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Mercoledì, 10 Giugno 2015 18:04

Follower e retweet: così i politici misurano la loro reputazione on line

Intervista ad Andrea Scanzi, giornalista de Il Fatto Quotidiano, conduttore su La3 di "Reputescion - Quanto vali su web?"

di Claudia di Lorenzi, direttore responsabile di Reputation Today.

Pubblicata sul numero 5/2015 di Reputation Today

Nell’era digitale, qual è quella che viviamo, la reputazione si misura in buona parte anche sul web, dove aziende, personaggi, istituzioni ed esponenti del mondo della politica possono costruire e consolidare un’immagine di successo, oppure, ahimè, demolirla. I politici, soprattutto, trovano nel web, ed in particolare nei social network, uno strumento efficace per raggiungere ampie platee ed accrescere il proprio consenso, a patto però che tali strumenti vengano utilizzati nel modo giusto. Lo sa bene Andrea Scanzi, noto giornalista de Il Fatto Quotidiano, che su La3 conduce “Reputescion – Quanto vali su web?“, il primo programma che valuta la reputazione on line dei personaggi. Lo abbiamo intervistato.

Scanzi, a fronte dell’esperienza fatta negli ultimi anni alla conduzione di Reputescion, secondo te, i politici di oggi sono consapevoli del ruolo dei social media nella costruzione, o demolizione, di una buona reputazione?

“Dipende dall’età e dall’intelligenza: ci sono politici che sicuramente li sanno utilizzare. Salvini, che è venuto a Reputescion, sa benissimo come usare la rete, poi però secondo me la utilizza alimentando la pancia più greve e violenta del Paese. La sa utilizzare Civati, cha ha un ottimo blog e sa usare Twitter. Sicuramente la usa bene Renzi e la maggior parte, ma non tutti, dei 5stelle”.
Ce ne sono anche di meno esperti… “Trovo che sia pietosa la situazione quando si sale un po’ di età, e dai 50 in poi, ma senza generalizzare, ci sono dei disastri sistematici. Ce sono alcuni che quando vanno in tv come su Twitter ti fanno pensare che il genere umano non si sia evoluto da milioni di anni. Qualcuno che scrive delle bischerate titaniche e neanche se ne rende conto.
Twitter ti permette di parlare sempre e se sei intelligente e ti sai gestire è utile, se invece lo concepisci come uno sfogatoio dove scrivi la prima cosa che ti capita i risultati sono quelli già detti, di esponenti del centrodestra ma anche di sinistra, di alcuni renziani e di qualche grillino mezzo matto. In genere la rete proietta quello che sei, o meglio è una aggravante, peggiora un po’ le cose”.

Negli ultimi anni episodi di corruzione e indagini su legami fra politica e malavita hanno coinvolto numerosi esponenti politici nazionali e locali. Una sorta di nuova tangentopoli. È cambiato fra i politici il concetto di “buona reputazione”?

“Se per buona reputazione si intende buona morale, allora secondo me gli episodi di corruzione che hai citato dicono che è cambiato pochissimo. Più in generale sul web il concetto di buona reputazione si misura in termini di follower, ovvero pensando che un maggior numero di follower su Twitter o di amici su Facebook corrisponda a un maggior numero di elettori. In altre parole, siccome sono più popolare, siccome vinco le elezioni, siccome prendo più voti dell’altro allora ho una buona reputazione. E allora pur di avere un “like”, un follower o un retweet in più, ci sono molti che sono disposti a vendersi la casa. Se poi la buona reputazione la si fa coincidere con l’idea della lotta alla corruzione, di una moralità maggiore, del mettere al centro di tutto la questione morale, allora devo dire che il risultato è abbastanza pietoso, tanto nella maggioranza quanto nel centrodestra. Gli unici che mettono al centro della loro vita politica la questione morale sono i 5stelle, li puoi criticare in tante cose però loro ne parlano sempre. Gli altri francamente...”

La nuova legge elettorale, l’Italicum, con la parziale reintroduzione delle preferenze, cambieràl’atteggiamento dei politici nei confronti del proprio elettorato di riferimento? In altre parole, cureranno di più la loro reputazione, la credibilità presso i cittadini?

