non vogliono, risolvere il problema e non ascoltano i suggerimenti che arrivano dall’esterno. Peccato perché, per esempio, il progetto che abbiamo in corso con il Ministero della Salute, contro le fake news, ha dato buoni risultati e sarebbe replicabile.”

Ci sono anche responsabilità della politica.

“Sì, ma meno marcate. Certo potrebbero impegnarsi di più, fare nuove leggi, però il mondo del web vive un’evoluzione continua e talmente veloce che la politica e il diritto non riescono a starci dietro, ad essere efficaci. Il web è considerato una zona franca, a torto però. E anche la battaglia condotta dalla Boldrini contro la diffamazione, che comunque è già regolata dal diritto, non ha dato particolari risultati.”

Il Web Reputation Manager è una professione in ascesa e anche di moda. Ma le aziende ne capiscono davvero l’importanza?

“Tendenzialmente no, almeno la gran parte. Le aziende più strutturate sono più attente, ma troppe aziende continuano a sottovalutare il tema; non sanno neanche ciò che si dice di loro in rete. Parlavo proprio ieri con un manager di un’azienda importante che mi sottolineava l’esigenza di farsi conoscere sui media, però non riteneva importante farlo on line: dopo aver mostrato cosa si poteva trovare sul web relativamente alla sua azienda, la risposta è stata un’altra. Spesso le aziende sono convinte che non hanno una reputazione, che bisogna costruirla. Ma non si rendono conto che quello che c’è on line, poco o tanto che sia, rappresenta comunque la loro immagine, anche se è scritta da altri. È un po’ come stare sul Titanic e non saperlo, mentre la falla aumenta.”

Quindi sulla necessità di una buona identità digitale c’è bisogno anzitutto di convincere i manager diffidenti.

“Fino ad un certo punto. Noi prospettiamo la situazione e i rischi che corrono, ma senza forzare. Li informiamo e li lasciamo riflettere, sappiamo che prima o poi ne prenderanno coscienza da soli.
Certo, possiamo ricordare che se una persona viene indagata per qualcosa va in prima pagina, mentre quando è prosciolta, la notizia non viene aggiornata, continua a girare in rete ed il proscioglimento finisce in 121esima pagina e nessuno la trova, se non c’è l’aiuto di un professionista! Sono fatti che possono cambiare la vita perché poi difficilmente qualcuno ti darà fiducia.
Se, ad esempio, organizzi un convegno e ti consigliano una certa persona, vai su Google per farti una idea di chi è e cosa ha fatto; ma se scopri che ha una denuncia per reati gravi, lo inviti lo stesso? Sicuramente no.”

La sovrabbondanza di informazioni private su nostri siti (rispetto ad hobby, passioni, idee politiche) può nuocere?

“È artificiale la diversità che molti sostengono tra Facebook, che sarebbe ad uso privato, amicale, e Linkedin, più adatto per uso professionale: il privato in rete non esiste più!
Ciò che postiamo sui social viene visto e contribuisce alla nostra immagine on line. Alcuni nostri post possono aprire ad altre possibilità, ma spesso avviene il contrario. La chiave di volta, la cosa fondamentale, è che la nostra identità digitale sia coerente sui diversi canali.”

La tentazione dell’oblio, argomento oggetto di un tuo libro, è quindi solo una utopia?

“È un diritto formale molto difficile da esercitare, senza l’aiuto di professionisti: servono infatti competenze tecnologiche, legali. Scomparire dal web non è certamente facile. Spesso come agenzia ‘’Reputation Manager ‘’, ci troviamo di fronte richieste lapidarie che non tengono contro della complessità del lavoro, sono richieste perentorie come se fossimo distributori di Coca Cola: voglio scomparire e vogliono farlo subito. Questo naturalmente pone delle domande: perché richiedi la rimozione, perché vuoi levare la tua immagine? E dobbiamo valutare come agire caso per caso.”

A livello preventivo cosa si può fare per tutelare la reputazione una azienda?

“È essenziale intervenire prima che nascano problemi.
Una buona identità digitale, cioè l’insieme dei tuoi contenuti, che vanno esposti on-line , in giusta misura e ben strutturati, crea una sorta di corazza, una barriera che rende possibile la resilienza reputazionale.
Il Reputation Manager lavora soprattutto per questo: pensa in previsione, cerca di anticipare i possibili problemi e interviene in tutte le occasioni in cui la reputazione online può risultare danneggiata.”

Con questi presupposti dovrebbero esserci grandi possibilità sul mercato per un Reputation Manager.

“Servono persone molto preparate con competenze tecnologiche, comunicazionali, legislative. Ce ne sono poche in Italia. Con queste caratteristiche però il lavoro si trova.”

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