“A mio parere l’Italicum non sposterà di una virgola il concetto di reputazione, di appartenenza, di vicinanza agli elettori. L’Italicum reinserisce in minima parte le preferenze, ci sono ancora i listini bloccati e le multicandidature, è un miglioramento leggerissimo rispetto al Porcellum, e se lo metti insieme alla riforma del Senato e alle altre riforme che stanno facendo vedi che l’elettore conta sempre di meno, perché di fatto non andremo a votare per il Senato né per le province, e dunque secondo me la lontananza tra politico ed elettore aumenterà ancora di più. Anche per questo la reputazione sarà ancora concepita in termini quantitativi: quanto share faccio quando vado in tv, quanto elettorato sposto quando scrivo in internet, sarà qualcosa legato alla fama, all’egocentrismo, ma non sarà legato ad aspetti nobili come il rapporto sistematico con l’elettore, con la cosa pubblica, con la legge e con la moralità”.

A fine aprile hai pubblicato con Rizzoli il tuo primo romanzo, dal titolo “La vita è un ballo fuori tempo”. Una storia di fantasia dove i protagonisti sono personaggi del mondo della politica e dell’informazione, ai quali indirizzi una critica sottile ma pungente. Quanto c’è nel libro della situazione politica attuale?

“C’è anche quella componente ma non solo, altrimenti avrei scritto un libro di una noia mortale perché poche cose sono noiose come la politica, soprattutto questa. Però è chiaro che se scrivo un libro, anche se di satira, se è una parodia, se è qualcosa di surreale, non posso non metterci anche il presente, altrimenti avrei scritto solo un libro divertente. E allora ho fatto un po’ quello che i grandissimi come Calvino hanno fatto, cioè far ridere il lettore, far divertire ma sullo sfondo raccontare la realtà. E quindi il presidente del consiglio del libro un po’ somiglia a Renzi, il ministro delle riforme e del bene un po’ somiglia al ministro Boschi, e via così. Però, sai, se la realtà ricorda una caricatura, un presente così disastroso e dei politici così surreali, è un problema della realtà, non del mio libro. Io scrivo di fantasia, ma se la realtà è così brutta da ricordare la parodia del libro allora c’è da preoccuparsi un po’”.

I protagonisti del libro sono sostanzialmente tre: un giornalista 45enne disilluso, un 90enne che vuole fare la rivoluzione ma non ne ha le forze, e uno stagista 25enne con tanti sogni e pochi mezzi. Ma allora chi lo cambia il Paese, come se ne esce?

“Innanzitutto la fortuna del romanzo è che puoi inventare una realtà che somiglia al presente ma che puoi dirottare dove vuoi, e dunque non necessariamente quello che ho scritto corrisponde alla realtà, per fortuna. Poi non so se il “come se ne esce” sia un problema che l’italiano medio si pone. Io non vedo al bar, al ristorante, al teatro forse un po’ sì, tutta questa gente che non vede l’ora di cambiare le cose. L’Italia è un Paese a maggioranza democristiana, restauratrice e gattopardesca, è un Paese che non ha mai fatto la rivoluzione, che ha accettato vent’anni Mussolini, quindici anni Craxi, vent’anni Berlusconi, ed è pronto ad accettare vent’anni Renzi. Non sono in tanti quelli che si pongono il problema di cambiare. Sono tantissimi nella politica quelli che si pongono il problema di fingere di cambiare perché tutto resti come sia. Quelli che vogliono cambiare sono una minoranza, forse oggi non più così minoritaria: eravamo cinque gatti ora siamo dieci, venti. Però se mi chiedi concretamente quanto cambieremo le cose, come nel libro, credo che alla fine lo status quo, inteso come governi e politica, resterà quello che è perché tutto sommato alla maggioranza degli italiani va bene così”.

Nel libro c’è un presidente che somiglia a Renzi, un ministro che richiama la Boschi, ma mancano un Berlusconi e un Grillo. Forse non sono più tra i protagonisti delle vicende politiche italiane?

“Non mi sembravano stimolanti dal punto di vista narrativo. Però è anche vero quello che ha detto Carlo Freccero alla presentazione del libro, che Bacarozzi, il presidente del consiglio, somiglia un po’ anche a Berlusconi quindi anche lui un po’ c’è. E comunque quello che viviamo adesso non è così distante dal berlusconismo. Il grande problema di questo Paese, tra i tanti, è che nel momento in cui cade Berlusconi non è che poi cade pure il berlusconismo. Ecco, nel libro io faccio la satira del berlusconismo, poi se il Berlusconi di turno si chiama Silvio, Matteo o Tullio Stelvio cambia poco. Il grillismo è altra cosa ma nel libro c’entra poco. Qualcuno potrebbe dire che i vecchietti del libro sono grillini perché fanno la rivoluzione inventandosi hacker, ma in realtà loro sono solo dei partigiani, dei resistenti, dei nonnetti 90enni che ancora pensano che si possa fare la rivoluzione”.

 

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